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Controcopertina: Lo Spoon River marcianese (di Janna Carioli)

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 25 agosto 2010

Quando si va a visitare un cimitero e si leggono le lapidi, si ha sempre l’impressione che in quel posto siano stati sepolti solo “padri affettuosissimi” “uomini di specchiata virtù” “madri esemplari”, tanto che viene da chiedersi dove seppelliscano le persone normali: quelle che non si fanno fare la fattura dall’idraulico, quelle che fanno le corna alla moglie, quelle che si arrabattano come possono. Ma, accantonato questo dubbio, camminare con rispetto fra le lapidi di un piccolo cimitero di paese sollecita la voglia di sapere di più delle persone che sono vissute e che ora riposano in quei luoghi. Dalla lapide di Beatrice Testa, ( che fa da pavimento nell’ingresso del cimitero di Marciana Marina) , si sa che, come tanti extracomunitari” dell’epoca, partì per l’America dal Granducato di Toscana nel 1852 e quando ritornò a Marciana nel 1868 trovò l’Italia Unita. Chissà che impressione le fece? Poco oltre giace una coppia di sposi: Vasco e Tosca, che portano nomi legati alla musica (rock lui e opera lei) oltre che essere compagni di vita. Anche il piccolo cimitero di Poggio racconta storie attraverso i suoi morti, come in una sorta di “Spoon River” nostrana. Urano Mazzei, per esempio, nato nel 1924, ha il classico nome futurista dell’epoca. Un nome che puntava al movimento, alle stelle, al futuro. Anche il nome di Esilio, nato nel 1913, forse è legato a vicende familiari. Un nome dolente da portare che ricorda la lontananza dalla propria casa e dai propri affetti. Una lapide attaccata al muso racconta di una bambina, Tina Paolini, che il 20 novembre del 1943 fu colpita da una raffica di mitra (pare accidentale) durante il rastrellamento di Poggio. Aveva dieci anni e certo non si aspettava che la guerra la venisse a cercare proprio mentre giocava nella piazzetta del suo paese. Nel cimitero di Marciana, invece, riposa Maria Pavlova Benoit, nata a San Pietroburgo nel 1899. Nel corso della sua lunga vita, la sua città di nascita ha fatto in tempo a cambiare nome due volte. Quando lei è morta, nel 1980, infatti, si chiamava Leningrado. Ma ci ha pensato la storia a rimediare ai refusi della lapide, visto che una decina di anni dopo, il nome della città russa è ritornato ad essere San Pietroburgo. Fra le tante persone che non conosco e di cui posso solo immaginare la storia, una so chi è. Si chiama Giusi Vai. Era una donna fiera e selvaggia, sorridente e coraggiosa. Quando si ammalò di leucemia tutto il paese si offrì di donare il sangue per lei. L’ultima volta che l’ho incontrata mi ha offerto una torta alle carote. E’ morta il giorno prima del suo compleanno.


rio elba cimitero

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