Questa mattina dopo il caffè siamo rimasti a pillaccherare un po’ davanti al Bar di Elvio, e ad un certo punto è arrivato Luciano Paolini che ci ha raccontato un frammento di vita appena vissuta. Luciano insieme ad un familiare si era recato a Pisa per una visita medica, con la solita ambascia dell’elbano in trasferta giornaliera: quello di ritornare in tempo per prendere la nave. Ora alcuni lettori penseranno che ci stiamo per impegnare nella solita tiritera che finisce con l’epocale domanda: “Preferiresti una strizzata di palle o una notte sul porto di Piombino?” a cui conviene rispondere cercando la via meno nefasta è cominciare a contrattare : “Ma stringono forte forte?” Potrebbe essere, ma sbagliano. Proseguiamo nel racconto: Luciano (che è una delle persone più gentili che conosciamo) dopo un po’ che attendeva la visita, visto che l’anticamera dove stava era ancora piuttosto gremita di persone, si è risolto a chiedere ai presenti la cortesia di consentirgli di anticipare il suo turno, facendo leva sulla sua condizione di abitante della Toscana insulare. Ed è proprio a quel punto che un arzillo vecchiotto gli si è rivolto con un po’ d’insolenza dicendo: “Sete dell’Elba? Deh .. e rubbate pochino voi!” La storia ci ha rafforzato nella convinzione che gli ultimi eventi elbani, sono stati accolti dal villaggio globale con la reazione della più classica toscana strapaesanità, quella della immediata creazione di un nuovo luogo comune. Così d’ora, in poi nell’immaginario collettivo ai Lucchesi “piercoli” (taccagni), ai Livornesi “pottaioni” (sguaiatamente esibizionisti) ai Fiorentini “buhi” (non molto virili) si aggiungeranno gli Elbani “mardole” (martore = rapinosamente ladri). D’ora in poi, quando ci presenteremo citando orgogliosi la nostra elbanità, vedremo qualcuno che come i cani di Pavlov, per riflesso condizionato, si porterà le mani nelle tasche per verificare che ancora non gli abbiamo catubato (tolto fraudolentemente) il portafogli, come neanche avrebbe fatto se ci fossimo annunciati come socialisti craxiani non pentiti. Ma dobbiamo portare pazienza, in fondo se è vero che non siamo un popolo di stronzi (etimo “ strunti truncus” le signore rotaryane non cadano in deliquio e l’assessore non pensi che così facendo esse si liquefacciano) dunque, se è vero che non siamo un popolo di stronzi, come potrebbe apparire dalle cronache di questa estate, è vero anche, come ci faceva notare qualcuno giorni fa, che ultimamente ci stiamo impegnando molto per importarne quantità industriali per sopperire alla insufficiente produzione locale.