Torna indietro

Controcopertina: C'è qualcuno che abbia ancora voglia di tentare?

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 24 agosto 2010

Ma cosa sta succedendo? Non è facile capirlo. Quel che ci è dato di vedere non c’illumina più di tanto, e soprattutto non pare riguardare i nodi veri della “politica”. Sempre più si ha la sensazione che le scelte di sistema vengano decise altrove, in Paesi e in Centri di potere economico che stabiliscono le strategie di alto livello -nella competizione (o guerra) fra le economie legate agli USA e alla Gran Bretagna da una parte, e alla fortissima Germania dall’altra; e poi fra il vecchio Occidente (con Giappone) e i nuovi protagonisti (India, Cina, Brasile, ma non solo)-. A Paesi come il nostro, a sovranità limitata, resta forse la scelta delle tattiche attuative, ma con scostamenti modesti rispetto alle decisioni adottate dai Grandi. Così la nostra vita politica si riduce ai giochi di ruolo -Maggioranza, Opposizione, Terze forze, nuovi gruppi, gruppi trasversali, alleanze più o meno plausibili- in un contesto già di per sé ingovernabile di “bipolarismo sempre più articolato”. Nel “gioco di ruolo” sempre più appare chiaro che il Leader di Maggioranza si occupa prevalentemente dei suoi affari personali e di famiglia, salvaguardando con ogni mezzo la condizione che ancora permette il loro incremento, ovvero la sua personale impunità giudiziaria e quindi la sua sussistenza politica. Attorno a lui uno zoccolo duro che, in piccolo, si comporta allo stesso modo, cercando di arricchirsi con la forza del potere che amministra; poi un gruppo di combattenti reduci dalla precedente edizione di questo “reality show”, gli inquieti socialisti che coniugano il tradizionale anticomunismo (un po’ come i “pretendenti” delle Case regnanti di Paesi solidamente repubblicani, che litigano sul nulla più che altro per puntiglio e ostilità personale) con la nostalgia dell’età d’oro craxiana; poi un nugolo di “colonnelli” di diversa provenienza, che consci dell’improbabilità di diventare generali nel loro esercito d’origine, prestano fedelissimo servizio come “capitani di ventura” nel ricco esercito del Capo. Il consenso popolare è assicurato dalla dissoluzione totale di ogni capacità critica, realizzata puntualmente -anche se forse non del tutto consapevolmente- con la penetrazione della “cultura dello spettacolo”, della quale le televisioni prima di Mediaset e poi a seguire di Rai si sono fatte assidue propagatrici: e dunque -questo il vero capolavoro di Berlusconi- il consenso a un modello, irraggiungibile, di ricchezza luccicante; con una strada, impraticabile, che sembra condurvi (mediante la “comparsata” televisiva, a qualunque prezzo), con una piccola schiera di “ammessi a corte”, per lo più in base a meriti estetici -belle/belli, brutte/brutti, cattivi (i “giornalisti” delle diverse testate di “area”, dei quali il migliore, alla fin fine, è l’inguardabile Emilio Fede)- per stagioni più o meno effimere, come sempre nel mondo dello spettacolo. A vigilare che tutto avvenga senza intralciare gli altri interessi esterni e più rilevanti, pensano i Sevizi segreti (tanti, e rispondenti a entità differenti -primi fra tutti quelli legati ai gruppi principali: filotedeschi e filostatunitensi; e poi quelli legati ai gruppi di potere interni: Massoneria, P2 e P3, gruppi industriali-), e pensano le Mafie: il tutto con collegamenti quasi mai noti con i protagonisti “apparenti” del gioco (ma sarebbe utile chiedersi, ogni tanto, se gli “scoop” giornalistici non rientrano nella funzione di “vigilanza”, di “regolamentazione” e di controllo, quando qualcuno dei giocatori, fosse anche il Leader -che si ritiene onnipotente perché può comprare tutto, ed è convinto che tutto sia comprabile-, pensa di giocare per conto proprio). Poi c’è la Lega, che però meriterebbe un discorso a parte, perché al di là degli aspetti folklorici, rappresenta una visione politica da osservare con grande attenzione, unico esempio (forse insieme ai residui socialisti militanti nella Minoranza) di ragionamento fondato ideologicamente, che -nel suo caso- è coniugato con parole d’ordine anche rozzamente conservatrici, e quindi di facile “appeal” e coinvolgenti. La Minoranza, nelle sue articolazioni, appare spaesata. Le manca l’”idea vincente”, l’elemento di aggregazione, la “parola d’ordine”, che nella tradizione delle sue componenti storiche assicurava grandi consensi. La tragica fine dell’esperienza sovietica -e anche dell’utopia comunista che l’aveva originata ma non molto a lungo animata- ha lasciato un vuoto incolmato: la crisi economica che ha attraversato gli ultimi venti