Il caso MARATA (usura ed estorsioni all’Elba) a sentenza dopo quasi due anni e mezzo di processo e sorprendentemente perfino più dure di quelle richieste del Pubblico Ministero Paolo Canessa le pene inflitte dal collegio giudicante (Beatrice Dani, Antonio Pirato e Paola Caporali) per quattro degli imputati. Infatti dopo che il capo della organizzazione Giovanni Marandino (che aveva scelto il rito abbreviato) era stato condannato a 8 anni di reclusione (scesi a 6 in appello con sentenza confermata in cassazione), mantenuta per gli imputati l’accusa dell’associazione a delinquere, ma caduta per il PM la caratteristica dello “stampo mafioso” i difensori si attendevano migliore sorte per i loro patrocinati. E invece la sentenza ha ritoccato (leggermente) in basso la pena per il figlio di Marandino Emanuell (7 anni e due mesi a fronte dei 7 anni e 6 mesi rischiesti da Canessa) ma è andata giù dura con gli altri imputati : 7 anni a Pasquale Siciliani (il doppio della richiesta del PM) , 6 anni e 6 mesi per la convivente del capo Ada D’Agostino (a fronte dei 6 anni richiesti), 6 anni e 9 mesi per Maurizio Giaconi per il quale Canessa proponeva 4 anni e 3 anni a Claudio Brandolini che per il PM avrebbe dovuto scontare 12 mesi. Assolti risultavano poi (in questo caso come da proposte dello stesso P.M.) Paolo Chillè e Giuseppe Riccobono (l’ottavo imputato Orlando Cimatti risultava nel frattempo deceduto). E’ probabile che con questo primo passaggio giudiziario della vicenda che vide fortemente impegnate nelle indagini sia la DIA fiorentina che La Guardia di Finanza di Portoferraio non si chiuda il capitolo MARATA, balza agli occhi il paradosso del capo dell’organizzazione (peraltro fornito di un curriculum penale di tutto rilievo) che ha spuntato una pena più lieve di quella inflitta in primo grado ai suoi “gregari” . Che i legali dei cinque condannati a Firenze interpongano appello è pressoché scontato.
Marata 1 a Concia di terra