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Regioni, enti locali, bacini, parchi, paeaggio sotto torchio: il loro "federalismo"

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 12 febbraio 2010

Le cronache più recenti si sono incaricate di confermare nella maniera più clamorosa la divaricazione crescente tra gli obiettivi della riforma federalista fissati dal parlamento e dal titolo V della Costituzione e le decisioni e i comportamenti del governo. Quella che si va sempre più precisando e delineando al di là degli impegni assunti e delle dichiarazioni enfatiche che hanno accompagnato alcune decisioni sul federalismo fiscale e quel che concretamente sta succedendo è che anziché avvicinarci sta sempre più allontanandoci da quel traguardo. L’ultima, solo in ordine di tempo, è l’impugnativa da parte del governo delle decisioni delle regioni che hanno dichiarato di non volere le centrali nucleari sul loro territorio. Scaiola ha accompagnato questa decisione con la dichiarazione che sarebbe bene per evitare altri inciampi recuperare alla stato la competenza esclusiva in materia così da evitare che la competenza concorrente delle regioni interferisca sulle decisioni statali. Ma non meno clamorosa -anche se finora non sembra se ne siano colte tutte le allarmanti implicazioni- è quanto sta succedendo con il dopo alluvione. A fronte dei tanti disastri annunciati non solo si è cercato e con qualche successo –va detto-di scaricare l’intera vicenda sulla protezione civile ignorando le ‘cause’ a monte di quegli eventi, ma se n’è anche sfacciatamente approfittato per farne con Bertolaso una vera a propria piazzaforte centralizzata e privata. E’ vero che la Camera ha approvato all’unanimità il 26 gennaio una risoluzione in cui si richiama il governo a precisare impegni e finanziamenti. E tuttavia anche quel documento da cui pure emerge chiaramente la responsabilità e i costi dei ritardi politici nella gestione del suolo del nostro paese non si colgono e non si individuano le ragioni di questa colpevole gestione e quindi il da farsi. E’ singolare, ad esempio, che si ricordino i ritardi con cui il nostro paese giunse alla approvazione della legge 183 che seguì ai lavori della Commissione De Marchi, ma nulla o quasi si dica su come essa è stata gestita fino alle più recenti e negative modifiche introdotte dal nuovo codice ambientale sulla base dei lavori della Commissione dei 24 presieduta dall’allora ministro all’ambiente Matteoli. Modifiche che sono andate in direzione opposta a quelle ipotizzate a auspicate a conclusione di una seria indagine parlamentare di qualche anno fa che per le autorità di bacino aveva proposto di rafforzarne la capacità di gestione con strumenti di cooperazione istituzionale sul modello degli enti parco. Il nuovo codice invece le ha ulteriormente rese ‘dipendenti’ dal ministero e per di più senza soldi il che ha impedito anche ai bacini che avevano predisposto da qualche anno il piano -come il Serchio- di provvedere per tempo a mettere in sicurezza il fiume. Ben più grave poi la situazione del nostro fiume maggiore il Po che ha approvato il piano di assetto idrogeologico nel 2001 che opera su 13 province e che dal 2007 è senza segretario generale e si è visto tagliare 180 milioni di euro. Ora, qui si gioca una partita decisiva non solo com’è ovvio per quelle realtà fluviali cariche di problemi ambientali e non soltanto di pericoli. Ciò che emerge chiaramente da un esame che non salti il primo tempo del film per passare al secondo ossia alla protezione civile e alle imprese di Bertolaso, è che dopo le mazzolate alla 183 è venuta meno qualsiasi politica nazionale di tutela del suolo che deve raccordarsi alle realtà dei bacini attraverso le regioni e le comunità locali. E’ stato osservato giustamente che molti – talvolta troppi- hanno competenze e responsabilità nel settore ma quello che manca sono appunto sedi e strumenti efficaci di gestione ‘cooperativa’. E’ un termine che è bene ricordare perché esso è alla base –o meglio dovrebbe essere alla base- di quel federalismo di cui si chiacchera molto ma che alla prova dei fatti vede Scaiola e Fitto contrapporsi alle regioni colpevoli