anni non ha lasciato grandi spazi a richiami “politici”; l’utilitarismo, l’individualismo, le difficoltà progressive della vita quotidiana hanno scalzato progressivamente le tensioni “ideali”, la solidarietà sociale, il senso di appartenenza. I grandi mutamenti dei sistemi produttivi hanno neutralizzato l’identità di classe, di pari passo con il crescere dell’importanza del capitale finanziario e con il decrescere dell’importanza della manodopera. Alla globalizzazione dei mercati non ha corrisposto la globalizzazione dei diritti sociali; e il canto delle sirene del consumo ha facilmente spostato l’attenzione dall’essere all’apparire, dal lungo periodo al breve e brevissimo. La “mobilità” sul lavoro ha allentato i vincoli di solidarietà sindacale, e lo spettro della disoccupazione collegata alla delocalizzazione delle imprese ha neutralizzato la forza di lotta. I partiti che costituiscono la Minoranza, soprattutto il PD e le sue diverse anime, sono in mezzo al guado: gli ex-comunisti, senza più la fede ideologica, sono rimasti come “preti atei” in una Chiesa che si svuota progressivamente -la definizione è di un illustre giurista e commentatore politico-. La “reductio” alla questione morale, alla contestazione di piccolo cabotaggio della politica di piccolissimo cabotaggio del Governo, è palesemente incapace di produrre entusiasmi, o anche solo consensi; la difficoltà di comunicazione con quella che era una base estesa e anche solida non si traduce in una ricerca di orizzonti verso i quali lanciare il bisogno di speranza dopo la delusione della fine del Comunismo; allo stesso modo gli ex-democristiani patiscono il riflusso dopo i grandi sconvolgimenti e le grandi speranze del Concilio Vaticano II. Il centralismo accanito dell’UDC, la nostalgia della Democrazia cristiana da ricostituire fuori tempo e fuori luogo, impantanano quella Minoranza parlamentare in un tatticismo esasperato e senza respiro, come avviene agli altri gruppetti della diaspora democristiana militanti nella Maggioranza: sono “voti”, “seggi”, non “progetti”, non “prospettive”. L’Italia Dei Valori, poi, è per sua essenza una formazione non politica: l’istanza di giustizia che porta avanti, il richiamo all’onestà e alla correttezza si riconducono all’ideologia del “fare”, che costituisce l’alibi della Destra di Governo ma -ancora una volta- non un progetto politico: resta una precondizione, ovvia e anche condivisibile, ma politicamente sterile. Un articolo de “l’Avvenire”, riportato da “Repubblica”, si occupa della situazione politica italiana: «In un editoriale, il quotidiano della Cei parla di grave “rischio di decadenza”, dovuto agli scandali, alla rinuncia ai principi, ai personalismi e ai tatticismi esasperati. E afferma che la politica corre il pericolo di “scivolare verso l'insignificanza”, quando “qualche suo protagonista sembra non credere neanche lui a ciò che dice, alle strategie che propone, ritenendole talmente provvisorie da poterle cambiare o rovesciare il giorno dopo se la convenienza lo suggerisce”. Segue l'attacco, “senza eccezioni di schieramento”, ai politici che anziché puntare al bene comune sembrano “perseguire i propri obiettivi per vie traverse” o anziché “elaborare strategie convincenti” vanno “alla ricerca di alleanze improbabili... per raggiungere obiettivi contingenti, o per tentare il colpo grosso di vincere alle elezioni magari riuscendo a sfruttare qualche errore dell'avversario”. Il quotidiano dei vescovi chiude con il richiamo alla politica come “arte del governo della società, dell'orientamento dei grandi movimenti popolari” e con una nota di amarezza: “Credere che dopo anni di scandalismo si possa tornare alla nobiltà della politica è pura illusione, perché si sarà sedimentato un metodo cui non si rinuncerà facilmente”». Neppure la Chiesa, dunque, nutre grandi illusioni. Ancora una volta credo che la soluzione sia nelle realtà periferiche, come la nostra, che sono più defilate rispetto ai grandi interessi -e ai controlli- che governano la realtà più vasta, nazionale e internazionale. Ancora una volta mi piace immaginare che qui possa instaurarsi un laboratorio politico che abbia la capacità di “sparigliare” i giochi mortiferi che hanno sostituito la politica. Ovviamente rinunciando a fare, nel piccolo, quel che avviene nel grande; e a partire dalla necessità, anche qui presente, di ridisegnare nuovi orizzonti economici, sociali, politici. Se c’è qualcuno che abbia ancora voglia di tentare, e che abbia almeno trent’anni da investire in un percorso lungo quanto affascinante, si faccia avanti. Ora, perché forse non potrà farlo mai più.


Totaro media

Totaro media