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Controcopertina: Una nuova legge sui Parchi ed A.M.P. da rispedire al mittente

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 04 marzo 2010

Il Disegno di legge attualmente in discussione al Senato sulle aree marine protette che si vorrebbe –così si dice-estendere anche a quelle terrestri, ha preso avvio sulla base di una sollecitazione dell’UCINA al Salone nautico di Genova che da alcuni anni si interessa dell’argomento in relazione ovviamente al tema dei posti barca, della portualità etc. Francesco Albertoni dell’UCINA è tornato sull’argomento recentemente anche su Repubblica. Sono temi ai quali abbiamo dedicato nella Collana dell’ETS sulle aree naturali protette un volume (la nautica sostenibile) con contributi estremamente interessanti e attuali a cui rimandiamo. Qui abbiamo voluto ricordare –diciamo così- l’innesco della proposta di legge perché è piuttosto singolare che un aspetto tra i più controversi della legge 394 abbia trovato questa accoglienza in un improvvisato disegno di legge dopo essere stato tranquillamente ignorato e snobbato quando esso è stato ripetutamente e autorevolmente posto da Federparchi e non solo. Si dirà; meglio tardi che mai, ma ciò non è vero o lo è solo in piccola parte. Infatti quella partenza che ‘isola’ già in premessa la vicenda delle aree protette marine -sicuramente il comparto più malmesso e peggio gestito dei parchi- preludeva ad una impostazione che non va nella direzione giusta. Del resto la coincidenza tra l’avvio del dibattito in Commissione ambiente del senato e l’emanazione di importanti provvedimenti comunitari dedicati alla gestione integrata della costa mediterranea, ci consente di cogliere in tutta la sua portata questa discrasia che purtroppo ha segnato tutto il percorso della legge 394 e che ora anziché essere finalmente avviata a ricomporsi risulterebbe ulteriormente e sfacciatamente aggravata. Per evitare quindi annotazioni critiche un po’ all’ingrosso è forse utile -sia pure molto sommariamente- richiamare taluni ‘precedenti’di questa complessa e tormentata vicenda lontana per ora da una conclusione soddisfacente. Possiamo partire dal 1977 perché con il DPR 616 si parla per la prima volta di ‘litorale’; non è ancora una definizione ma un riconoscimento che la costa non è più solo una delimitazione dei confini dello Stato. E che ciò avvenga nel momento in cui si definiscono i nuovi ruoli della stato e delle regioni da poco arrivate sulla scena, non è certo un caso né tanto meno un dettaglio trascurabile. Anche se manca ancora una ‘definizione’ della fascia costiera che continuerà a variare da luogo e luogo con una segmentazione che non favorisce una gestione integrata della costa, è questa che finalmente prende avvio. Come annoterà Nicola Greco; ‘Pesca e turismo, navigazione e cantieristica, industria petrolchimica ed ecologia, paesaggio e siderurgia, senza contare i macrointeressi consolidati negli insediamenti urbani di ogni dimensione e nelle grandi e piccole strutture portuali, costituiscono tutti profili di grande rilievo sociale e dunque giuridico. Ciascuno di esso è tuttora disciplinato a gestito nell’ambito di sistemi e sottosistemi amministrativi che , anche quando siano per avventura allocati nello stesso comparto ministeriale ( ad esempio il Ministero della Marina Mercantile ) o al livello istituzionale ( ad esempio il Comune) presentano con evidenza talora straordinaria il carattere specifico della reciproca impenetrabilità.’ Pochi anni dopo la legge sul mare 979/82 introduce esplicitamente l’idea di un ‘piano delle coste’ che supera quella netta distinzione e separatezza tra formazione del demanio marittimo e il resto; la fascia costiera più ampia della linea demaniale diviene a tutti gli effetti il punto di riferimento di una gestione complessiva. Ci sono insomma le premesse di una gestione integrata della costa incentrata su un rapporto nuovo tra stato, regioni ed enti locali. E non è certo un caso se proprio con questa legge che ebbe prolungate battute d’arresto facciano la loro comparsa all’art 25 le riserve marine ( che in prima battuta non erano state previste). Dice l’articolo 25 ‘le riserve naturali marine sono costituite da ambienti marini, dati dalle acque ,dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche , biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono’. Ciò ha contribuito non poco –come annoterà anni dopo ancora Nicola Greco ‘alla conflittualità che caratterizza gli spazi costieri, ponendosi spesso in contrasto con le attività di pesca e con talune utilizzazioni turistiche’. Il tutto risultò poi più complicato dal Protocollo Internazionale di Ginevra (3 aprile 82) nell’ambito della Convenzione di Barcellona per la protezione del mare Mediterraneo contro l’inquinamento del 76 e recepito nel nostro ordinamento nell’85, con il quale si era provveduto alla definizione di una diversa procedura di istituzione delle ‘aree del Mediterraneo particolarmente protette’. Normativa che disegnava anche per le medesime aree ( direttamente o per rinvio) specifiche forme organizzative e norme regolative di compatibilità. Ne derivarono fenomeni di sovrapposizione e complicazione che la legge 394 del 91 tentò