Raccapezzarsi di questi tempi nell’incasinatissimo e confuso dibattito sull’ambiente, le sue normative e modalità di gestione è impresa ardua per chiunque. A cominciare dal parlamento dove illeggibili decreti in cui c’è di tutto tra centinaia di commi, proroghe, abrogazioni in cui si fanno sorprendenti scoperte che danno bene l’dea di uno scriteriato e irresponsabile modo di governare. Anche i recenti disastri con frane e alluvioni hanno rischiato di innescare nuove situazioni in cui di fatto ogni regola e controllo è messa al bando con gli effetti che abbiamo sotto gli occhi. E tutto ciò alla vigilia di un passaggio elettorale che dovrebbe contribuire finalmente a chiarire il ruolo delle nostre istituzioni nella prospettiva declamata ma non concretamente perseguita di un federalismo capace di far uscire il paese da una conflittualità paralizzante e perniciosa da cui può trarre profitto solo il malaffare. E se per la protezione civile si è riusciti all’ultimo momento ad evitare altri passi falsi non è ancora così in altri comparti ambientali dove si corrono rischi non meno seri per l’ambiente e il paesaggio. Si veda cosa sta succedendo spesso alla chetichella, quasi nottetempo, per i parchi e le aree protette. Come si ricorderà qui si è cominciato –ministro Prestigiacomo in testa- a dire che per i parchi bisognava cambiare musica, finirla con il ‘poltronismo’, gli sprechi fare entrare in partita i privati cioè quelli che con il cavolo sono entrati in partita con i musei dove ora il piatto piange ma non quello degli esperti di hamburger. E quando è stato detto al ministro che era opportuno convocare una conferenza nazionale per fare il punto e discutere seriamente con gli stessi parchi, le regioni, gli enti locali e il parlamento sul futuro di questo importante patrimonio costruito in pochi anni grazie ad una legge molto avanzata, non ci si è presi la briga neppure di rispondere. Intanto, però, si nominano nuovi commissari, si propone di tagliare qua è là qualche rappresentante ma mai quelli ministeriali e sempre quelli degli enti locali. Poi magari scopri che in qualche micidiale e illeggibile decreto è finito per ‘caso’ o per ‘sbaglio’ l’abrogazione di un consorzio che metterà definitivamente sul lastrico qualche aree protetta e così via. Poi scopri che i parchi regionali che Calderoli voleva semplicemente abrogare senza tanti complimenti e che tutelano più o meno la metà della superfice protetta del nostro paese investono circa il 75% delle risorse a fronte del 25% di quelli nazionali. Così mentre continuano gli indecorosi balletti ora per la scelta di un commissario ora per rinviare la nomina di un presidente che in più di un parco come al Gran Sasso la Laga ormai è fisso ecco che si decide tra pochi intimi di presentare al Senato un disegno di legge sulle aree protette marine perché sono le più scalcinate e malmesse. Il che è vero naturalmente perché qui il ministero è riuscito a dare in questi anni il peggio di sé al punto che esse oggi –pur partite quasi un decennio prima di quelle terrestri- risultano ancora fuori legge ossia clandestine per la nostra anagrafe ministeriale. Tu pensi – a questo punto- che avendo finalmente e molto tardivamente inteso anche le sollecitazioni europee sulla gestione integrata delle coste già prevista peraltro dalla nostra legge sul mare, i presentatori del disegno di legge intendano mettere mano a quella gestione integrata e non più separata tra terra e mare che viola apertamente proprio lo spirito e la lettera della 394. Ma hai pensato male perché il testo aggrava ulteriormente e impudicamente le cose e inizia con la cancellazione della norma con la quale si stabilisce che le regioni hanno competenza sui ‘tratti di mare prospicienti la costa’. Insomma le regioni sono estromesse –alla vigilia dello strombazzato federalismo- da ogni residua competenza tanto che quelle che se ne sono responsabilmente avvalse come la Liguria e da poco anche la Calabria si vedranno sopprimere aree protette come Portovenere che il ministero deciderà poi a chi dare in gestione tranne che alle regioni. Tutto ciò finora è avvenuto appunto alla chetichella e ora si sta pensando di aggiungere a questo pessimo brodo anche le aree protette terrestri per le quali girano già –come abbiamo accennato- insulse ipotesi di tagli etc. Ora chi tace anche se non acconsente è fregato. E’ già accaduto con la legge 183 sul suolo e poi con il nuovo Codice sui beni culturali per la pianificazione del paesaggio. Ma questa volta il danno sarebbe enormemente più serio e ci incamminerebbe lungo un percorso che non ha nulla da spartire con quello in atto in Europa e sul piano internazionale. Federparchi aveva chiesto la conferenza nazionale ma ora la partita non possono giocarla e soprattutto vincerla solo i parchi che pure debbono far sentire di più e meglio la loro voce. Stupisce peraltro che nessuno finora -neppure in parlamento- abbia avvertito la necessità di avviare una vera consultazione come di norma si fa e si deve fare quando si tratta di mettere mano a cose tanto delicate. Le commissioni ambiente di Senato e Camera non possono agire clandestinamente non avvertendo i rischi di una ‘gestione’ che non fa onore al legislatore.
tambone 2