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PARCHI; TANTO TUONO’ CHE POI PIOVVE

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 06 ottobre 2010

E’ quel che è accaduto e sta accadendo ormai per i parchi. Che si profilassero tempi difficili e preoccupanti cominciò ad essere chiaro già qualche anno fa quando dedicai al tema ‘Parchi; a che punto siamo’ ( 2006) e ancora nel 2007 con ‘Parchi e istituzioni; novità e rischi’ e infine nel 2009 con ‘La crisi dei parchi e il governo del territorio’. Quel che cominciava ad emergere e a divenire sempre più chiaro non erano tanto le difficoltà, gli inconvenienti e talune contraddizioni di una crescita che sembrava avere perso ormai la sua spinta propulsiva. Certo c’era anche questo che però non riguardava soltanto i parchi perché era per così dire fisiologico o se preferiamo ‘congiunturale’. Per i nuovi soggetti istituzionali c’è sempre una inevitabile fase di assestamento specie se hanno a che fare con competenze e materie nuove come la tutela della natura e dell’ambiente. Ma quello che cominciava a prendere corpo e consistenza era altro, era una vera a propria rinuncia, una inversione di marcia rispetto ad un disegno o quanto meno ad una prospettiva in cui ai parchi e alle aree protette spettava un ruolo determinante e insostituibile nel governo del territorio di cui parla il titolo V della Costituzione. Le avvisaglie erano state numerose anche se stranamente furono spesso ignorate o comunque largamente sottovalutate anche in sedi e a livelli che avrebbero dovuto intendere che la musica stava cambiando davvero e di brutto, ad esempio, con le modifiche alla legge 183 e alla gestione del suolo. Ma se questi potevano essere considerati allarmi indiretti non fu certo così con la decisione di togliere ai piani dei parchi il paesaggio che tornava a viaggiare su binari separati e distinti dopo esperienze assolutamente positive. Il tutto risultò sempre di più accompagnato da proposte e ipotesi sovente destinate a durare lo spazio d’un mattino per essere magari rimpiazzate dopo poco da altre non meno bizzarre e bislacche che hanno in ogni caso concorso a creare un clima sempre più confuso che ha offuscato pesantemente e rapidamente l’immagine stessa dei parchi presentati come fonte di sprechi insostenibili e pertanto da ridimensionare, emarginare e all’occorrenza abrogare. Da qui i tagli ai parchi nazionali, le proposte di ridurre le rappresentanze negli enti parco mai a danno naturalmente del ministero, le sortite poi rientrate di abrogare quelli regionali anch’essi in crescente difficoltà pure in regioni come la Lombardia dove è finito a rischio anche un parco storico come il Ticino. E a conferma di questo procedere a fari spenti da parte del ministero e del governo si è arrivati – è per ora l’ultima e più recente trovata- in un provvedimento a sostegno dei piccoli comuni a proporre che gli enti parco dovrebbero aiutarli in una serie infinita di attività che con i parchi non c’entrano né punto né poco. E’ grave dunque che finora non si sia colto in tutta la sua portata e pericolosità il senso di questa involuzione ma lo è ancor di più che non si sia colto pienamente che tutto ciò segnala una turbolenza più generale del sistema istituzionale nel suo complesso sempre più scosso da una crisi che non risparmia nessun soggetto alle prese con un ritorno persino spudorato nella sua sfrontatezza del centralismo in barba a tutte le chiacchere sul federalismo. Il tutto reso ancor più allarmante dal fatto che ad essere colpite e azzoppate più pesantemente sono proprio quelle normative e soggetti preposti alla gestione dei comparti ambientali a maggior rischio appunto suolo, biodiversità e paesaggio. Se tutto sommato in pochi anni dopo tanti travagli, rinvii e incertezze nazionali i parchi si sono dotati di strutture e di una capacità complessiva ragguardevole e apprezzata anche in europa pur con le sue inevitabili ombre ora in tempi assai più brevi si è messo a rischio e non per modo di dire quanto faticosamente è stato realizzato. Si assiste così dopo gli anni in cui si è puntato e con importanti risultati alla crescita di quello che prima o poi sarebbe dovuto diventare un sistema, ad una vero e proprio smantellamento e insabbiamento motivato e giustificato nelle maniere più diverse e anche più balorde e miopi. Tra queste ultime va senz’altro annoverata, ad esempio, l’illusione delle province che lo scioglimento dei parchi specie regionali avrebbe potuto rappresentare una occasione di rilancio e arricchimento delle funzioni dell’ente intermedio, ignorando inspiegabilmente