Il recente congresso nazionale di Legautonomie a Firenze che ha dopo 9 anni visto passare la presidenza da Oriano Giovanelli a Marco Filippeschi sindaco di Pisa ha l’innegabile merito di avere finalmente fatto uscire il dibattito sul federalismo dai troppi equivoci e veri e propri imbrogli. I tanti sindaci che con fascia tricolore insieme ai tanti amministratori provinciali ma anche rappresentanti di regioni, del vicepresidente del Senato Vannino Chiti, di un rappresentante del governo e di numerosi rappresentanti di partiti hanno affollato il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio hanno, infatti, con una relazione di Giovanelli di ampio respiro e pungente e di un dibattito senza peli sulla lingua sgombrato il campo dai troppi equivoci e bugie che circolano sull’argomento e che sono alla base di comportamenti e decisioni che fanno a pugni con i proclami sul federalismo. Il primo dato che è emerso con estrema e allarmante chiarezza è che mentre si dovrebbe costruire un assetto statale ( il nuovo titolo V della Costituzione) di pari dignità, ossia equiordinato perché la Repubblica risulti finalmente costituita da stato, regioni e autonomie queste ultime in particolare sono messe sotto torchio, penalizzate, mortificate e prese impudentemente a pretesto, come capro espiatorio, imputandogli e addebitandogli ogni malefatta e costo della famigerata casta. Gli esiti di questa dissennata e irresponsabile politica sono sotto gli occhi di tutti tanto sono clamorose le difficoltà per qualsiasi comune, provincia, comunità montana a fronteggiare anche la più ordinaria amministrazione specie in tempi tanto calamitosi per tanti lavoratori e famiglie. Che su queste basi si possa costruire un federalismo vero e decente che deve come non mai poter contare su un ruolo forte delle autonomie perche anche le regioni e lo stato possano far bene la loro parte è fuori da ogni logica e buon senso. Ma questa è solo la punta dell’iceberg perché i testi e i tempi che si profilano sull’argomento mostrano anche e ben altre omissioni e imbrogli. Il federalismo di cui si parla –come è noto- dovrebbe non solo ridisegnare funzioni e ruoli dallo stato agli enti locali in nome della sussidiarietà ma anche come finanziarle sulla base di un regime tributario non più centralistico. Insomma, le risorse del paese dovrebbero finalmente essere gestite in base alle rispettive funzioni e competenze e in ‘leale collaborazione’ e non in competizione per evitare che si creino nuovi squilibri in un paese che deve riuscire invece e alla svelta a superare quelli già esistenti specialmente tra nord e sud senza nuove linee del Piave o del Po. Ora un disegno del genere richiede che le politiche nazionali – e penso in particolare oggi a quelle ambientali -sempre più raccordate o comunque condizionate da quelle comunitarie, hanno bisogno di un nuovo governo del territorio, di una nuova programmazione nazionale che sappia mettere in rete i diversi livelli nazionali, regionali e locali. E ciò per una ragione molto semplice ma del tutto ignorata nei vari documenti e soprattutto nei concreti comportamenti di governo anche i più recenti come vedremo tra un momento. La ragione è che qualunque sia la ‘ripartizione’ delle competenze e dei ruoli tra i diversi livelli istituzioni essi debbono operare insieme –appunto in leale collaborazione- perché anche nel caso così spesso evocato negli utili tempi e non sempre a proposito di competenza esclusiva dello stato (vedi l’ambiente in generale, ma anche il paesaggio ect) come dice da tempo e con grande chiarezza la Corte costituzionale oggi queste competenze ancorchè esclusive sono ‘traversali’ in quanto incrociano comunque competenze e ruoli regionali e non solo in materia ambientale che con i tempi che corrono non possono essere gestite separatamente pena esiti rovinosi. Credo che qui ci sia anche una novità rispetto a passate stagioni istituzionali di cui forse finora non sono emersi con sufficiente chiarezza la portata e le implicazioni. Semplificando molto direi che mentre in passato l’accento fu necessariamente posto sul tipo di ‘ripartizione’ che doveva essere effettuato tra uno stato che aveva tutto e le regioni nuove arrivate e tardivamente che non avevano niente, oggi il punto cruciale non stia qui. Allora il pendolo doveva segnare una ripartizione dignitosa di competenze che lo stato non intendeva mollare accampando le più svariate motivazioni dall’interesse nazionale all’indirizzo e coordinamento. Il tutto finì spesso per apparire come un braccio di ferro tra chi voleva conservare allo stato un ruolo forte se non esclusivo e chi invece voleva trasferire una parte il più possibile significativa alle regioni nuove arrivate e giustamente vogliose anche di rifarsi dei torti storici subiti. Ricordo questa clima al momento della