solo di avvalersi delle loro competenze e responsabilità. Da tutto ciò emerge anche un aspetto molto importante e delicato che riguarda il governo del territorio di un paese che ha via via abbandonato, indebolito, accantonato qualsiasi impegno di pianificazione per lasciar sempre più spazio ai condoni e alle manfrine. Già la bozza Calderoli sul punto- come la Legautonomie a Viareggio prima e a Firenze dopo ha con forza denunciato- ignora quanto deciso e votato dal parlamento che ha ben chiaramente delineato che governo del territorio significa molto di più e di diverso da qualche pasticcio urbanistico e centralistico. D’altronde dice pur qualcosa il fatto che negli ultimi anni mentre veniva al pettine il nodo cruciale del titolo V proprio le leggi più importanti e avanzate che avevano assunto i grandi temi ambientali dall’assetto idrogeologico alla tutela della natura e del paesaggio siano tutte azzoppate o stiano per esserlo come nel caso della 394 sui parchi che nella prima bozza Calderoli compariva all’art. 10 con l’abrogazione nientemeno dei parchi regionali. Insomma le leggi giustamente definite ‘invarianti ambientali’ nel momento in cui dovrebbe essere rilanciata una politica di pianificazione imperniata sulla ‘leale collaborazione’ vengono penalizzate, sabotate, burocratizzate. Tanto è vero che nel testo Calderoli manco se ne fa cenno. Qui la vicenda incrocia direttamente il tema del ruolo degli enti locali che talune di queste leggi avevano per la prima volta coinvolto in politiche non solo di gestione ma di indirizzo e di programmazione dell’ambiente e del paesaggio attraverso i parchi e le aree protette e in misura minore –come abbiamo detto- per i bacini idrografici. Un ruolo ora ballerino e incerto per le province, ancor più per le comunità montane e per l’aggregazione intercomunale da far uscire da quella ambiguità in cui sembrano ancora confondersi le esigenze di gestione ‘aziendale’ di una serie di servizi di area vasta e snodi di programmazione che non possono non rifarsi a quelle leggi e aspetti sopra richiamati in cui la gestione del territorio non segue e non è ritagliato sui confini amministrativi ma appunto ambientali come per i parchi, i bacini e il paesaggio etc. Poste così le cose dovrebbe apparire chiaro che il federalismo di cui si parla deve mirare ad armonizzare anche nei rapporti con la Comunità europea la gestione complessiva –cooperativa e non competitiva e conflittuale- di queste politiche. E la ‘leale collaborazione’ è appunto la condizione di quella equiordinazione e pari dignità di cui parla la Costituzione, che per essere efficace deve agire e operare ai livelli di giustezza e adeguatezza troppo spesso ignorati anche nelle dimensioni regionali e in più di un piano regionale il cui circuito istituzionale non fuoriesce dai tradizionali tre livelli elettivi ormai inadeguati e insufficienti a garantire incisivamente quei ruoli che agisocono su dimensioni e scale diverse ossia principalmente ambientali e non amministrative. Se le cose stanno così –come penso- allora il problema di fondo oggi non è tanto o soprattutto di arrovellarci come in passato su quale ‘ripartizione’ delle competenze e dei ruoli corrisponda meglio alla bisogna ma quello di riuscire innanzitutto ad assicurare tra questi ‘poteri’ che si ripartiscono le competenze quella ‘trasversalità’ di cui da tempo ripete la Corte costituzionale. E se questa è la via obbligata per tutti dallo stato alle autonomie locali i cui ruoli dipendono oggi più e prima ancora da quel che avranno saputo ‘spostare’ da un livello ad un altro in una sorta di fatti più in là, allora determinante –come possiamo vedere da quanto è accaduto in questi ultimi anni- sarà individuare le sedi adeguate partire dal Senato delle autonomie, la bicamerale per le questioni regionali, la Conferenza stato-regioni-autnomie e poi tutti gli altri livelli ‘sovraordinati’ ricordati. Lo stato delle autonomie significa rafforzare i ruoli e le responsabilità di tutti i livelli istituzionali perché lo stato centralizzato non è e non è mai stato più forte ma solo più arrogante e burocratico.


Torchio

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