che i parchi non hanno eredi di sorta. Ci sono poi quelle assurdamente pretestuose come il taglio magari di un posto o due in un ente parco salvo poi continuare a prevedere le commissioni di riserva per le aree protette marine che risalgono nientepopodimeno alla legge sul mare dell’82. Senza contare che hanno ripreso a crescere i parchi commissariati e quindi praticamente paralizzati con i più balordi pretesti e in più d’un caso come dichiarato preannuncio e preludio di liquidazione. A rendere, infine, questa situazione non soltanto grave e anomala ma paradossale è che il tutto avviene sullo sfondo di un dibattito –quando lo è- che al momento più che ad una messa a punto di un assestamento ‘quasi federalista’ del nostro assetto istituzionale perché possa finalmente impostare e gestire politiche pubbliche serie del governo del territorio, sembra avvitarsi sempre di più in una conflittualità paralizzante. E tutti -nessuno escluso- stanno pagando dazio perché a cominciare dallo stato a cui non sarà certo una iniezione drogata di arrogante centralismo a restituire una immagine credibile e dignitosa di efficienza che potrà solo rendere più fragile e e difficile il ruolo delle stesse regioni e degli enti locali oltre appunto a quelle realtà strategicamente importanti come i parchi e i distretti idrografici. Insomma un bel colpo a quelle politiche ambientali che non soltanto l’Europa sta cercando di rilanciare anche per uscire dalla gravissima crisi in atto. Va detto che se non ad aprire la strada a questa involuzione almeno a facilitarla ha contribuito una caduta prima ancora che politico-istituzionale culturale che in qualche modo non ha risparmiato nessuno. Certo un posto privilegiato va innegabilmente riconosciuto a quei vessilliferi romani che si sono distinti ora con le sconcertanti e cervellotiche sortite sulle privatizzazioni e altro ora con la disinvolta vocazione abrogazionista dettata spesso da una sconclusionata ricerca di compensazioni per cui per ‘salvare’ le province vadano pure in malora i parchi. Gli effetti di questa disastrosa politica che ha fatto strame di una cultura faticosamente costruita in questi anni sono sotto gli occhi di tutti a partire da quelle regioni che appena conquistate da nuove maggioranze hanno messo mano ai freni non soltanto finanziari ma a veri e propri lavori di sconquassamento dell’esistente non sempre neppure tanto brillante. Alla luce di tutto ciò suonano sibilline e poco convincenti affermazioni del tipo; il ruolo dei parchi nella salvaguardia della Biodiversità richiede impegno e volontà di uscire da alcuni schemi del passato per aprirsi alle esigenze del presente e del futuro. Gli schemi del passato sono quelli che hanno funzionato proprio per apertura di cui non c’è traccia oggi dove domina aria di chiusura e non solo metaforicamente. A queste sommarie considerazioni sullo stato dell’arte complessivo dovrebbero aggiungersene alcune altre riguardanti più specificamente la situazione al sud. Come ben sappiamo lo sfondo di questa turbolenza istituzionale è segnato da una pericolosa contrapposizione tra nord e sud che rischia davvero di spaccare il paese. Sul sud si appuntano pesanti accuse di assistenzialismo e malgoverno costoso e inefficiente incentrato su un localismo familistico che si è affidato e si affida spesso a favori in cambio di consenso su una base ‘contrattuale’ che elude ed esclude politiche e progetti che per scala e durata possano incidere sul ‘futuro’ di quei territori. Ma per questo si consiglia il numero di Aspenia ‘Passaggio a Sud’ ( N. 49-2010) Ora al sud -ad eccezione del parco nazionale d’Abruzzo e della Sicilia- i parchi sono arrivati tardi e solo in base alla legge quadro del 91 quando nell’Italia ‘mediana’ -come direbbe Asor Rosa- e al Nord da battistrada l’hanno fatto i parchi regionali proprio riuscendo a superare quel localismo che pure affida ai campanili un ruolo importantissimo ma che non è prigioniero di quel familismo meridionale dove a toccare certi fili si può essere ancora assassinati come il sindaco Vassallo non a caso impegnato a fondo proprio nel lavoro del Parco del Cilento di cui ha dato alta testimonianza il presidente Troiano. Al Sud dunque a sbarcare massicciamente sono stati i parchi nazionali generalmente grandi e grandissimi che proprio per questo avrebbero dovuto contare ben più dei parchi regionali quasi sempre di taglia assai modesta su un consenso su larga scala che però doveva e deve fare i conti con quel localismo a cui abbiamo fatto cenno. In sostanza anche per quanto riguarda i parchi e le aree protette