di superare. Ma di fatto come è stato osservato essa oscillò tra l’esigenza di compiutezza del quadro della ‘protezione della natura’ (la c.d. pianificazione dell’ambiente fisico) e la rinnovata preoccupazione di integrare riserve ed aree protette marine in una specifica pianificazione per la gestione integrata del mare e delle coste. Sulla base della legge quadro sulle aree protette per la specifica protezione ambientale di porzioni di mare e delle coste marine le forme istituzionalmente praticabili sono le seguenti; parchi marini, aree protette secondo il modello definito nel Protocollo di Ginevra, riserve marine, secondo il modello impiantato dalla legge 979/82, modificato ed integrato dalla legge quadro. I ‘parchi marini’ sono riconducibili alla tipologia definita al comma 1 dell’art 1 ( parchi nazionali’) si aggiungono insomma agli altri. A questa già confusa stratificazione e sostanziale incertezza ordinamentale sul modello di gestione delle aree marine marine si aggiungerà l’articolo 2, comma 16 della legge 426/1998 che confermerà le commissioni di riserva che non saranno più presiedute però dalla Capitaneria di porto ma da un rappresentante del ministero dell’ambiente. Era la conferma della difficoltà a inquadrare le aree marine protette in un compiuto sistema, tuttora inesistente, di pianificazione delle aree costiere verso una gestione integrata del mare e delle coste. Se da un lato quindi è innegabile che la legge quadro lasciava aperti taluni problemi per le aree marine che non erano riscontrabili per le altre aree protette è altrettanto indiscutibile che lo scenario europeo era sempre più contrassegnato da una chiara volontà di far decollare politiche di gestione integrata delle coste che alle aree protette assegnavano un ruolo preciso e molto importante. Ma è proprio qui che casca l’asino perchè almeno i proponenti del disegno di legge- sembra vogliano approfittare di queste perduranti incertezze e sovrapposizioni normative per imboccare una strada che si è già rivelata rovinosa e lo diverrà ancor più perché volta ad accentuare proprio quella separatezza che è alla base dei fallimentari esiti che sono sotto gli occhi di tutti. E ciò –ecco un punto da mettere bene in chiaro da subito- non trova nelle incertezze della normativa alcuna giustificazione tanto è evidente la pretestuosità di chi non solo intende tenere separati parchi e aree marine ma vorrebbe accentuarla ignorando e infischiandosi di ciò che da tempo ha detto con estrema chiarezza la corte dei conti. Stupisce perciò e neppure poco che ci sia ancora qualcuno che dopo una gestione ministeriale tanto gretta e fallimentare si illuda che un ulteriore accentramento ministeriale delle competenze possa giovare alle aree protette marine. Insomma quello che è totalmente mancata nonostante i plateali fallimenti di un comparto sceso in campo quasi un decennio prima di quello della legge quadro è la volontà di integrare quello che è unito e non separato, per costruire finalmente un sistema nazionale e non un mero assemblaggio di parchi e aree protette. E più di qualsiasi discorso la dice lunga il fatto che oggi non esiste neppure una anagrafe delle aree protette marine che risultano clandestine e fuori legge anche se non sono arrivate con i barconi. Chiunque si prenda la briga di scorrere l’elenco delle aree protette marine istituite o da decenni in attesa di una firma sempre rinviata come nel caso non unico della Meloria, scoprirà d’altronde senza troppa fatica con che tipo di gestione abbiamo a che fare. Essa infatti varia senza che se possano comprendere le ragioni. In qualche caso –raro- c’è anche la provincia che manca però nella maggior parte dei casi e ciò vale anche per altri soggetti inclusi o esclusi senza giustificate ragioni. Insomma un comparto gestito con la più assoluta discrezionalità e incompetenza da un ministero che non a caso non dispone più da anni degli strumenti previsti dalla legge per costruire appunto un sistema nazionale integrato. E veniamo così al testo di legge D’Alì che già nell’incipit scrive che dalla legge quadro va abrogato il riferimento ai tratti di mare prospicienti ove operano e possono operare parchi o aree protette regionali, con il che si estromette del tutto le regioni da qualsiasi ruolo. Tanto che si prevede lo scioglimento di quelle aree protette marine istituite –è il caso di Portovenere in Liguria- dalla regione. Stessa sorte naturalmente per tutte le altre incluse le 6 previste recentemente dalla regione Calabria. E questo nel momento in cui si straparla di federalismo. Insomma una legge che pretende di risolvere il problema della integrazione appropiandosi interamente di una competenza che non aveva neppure il Ministero della marina mercantile. La cosa sorprendente però non è solo che si sia messo mano a un progetto del genere e lo si sia fatto alla chetichella e in un momento come questo ma che finora non si siano levate voci per fermare le macchine. Come è possibile –nottetempo- affondare e non rilanciare la legge quadro sui parchi? Sarà bene darsi una mossa a partire dal parlamento perché qui c’è più d’un ‘legittimo impedimento’ a procedere su una strada tanto balorda.


mare blu

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