C’era una volta un’isola felice, dove gli abitanti laboriosi, gentili, onesti e ospitali, ricevevano spesso visita da persone che venivano da luoghi lontani. Sull’isola la vita scorreva serena, le persone in estate si adoperavano per far passare un bel periodo di vacanza ai loro visitatori, in inverno curavano le strutture per ospitare sempre meglio chi veniva da lontano a fargli visita, e ha godere del loro mare, del loro verde, della loro terra. Un vicino molto cattivo, e geloso dell’isola felice, decise che voleva l’isola tutta per sé, e inizio ha pensare come fare. Chiamò a sé qualche amico e disse: “da oggi sull’isola felice i candidati alle elezioni li scegliamo noi del continente”, poi si fece una schiera di servi isolani, pronti per essere candidati alle elezioni dell’isola felice. Poi chiese: “come si può fare danno all’isola felice?” E un servo rispose: ricopriamola d’immondizia! “Ben detto” disse il signore, si costruisca un mostro mangia spazzatura, un termovalorizzatore sovradimensionato e cosi le mandiamo la nostra spazzatura. I servi tutti felici iniziarono i lavori, ma il mostro non funzionava e l’isola rimase felice e piena di visitatori. Il signore livido di rabbia schiumando ordinò: colate di cemento, sulle spiagge e sulla costa e i servi obbedirono. I giudici dissero: “Fermi o vi arrestiamo non si può fare”. Un servo disse facciamo un parco che non funziona, fatto di divieti, che stanchi abitanti e turisti che complichi la loro vita e restringa la loro libertà senza dargli nessun vantaggio. “Bella idea” disse il signore che sia fatto un parco a macchia di leopardo e inutile e brutto. Nemmeno questo scoraggiò i visitatori che continuavano a fare visita agli isolani. Il signore gridò: “ basta! Che sia distrutta!”. I servi intimoriti pensarono di costruire delle torri d’acciaio per tutta l’isola, di smantellare l’ospedale, di bloccare i visitatori sul porto di partenza per indirizzarli altrove, di far arricchire il battelliere con prezzi proibitivi, bloccare l’aeroporto per impedire l’arrivo di visitatori di altre terre, sbarre e sceriffi, tutto per scoraggiare i visitatori. I visitatori iniziarono a essere scoraggiati e l’isola felice cominciò a rattristarsi, senza gli ospiti tutto era più triste senza feste e sorrisi. Tutti a dire “cerchiamo la giusta ricetta per darle nuova felicità”, ma molti degli eletti lavoravano per il signore e di nascosto continuavano a danneggiare l’isola e tutto sembrava inutile. L’isola di colpo si risvegliò da sola e all’improvviso e gli isolani dissero: “Basta sfruttamento!". Voi servitori del signore, eletti o nominati, siete pagati dall’isola e da oggi, o lavorate per l’isola o andate dal vostro signore. E allora alcuni iniziarono a lavorare per l’isola, altri andarono dal loro signore al ministero. Gli isolani si ripresero la loro terra la ripulendola di cima a fondo, elessero i loro candidati, iniziarono a essere ben amministrati e tornarono a essere un’isola felice e con tanti visitatori. “Fuori dall’isola i servi del signore!”. Così si leggeva all’ingresso dell’isola, il porto da dove partivano i tanti battellieri per l’isola con navi più belle e moderne, orari giusti e prezzi congrui. Questa Favola è raccontata per chi ha orecchie per sentire e cuore per reagire. Raccontando delle favole si riesce a essere più chiari e più semplici. In politica le cose si complicano, le ricette sono semplici, ma gli interessi di bottega rendono tutto più difficile. Molto spesso chiusi nei palazzi del potere si perde il contato con la gente e con la realtà e i veri bisogni della comunità. Spesso, troppo pieni di noi stessi, ci dimentichiamo degli altri che ci hanno scelto e votato e non vediamo più i loro bisogni; dimentichiamo che il benessere comune è il nostro dovere e il nostro benessere. Scherzando Arlecchino si confesso.
Florio Pacini