il Sud presenta proprie specificità che non possono essere ignorate non già per rivendicare trattamenti diversi di stampo leghista ma al contrario perché essi possano giocare un ruolo positivo nel ‘riscatto’ del Sud e nel rilancio di una politica nazionale. Ed è qui, su questo aspetto cruciale che risultano ancora scarse le riflessioni culturali ma anche politico-istituzionali di cui pure più d’una traccia interessante e stimolante si può trovare negli studi di Fabrizio Barca degli ultimi anni. Il ‘fallimento’ di certa politica meridionale che non può non investire e riguardare anche i parchi e le aree protette a cui certo localismo sta ovviamente quanto mai stretto evidenzia, infatti, la carenza di una politica nazionale che vale anche e specialmente per parchi. Le connessioni con la politica comunitaria e mediterranea -dovrebbe essere ormai chiaro- non possono essere affidate né a Casse del Mezzogiorno né a proconsoli locali. Per stare ai parchi come è pensabile un loro ruolo che non coinvolga APE e una nuova politica marino-costiera che risultano da anni cancellati da qualsiasi progetto e impegno ministeriale totalmente tagliato fuori per sua scelta da quelle finalità ben delineate prima dalla legge 394 e successivamente ulteriormente precisate dalla legge 426 che Roma ha snobbato e continua disinvoltamente a snobbare. Qui si ci sono vecchi schemi da abbandonare ma non certo per perseguire quelli ancor più indigeribili e confusi di cui si chiacchera con scarso senso di responsabilità. Insomma è proprio guardando anche alla condizione dei parchi specialmente meridionali che si ha chiara e inconfutabile conferma che quella che urge è una nuova politica nazionale a cui debbono concorrere su un piano di pari dignità tutti i livelli istituzionali senza assurdi muri e confini padani e celtici che al danno aggiungono la beffa e lo sberleffo irresponsabile. La richiesta avanzata da Federparchi ormai da tempo di convocare la terza Conferenza nazionale dei parchi scaturiva da questa esigenza di impegnare stato, regioni e autonomie in un appuntamento i cui ognuno si assumesse precise e chiare responsabilità a fronte di una situazione insostenibile. Non è un bello spettacolo assistere a questa sorta di tiro al bersaglio sui parchi senza che nessuno mostri consapevolezza dei rischi a cui si sta ormai andando incontro sempre più rapidamente. E non è certo di conforto vedere che altrettanto si sta facendo con uguale accanimento nei confronti degli enti locali e delle stesse regioni. Non c’è gaudio possibile nel vedersi accomunati proprio a quelle istituzioni che dovrebbero essere messe nelle condizioni migliori anche per impegnarsi a sostegno dei parchi e delle aree protette. E ce n’è ancora meno nel vedere che anche regioni ed enti locali che in questi anni hanno saputo fare degnamente la loro parte a differenza di altri che se la sono presa comoda sembrano in più d’un caso avere le batterie scariche. Va aggiunto infine che anche sul fronte culturale a differenza dell’associazionismo ambientalista che non demorde si registrano latitanze e assenze dovute forse ad un logoramento che lascia spazio ad una crescente sfiducia che facilità la resa e non la mobilitazione che abbiamo registrato in altre stagioni. E’ anche questo un aspetto allarmante a cui c’è da augurarsi si possa presto imprimere una inversione di tendenza. E lo è perché come abbiamo visto anche recentemente a Pescasseroli in occasione dell’incontro di Europarc sulla tutela della biodiversità e il ruolo di Rete Natura 2000 pure questa importante esperienza che ha esteso significatamente il territorio protetto in più d’un caso nel nostro paese anziché essere gestito per rafforzare il ruolo dei parchi specialmente regionali rischia di essere utilizzato per ridimensionarli riducendone le risorse e le competenze autonome giocando in un certo senso i siti ‘contro’ i parchi. Insomma, anziché rendere più stretta e organica la connessione tra aree protette gestite in base a leggi nazionali e aree protette gestite in base a normative comunitarie c’è il rischio che se ne accentui la separazione. Il che peraltro pone l’esigenza di riuscire a impegnare sempre più la stessa comunità europea in uno sforzo di ’armonizzazione’ anche normativa delle diverse politiche nazionali e non soltanto in questo ambito. Tutto ciò richiede che su questi temi si riapra e al più presto un serio confronto politico, istituzionale e culturale che eviti quella insidiosa frammentazione a cui stiamo assistendo.


mare albero panorama

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