approvazione di alcune leggi molto importanti come la 382 e poi su su la 183 e ancor più la 394 sui parchi etc che rese difficile fino all’ultimo una conclusione soddisfacente e concorde. Il confronto oggi che tarda a decollare e soprattutto a trovare il terreno giusto e non quello angusto del testo Calderoli deve evitare l’errore di accreditare l’idea che per fare questa riforma bisognerebbe indebolire, ridimensionare il ruolo nazionale del centro ossia il parlamento e il governo. Quello da ridimensionare è il centralismo che –lo vedremo meglio tra un momento- non significa maggiore capacità di governo nazionale ma proprio il contrario. Più di un decennio fa con la Bassanini fu deciso che i ministeri e la pubblica amministrazione avrebbero dovuto essere riformati per metterli nelle condizioni di promuovere e dirigere –anche nel rapporto con la comunità europea.- politiche nazionali che mettessero efficacemente in rete il sistema istituzionale, per fare squadra. Bene, prendiamo il ministero dell’ambiente le cui competenze in materia sono -come abbiamo già ricordato- esclusive ( lo erano e lo sono). La Bassanini stabiliva che esso doveva essere ‘riordinato’ perché potesse gestire compiti importanti fissati chiaramente dalla legge in riferimento alla Convenzione alpina, il progetto APE ( appennino parco d’europa), alle piccole isole, la costa, i bacini idrografici. Ma il ministero da un più d’un decennio ha dimenticato e ignorato la legge e su nessuno di questi obbiettivi che avrebbero dovuto consentire allo stato d’intesa con regioni ed enti locali e i suoi strumenti più qualificati dai parchi alle autorità di bacino di promuovere e fare sistema agli adeguati livelli di ‘giustezza’, presenta un bilancio che fa acqua da tutte le parti. Mancano politiche innovative e non soltanto ambientalmente. Lo stato insomma non ha saputo o voluto avvalersi delle sue competenze esclusive impedendo o rendendo estremamente più complicato e talvolta impossibile a regioni ed enti locali di fare bene la loro parte. Non solo, ma proprio alcune di quelle leggi più innovative e che avrebbero dovuto permettere finalmente politiche nazionali in ambiti storicamente ignorati sono state manomesse e spesso in un inspiegabile silenzio politico- istituzionale che non fa onore a nessuno. Abbiamo avuto recentemente eventi disastrosi come le alluvioni che hanno causato pesanti danni alle persone e alle cose. L’attenzione e le polemiche infuriano ora sugli aspetti più urgenti riconducibili alla protezione civile e Bertolaso. Ma nessuno finora né in sede parlamentare, governativa e neppure nelle più diverse sedi istituzionali e politiche sembra ricordare che solo qualche anno fa la legge 183 era stata manomessa e nessuno sembra ricordarne le finalità volte ad una pianificazione e gestione del suolo che latita e giace senza finanziamenti adeguati. E nessuno ricorda neppure che alcuni anni fa in una indagine parlamentare seria - non come alcune che somigliano alle visite per telefono del medico della mutua- alla conclusione riconobbe che quella legge era importante ma che per gestirla meglio ossia riuscire a coinvolgere di più anche le istituzioni locali sarebbe stato meglio anziché affidarsi alle autorità di bacino istituire degli enti che sul modello di quelli dei parchi avrebbero potuto farlo più efficacemente. Ma come è noto anziché andare verso questo miglioramento con la commissione Matteoli sul nuovo codice ambientale si è andati in direzione opposta. Il che spiega perché oggi tutto sia affidato a Bertolaso che ha però il limite di riguardare il secondo tempo del film mentre del primo nessuno sembra sapere qualcosa e volersene occupare. C’è qualcuno che parla dei piani di bacino, dell’impegno dello stato, delle risorse disponibili? E arriviamo così ad un altro passaggio cruciale che riguarda il tema del federalismo. Se -come dovrebbe risultare chiaro- ci vuole meno centralismo burocratico per cui il ministero dell’ambiente pretende, ad esempio, di decidere al posto un ente parco nazionale l’acquisto di qualche sedia ( pensa te!), ma finalmente una politica nazionale che ha bisogno di competenze e non di grotteschi controlli prefettizi di vecchia memoria dovrebbe essere altrettanto chiaro che queste politiche nazionali di programmazione e progettazione che non hanno mai colpevolmente preso corpo dovrebbero prevedere adeguati strumenti e rapporti per gestire quella ‘trasversalità’ a cui fa riferimento costantemente la Corte costituzionale. E ciò è indispensabile perché quelle politiche, quelle decisioni dovranno trovare ai vari livelli non sempre coincidenti con i confini amministrativi –ecco un altro aspetto finora troppo ignorato- come è appunto un bacino idrografico o un parco nazionale o regionale che sia le indispensabili sintonizzazioni. E si tratta di strumenti –come