A metà di questa settimana mi accorgo che oramai sono passati 2 mesi e mezzo dall’ultima plasmaferesi e che è tempo di fare una donazione di sangue; giovedì devo finire del lavoro e decido di andare al centro trasfusionale venerdì mattina. Vado presto; voglio essere fra i primi, perché non mi piace aspettare; trovo Ornella (l’infermiera) e Sergio ( il medico); manca Roberta l’altra infermiera. Faccio il prelievo per verificare l’idoneità alla donazione, la colazione al bar dell’ospedale, la visita e poi il prelievo vero e proprio. E’ tanti anni che sono donatore, l’ambiente è informale e quasi familiare e le operazioni sono per me conosciute e di routine. Tutto avviene però con grande professionalità; si vede che i gesti sono accompagnati da una perizia consolidata nel tempo; c’è la dovuta celerità, ma è accorta e vigile. Quando lascio il centro la stanza dei prelievi è piena e nella sala di attesa i donatori che aspettano di essere sottoposti a quello che io ho appena terminato di fare sono numerosi, tanto è vero che qualcuno è in piedi. In tanti anni di frequentazioni e quasi settanta donazioni fatte (ho iniziato tardi, a trent’anni), ho pensato spesso che il centro trasfusionale elbano fosse, nel quadro generale della sanità elbana, “un’isola felice”; non ho mai avuto un intoppo, un imprevisto e mai ho visto averne agli altri frequentatori del centro; frequentatori, badate bene, che non solo solamente i donatori, ma anche i tanti pazienti che ricevono nei locali del centro trasfusionale, in regime di day hospital, le terapie legate alle proprie patologie. Ho visto e ho fatto conoscenza con persone che, provenienti da tutta l’isola, si sottoponevano e tuttora si sottopongono da anni a trasfusioni, in un ambiente tranquillo e sereno, potendo far ritorno in giornata alle loro case. In tutto il tempo passato in quelle stanze, non ho mai visto il personale del centro ingannare il tempo, semplicemente perché, lì dentro, tempo da ingannare non ne esiste, checché ne possa pensare Brunetta o magari qualche burocrate stazionante nella casa madre livornese. Quindi, penserete voi, tutto bene, meno male, qualcosa che funziona ! Troppo facile, tutto troppo scontato; si lancia una compagna con un simpatico logo e si decide che è meglio cambiare tutto; via i sei giorni di apertura all’utenza del centro, via le terapie (si faranno altrove, ai reparti), tutto dovrà funzionare per appuntamento e solo su tre giorni alla settimana. E non pensate che tutto questo sia negativo, ma stiamo scherzando! Si chiama razionalizzazione, guai a chiamarlo taglio della spesa, ci sono fior fior di manager che studiano questi cambiamenti, perché tutto funzioni al meglio; pensate: stanno lavorando per noi! Che culo, pardon, che fortuna che abbiamo avuto! Un donatore Avis Nota bene: questa lettera è esclusivamente una mia iniziativa personale, non concordata con alcuno, tantomeno con personale della locale azienda (casomai qualche funzionario troppo zelante. …..) La lettera appare non firmata perché la donazione di sangue, come stabilisce l’associazione a cui mi onoro di appartenere, è periodica, volontaria, anonima, non retribuita e consapevole; comunque i miei dati sono a disposizione dell’editore, anche se penso non ci sia in Italia, almeno per ora, un reato di opinione.
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