Sto ascoltando e vedendo sul mio computer un estratto di una lezione tenuta in una Università italiana, Teramo, da un professore di scienze politiche, Claudio Moffa. La lezione ha il seguente titolo: “La "shoah" fra storia e politica: un anello della catena "laicista" sul libero insegnamento e sul libero giornalismo”; finito il filmato lo riguardo di nuovo e penso fra me e me:”come è possibile? ma cosa sta dicendo questa persona? davanti a lui ci sono degli studenti che ascoltano e che poi dovranno studiare questo argomento e sostenere un esame e, se vorranno superarlo, dovranno inevitabilmente ripetere quei concetti. Nessuno nega a nessuno la possibilità di sostenere le proprie idee e convinzioni, ma quando ci si trova nelle funzioni di educatore e di insegnante in una struttura pubblica e si affrontano temi come quello dello sterminio del popolo ebraico da posizioni estremiste e francamente estemporanee, chi di dovere dovrebbe intervenire quantomeno per fornire agli studenti elementi di giudizio alternativo a quelli fatti passare, in malafede, per oggettivamente incontestabili. Cosa sarebbe, per esempio, la storia della resistenza italiana, se l’unica fonte fossero i romanzi di Gianpaolo Pansa? Il racconto di una serie ininterrotta di omicidi avvenuti nelle regioni del nord Italia e specialmente in Emilia Romagna nell’immediato dopoguerra, compiuti senza motivo dai truci partigiani comunisti su persone inermi, per instaurare in Italia uno stato dittatoriale filo-sovietico. La storia, quella vera, non è stata quella, ma l’argomento in tanti provoca ancora imbarazzo ed una delle poche pagine storiche del secolo scorso di cui il nostro popolo dovrebbe andare fiero, da molti viene vissuta ancora con evidenti fastidi. L’unico a trarre forse giovamento è proprio Pansa che, con storie sempre identiche, ogni anno da alle stampe l’ennesimo romanzo che contribuisce a far lievitare il suo conto corrente. Io, oramai da circa 35 anni raccolgo libri, articoli, pubblicazioni, film e registrazioni su quell’immane tragedia che ha toccato il popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale; parimenti seguo le vicende del moderno stato di Israele e con particolare tristezza la mancanza di uno statista (maledetto il giorno che fu ucciso Yitzhak Rabin) che abbia il coraggio di far nascere finalmente uno stato per il popolo palestinese. Leggo i romanzi dei grandi scrittori di quel paese Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman; nelle loro storie c’è tutto il disagio di persone che capiscono che la responsabilità della mancata soluzione della questione palestinese è certamente del loro Stato, Stato che, pieno di difetti e colpe, è comunque una libera democrazia in cui l’opinione pubblica è migliore delle stesse istituzioni statali. Continuo ad ascoltare sul pc lo sconcertante professore che, citando altri storici negazionisti, nega che qualcuno abbia progettato di sterminare il popolo ebraico, nega che ciò possa essere avvenuto nelle proporzioni e con le modalità note, nega che le testimonianze delle vittime e dei carnefici superstiti siano veritiere, ipotizzando un colossale piano ebraico, postbellico, per fondare e rafforzare lo stato di Israele che, facendo leva sul senso di colpa del mondo occidentale, avrebbe avuto mano libera nel tiranneggiare il popolo palestinese. In questo quadro il professore dell’università di Teramo conferisce rilievo di statista e apprezza molto la figura del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejād. Sfoglio le pagine di tanti libri che riportano le foto dell’epoca dei crematori e dei forni, i disegni dei progetti originali di quegli orrendi manufatti, le lettere scritte in stretto gergo commerciale con cui gli efficienti uffici ministeriali del Reich trattano con varie ditte gli ordini per i vari componenti delle fabbriche della morte. Ripenso alle leggi razziali fasciste, a quelle 8500 persone mai più ritornate nel loro paese, ai silenzi di un Papa davanti all’eccidio di un popolo, ai tanti italiani che per 5000 lire vendettero le vite di tante persone, ma anche ai molti che, rischiando la vita, non ebbero tentennamenti nel nascondere e proteggere i propri simili. Migliaia di persone ci hanno lasciato testimonianza delle loro storie personali, delle persecuzioni, delle deportazioni, dei lavori forzati e della soppressione di parenti e amici, ma tutto questo evidentemente non basta ad un distinto e stimato professore ordinario di Scienze Politiche di una nostra università per seminare dubbi e venderli per la verità finalmente rivelata.
shoa baracca