il piano di un bacino o di un parco- sovraordinati a quelli degli stessi enti elettivi. Da questa esigenza di ‘trasversalità’ deriva la necessità di disporre quindi anche degli strumenti e delle sedi giuste a partire dal centro che invece ha mostrato di non sapere o volere farlo adeguatamente e certo non solo nel caso del ministero dell’ambiente. Il discorso riguarda la Conferenza stato-regioni-autonomie, il ruolo cella Commissione bicamerale per le questioni regionali ma anche come a queste stesse esigenze rispondono le regioni e gli enti locali. Mi riferisco alla programmazione regionale e a quella delle province e dei comuni. E la questione non attiene solo ai rischi di un ‘neocentralismo’ regionale che agli enti locali non piace perché troppo somigliante a quello nazionale a cui però sarebbe sbagliato reagire cercando poi improbabili e migliori tutele proprio a Roma. Riguarda anche il modo come gli stessi enti locali rispondono e si attrezzano per riuscire a gestire al meglio l’indispensabile trasversalità non riconducibile interamente –come abbiamo cercato di dire- ai livelli amministrativi ancorchè elettivi. E si tratta di questioni cruciali. Abbiamo accennato alle autorità di bacino e ai parchi come due esempi significativi e di grande attualità con i quali gli enti locali devono concorrere e partecipare non pretendendo di ricondurre quelle funzioni alla propria dimensione. Vediamo di dirlo in termini più chiari possibili. Un parco coinvolge direttamente comuni e province nella comunità del parco e loro a quel livello possono -anzi debbono- concorrere a gestire un ambito territoriale più ampio con diverse finalità da quelle dei rispettivi enti. Il piano del parco è sovraordinato al PRG e al piano territoriale di coordinamento ma non per questo penalizza il comune e la provincia che può al contrario avvalersene fruttuosamente nella sua stessa gestione. Anche per questo sono oggi più i comuni che vogliono entrare in un parco di quelli che vogliono uscirne. Pensare che le funzioni di un parco possano essere gestire da altri –magari le province- prima ancora che di un errore si tratta di un abbaglio perché quelle funzioni non sono trasferibili ( quindi ereditabili) in quanto proprie ed esclusive del parco. Ma oggi ciò non è possibile alla stessa stregua per i bacini idrografici perché come abbiamo ricordato essi non sono gestiti sulla base delle stesse modalità e criteri di un parco. Non c’è insomma l’equivalente di una comunità di bacino. Quando si parla allora -e non è certo una novità- di associazioni, aggregazioni, collaborazioni intercomunali sarebbe bene partire da qui. Ecco che allora –e così vengo ad una altra questione estremamente attuale- anche la intercomunalità deve assumere nuovi connotati rispetto al passato. Che su questo fronte siano state finora più le delusioni che i successi mi pare innegabile. Anche i tentativi e le sperimentazione più avanzate –penso alla legge toscana sulla base della quale furono istituite le associazioni intercomunali poi disciolte. Oggi anche in Toscana si è tornati a discuterne interrogandosi se sia preferibile, ad esempio, la comunità montana o lì associazione intercomunale. Devo dire che se si ricerca la dimensione più valida per gestire unitariamente servizi etc non partendo invece da quelle dimensioni riferibili ad impegni di programmazione e di governo del territorio resteranno fuori aspetti decisivi. Abbiamo accennato alle recenti alluvioni che anche in Toscana in realtà come quella della Garfgnana hanno lasciato il segno. La comunità montana che è una aggregazione di comuni può restare esclusa dalla gestione di quel territorio per quanto riguarda l’assetto idrogeologico? Ma ciò vale anche dove non vi è la comunità montana ma solo comuni non ancora associati. Cosa voglio dire? Semplicemente questo; che quella trasversalità di cui abbiamo parlato per funzionare deve poter scendere verso il basso e da qui risalire verso il centro lungo un percorso che non si esaurisce in quello stato, regioni enti locali. Dove infatti non lo si è fatto –è il caso del PIT toscano- la coperta è risultata e risulta giocoforza corta, tanto da non essere riuscito ad avvalersi pienamente neppure della presenza dei suoi parchi e delle sue aree protette di cui non si è riusciti a rinnovare neppure la legge. Di tutto ciò come Oriano Giovanelli ha ricordato a Firenze ( ma lo aveva già fatto a Viareggio) nei documenti in circolazione praticamente non c’è traccia perché il governo del territorio è ignorato. Si accenna solamente poco e confusamente alla gestione urbanistica che rispetto a quelle giustamente definite ‘invarianti ambientali’ ( suolo,natura,paesaggio) possono permettere di rispondere a quella esigenza di trasversalità senza la quale i discorsi sul federalismo restano mere chiacchere.
firenze salone 500