Sono colpito da come si sviluppa lo scandalo dei preti pedofili. Qualche giorno fa, di fronte all'insolita veemenza della condanna vaticana sulla materia, avevo espresso ad alcuni il dubbio che fosse un modo di mettere le mani avanti, giacché lo scandalo avrebbe potuto lambire la persona di Joseph Ratzinger: oltre alle questioni emerse in Baviera, quanto scrivono il "New York Times" e altri giornali sembra confermarlo. Gli ipocriti silenzi pluridecennali rimbombano. Non amo gli scandalismi, ma la ragione e l'umanità a tutti, ai credenti pure la fede, chiedono di riflettere con mitezza e rigore. Riflettere sulla morale sessuale repressiva e omofobica ossessivamente predicata dai papi. Riflettere sull'obbligo del celibato per i preti cattolici. Riflettere su un'impalcatura ideologica, la quale colpevolizza senza tregua le donne che vivono la tragedia dell'aborto, per negare loro il diritto ad autodeterminarsi, ma appariva più disattenta finché l'aborto era clandestino. La stessa impalcatura ideologica, la quale ha consentito di tacere così a lungo, così diffusamente su un crimine come la pedofilia. La tenerezza di Gesù di Nazaret non potrebbe apparire più lontana. Mi sento di chiedere ai miei fratelli di fede cattolica di interrogarsi come e più di tutti. E di levare anche pubblicamente la loro voce. Ne comprendo lo smarrimento, ma i silenzi sono stati già troppi: Gesù non esitò a rovesciare i banchi di chi aveva trasformato il Tempio in un mercato. Davvero, il silenzio non è (più) una virtù. Nessuno scagli la prima pietra. Nessuna condanna senza processo né senza difesa. Detto questo, i preti pedofili hanno commesso reati che vanno giudicati nei tribunali come avviene per ogni altro cittadino. E chi li mantenuti in carica a dirigere parrocchie e comunità è loro complice. E chi li ha coperti è loro complice. La pietà per le loro vittime e le famiglie di queste - per usare il termine "famiglia", spesso abusato dalla gerarchia vaticana - viene prima di quella pur necessaria per le miserie umane, che tutti ci chiamano in causa, nessuno è senza peccato. Mi viene in mente un esempio, peraltro di natura e gravità assai diverse. Poche settimane fa, Margot Kaessmann, presidentessa del Consiglio della Chiesa evangelica protestante tedesca (Ekd), ha giustamente lasciato tale carica nonché quella di vescova della Chiesa luterana regionale di Hannover. All'origine della sua decisione il fatto che la Kaessmann è stata fermata dalla polizia stradale per non aver rispettato un semaforo: il suo tasso alcolemico è risultato tre volte superiore al limite consentito. Per lei sono scattati il ritiro della patente e la denuncia per guida in stato di ebbrezza. Se analoghi criteri fossero applicati nella Chiesa cattolica, a quante e a quali dimissioni assisteremmo? Un'ultima domanda. In questi decenni (e i decenni e secoli precedenti?...), sui quali stanno emergendo pesantissimi sospetti, quando non certezze agghiaccianti, a Roma si sono succeduti papi come Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI (cito quelli il cui pontificato ha coinciso con la mia esistenza): nessuno di loro sapeva nulla? E, se sapevano, come non è irragionevole ritenere, perché hanno taciuto?
Suvereto Chiesa