Torna indietro

Controcopertina - Ricerca Archeologica l'Elba è il fanalino di coda della Toscana

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 28 ottobre 2010

Il 27 maggio 1967, in occasione del I Convegno di Storia dell’Elba, il prof. Giorgio Monaco, stimato funzionario della Soprintendenza alle Antichità d’Etruria (oggi Soprintendenza per i Beni Archeologici) apriva così la sua relazione: “Tutti i presenti… vorranno perdonarmi se la mia parola sarà forse inadeguata a esprimere tutto l’entusiasmo e il calore che è stato messo nella ricerca”. La sua non era una retorica frase d’occasione: la passione dello studioso per l’archeologia e per l’Elba era davvero grande, quasi palpabile. Monaco aveva cominciato le indagini sull’isola nel 1958 e i risultati ottenuti - gli era riconosciuto all’unanimità - erano altamente positivi. La scoperta di insediamenti dell’Età del Bronzo medio-recente su Monte Giove (dove saliva spesso con impegno infaticabile), gli scavi della villa romana delle Grotte, la pubblicazione del libro “Memorie storiche dell’isola d’Elba”, sono alcune fra le tappe più significative del suo lavoro scientifico. Ma, al contempo, egli era riuscito a creare un ottimo rapporto di collaborazione e di rispetto con gli abitanti e con le loro istituzioni. Tant’è che Mario Scelza, non dimenticato presidente dell’Ente valorizzazione Elba, rivolgeva il suo plauso alla ricerca archeologica “condotta fino ad oggi dall’amorevole e lodevole cura del prof. Monaco, al quale va la nostra gratitudine e il nostro ringraziamento”. Altri tempi, altre personalità. Allora all’Elba erano presenti, con le loro fiorenti scuole, alcuni dei maestri dell’archeologia internazionale, da Antonio Mario Radmilli per l’archeologia preistorica a Nino Lamboglia per l’archeologia sottomarina. Il merito della loro partecipazione era in gran parte da attribuire a Giorgio Monaco, che faceva di tutto per promuovere ricerche e campagne di scavo nell’isola. Con professionisti di quel calibro i ritrovamenti eclatanti erano all’ordine del giorno, in mare e in terra: i relitti di Chiessi, S. Andrea, La Cera, Porto Azzurro, la necropoli eneolitica di S. Giuseppe presso Rio Marina, l’insediamento subappenninico della Madonna del Monte, attrassero l’attenzione di studiosi di mezzo mondo. Il momento felice dell’archeologia elbana si protrasse fino ai primi anni Ottanta. Seguì uno stop lungo e imprevisto. E’ quanto ha rimarcato di recente (settembre 2010) un docente in conservazione dei beni culturali: “Ricerca e investimenti nel settore del patrimonio culturale all’Elba (storia, archeologia, architettura, storia dell’arte…) sono fermi da vent’anni almeno”. Oggettivamente: chi può dargli torto? A segnare il passo ormai da un quarto di secolo sono, in particolare, le indagini archeologiche sul terreno, senza le quali non c’è vero progresso nella conoscenza della nostra storia delle origini. Per ottenere la riprova si aprano i volumi 2005 e 2006 del Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, nei quali è documentata tutta l’attività regionale del settore. Ci accorgeremo che L’Elba è il fanalino di coda: su 880 pagine che illustrano ricerche ‘terrestri’, scavi in concessione ministeriale, restauri e valorizzazione, al nostro scoglio sono dedicate appena 2 pagine e otto righe, con una melensa percentuale dello 0,23%. L’articolo ‘elbano’ si intitola “Portoferraio: scavo per la realizzazione di un tratto fognario in via Roma”; ne è autore il responsabile del “Sistema dei Musei archeologici di Marciana, Portoferraio e Rio nell’Elba”. Per inciso, mi pare che la medesima firma contrassegni il volumetto “Storia”(L’AltraIsola, APT 2008, pag. 6) dove, sulla scorta di una cronologia alquanto ballerina, vengono riferite “alla metà del II sec. a. C.” sia la distruzione dell’abitato etrusco di Monte Castello presso Procchio sia la seconda guerra punica. La prima datazione è sbagliata di brutto, ma l’altra è addirittura incomprensibile. Attribuire ad Annibale operazioni militari intorno al 150 a. C., equivale a dire che il geniale condottiero, suicidatosi nel 182 a. C., da vero fenomeno avrebbe combattuto le sue battaglie trent’anni dopo che era morto. Va decisamente meglio per l’archeologia sottomarina: in otto, dense pagine, Pamela Gambogi, archeologa e funzionaria della soprintendenza, descrive tecniche e risultati di uno scavo effettuato ad alta profondità (103 metri) sul famoso Polluce. Intervento che si qualifica come un tentativo, encomiabile, di limitare i danni inferti al relitto e al suo carico da una banda di razziatori inglesi. E oggi? E’ presto detto. Mentre in terra niente si profila all’orizzonte, il panorama delle ricerche sotto la superficie marina vede ancora protagonista la dottoressa Gambogi, che con grande professionalità da tempo si dedica all’esplorazione del relitto romano del Nasuto. E’ uno scavo ostico e difficile, ma la tenacia della studiosa sta dando risultati di grande interesse scientifico. Agli inizi degli anni Sessanta, quanto a siti archeologici, avevamo scoperto la punta di un grande iceberg. Purtroppo siamo ancora lì. Anzi: quella punta si sta sciogliendo, complici l’abbandono e il degrado. Essendo indubitabile che l’Elba abbia bisogno dei suoi beni culturali per la sua crescita, anche turistico-economica, la dea fortuna ci regali - sarebbe l’ora! - personaggi del livello di Giorgio Monaco, che sappiano salire con la passione e con la mente su Monte Giove e ancora più su.


monte giove

monte giove