Si intitola “Storie in Circolo” il viaggio nell’identità di Legambiente che il mensile “La Nuova Ecologia” ha cominciato a pubblicare con il numero in edicola e spedito alle decine di migliaia di soci del Cigno Verde. Un racconto fatto attraverso le testimonianze degli attivisti, aspettando maggio, quando la più importante associazione ambientalista italiana farà una grande festa per il suo trentennale. Ad aprire gli speciali della Nuova Ecologia è un racconto dell’elbano Umberto Mazzantini intitolato “L’isola gentile” che occupa tre pagine del mensile ed illustrato con un magnifico disegno di Nadja Ruju. Nella sua presentazione delle iniziative per il trentennale dell’associazione, la Direttrice Nazionale di Legambiente, Rossella Muroni, ne prende in prestito una parte per definire “i trent’anni di storia e i trent’anni di storie” del Cigno Verde in Italia: «Legambiente – scrive Umberto Mazzantini, storico dirigente dell’associazione nel suo racconto - non ha mai smesso di camminare, come un equilibrista ormai esperto, su questo stretto sentiero che ci hanno lasciato ripulire, ma che porta ancora al cuore intatto della nostra isola amata, al nostro arcipelago salvato, al futuro che ci hanno prestato gli invasori del passato e i loro figli futuri che vivranno ancora in questo piccolo continente gentile». Noi continuiamo a camminare, raccontando questo nostro unico e appassionante viaggio. Un bel riconoscimento per l’attività del Circolo Legambiente Arcipelago Toscano, proprio mentre è partita la campagna tesseramento per il 2010 che registra già diversi nuovi soci. Ecco il testo del racconto di Umberto: L’isola gentile Di UMBERTO MAZZANTINI Un lungo conflitto locale. Fra le minacce degli antiparco e l’ipocrisia dei politici. Alla fine all’Elba il parco è nato. E ancora oggi Legambiente sta in prima linea per dargli un futuro. La mia è un’isola antica e paziente, un’isola gentile, che tanti invasori ha visto passare e con tutti è stata accogliente, dai misteriosi tirreni agli etruschi, dai romani ai banditeschi principi appiani, dai granduchi toscani ai milanesi turisti e ai tedeschi ritornati sulle nostre spiagge senza divise e elmi squadrati per farci amare le loro bellissime figlie teutoniche. Eppure sapevamo dal vento e dalla pancia sorda della Vandea brontolante che qualcosa stava cambiando nella pigra isola ancora democristiana dei primi anni ’90, dopo che Remo Gaspari calò dalle sue alte montagne abruzzesi sulle dolci pendici di castagni quasi marini del Monte Capanne per dispensare i miliardi (ancora in lire) per l’istituzione di un parco senza aggettivi. Sapevamo, noi di Legambiente, che una prima pietra di qualcosa era stata posta dal pacioso zio abruzzese che dispensava gli ultimi spiccioli della Cassa del Mezzogiorno. Noi lo sapevamo, gli altri fecero finta di non accorgersene ed intascarono i soldi ed avviarono i lavori dimenticandosi cha la parolina “parco“ voleva pur dir qualcosa. Poi arrivarono decreti a raffica per la salvaguardia delle isole più piccole, sfornati senza opposizione da ormai dimenticati sottosegretari di un archeologico pentapartito, roba troppo astrusa e lontana perché l’isola potesse interessarsene. Il vulcano di parole e di insulti eruttò un po’ dopo l’approvazione della prima legge nazionale sui parchi, quando fu chiaro che in quello scherzo di parco elbano c’era il seme di un parco nazionale, che zio Remo ci aveva fatto un bel regalo o un brutto scherzo, a seconda di come lo guardavano le due fazioni che immediatamente si crearono all’Elba. Ma questa è anche una storia di nascondimenti e dimenticanze e se qualcuno cercasse nelle ingiallite pagine dei quotidiani elbani dell’epoca un solo riferimento a quella inaugurazione in pompa magna nel municipio di Marciana, non ne troverebbe traccia. Erano gli anni della fine della prima repubblica ed i democristiani di allora fecero sparire tutto, come Stalin con le foto di Trotski, poi il nascente centro-destra dette la picconata letale e il PCI-PDS seppellì tutto in una fossa melmosa fatta di distinguo, ritrosie, vorrei ma non posso e rincorsa all’elettorato altrui. Da quel nascondimento, da quella negazione di padrinaggio e responsabilità dei partiti, dalla fuga delle levatrici istituzionali che non riconobbero il figlio di troppi padri, scaturì una protesta contro il “colonialismo romano-fiorentino” che voleva imporre il parco nazionale al popolo elbano, un magmatico movimento che si sarebbe squagliato entro poco tempo come neve al sole, ma che all’inizio portò in piazza migliaia di persone per poi presto tramutarsi in una fazione politica capeggiato dai nuovi capipopolo (spesso non elbani) della destra che si faceva spazio a gomitate, sperimentando sul campo quel populismo canagliesco che entro pochi anni avrebbe conquistato l’Italia, con la paura del nuovo spacciata per modernità e con lo schifo per la complessità e la ragionevolezza trasformato in virtù semplificatoria. Non mancarono le vergognose manifestazione di guerrieri di cartone, le sassate contro la Provincia di Livorno colpevole di “trattare”, l’invasione isolana delle strade di Firenze contro la Regione di cui l’unico ricordo rimane l’incivile strascico di rifiuti che lasciò a due passi dal Duomo. Poi naturalmente vennero le minacce di fare l’Elba nera, che qualcuno prese sul serio ammazzando col fuoco milioni di alberi e animali, devastando montagne e paesaggi con una rabbia senza colpevoli e ormai dimenticata. Poi vennero le minacce a Legambiente, all’unica forza che aveva avuto il coraggio di restare ferma a difendere il parco e l’ambiente contro una marea di insulti, calunnie, invenzioni, dicerie da untori medioevali, profezie di rovina e fili spinati, di riserve indiane e campi di concentramento in costruzione, di lumache e castagne proibite, di divieti di gite in barca, di amori perduti con le turiste, di pesci imprigionati per sottrarli a reti e lenze, di arrivo di giraffe e leoni per ripopolare le montagne e le coste salmastre dell’Elba… Legambiente restò ferma, a spiegare e litigare, a ribattere colpo su colpo, sapendo che la burrasca sarebbe passata con la nottata, ma che avrebbe lasciato macerie e poltrone che presto si sarebbero contese volentieri gli ex antiparco e i politici prudentemente eclissatisi nel comodo “sopra le parti”. Che tutto sarebbe finito lo capimmo quando la disperazione degli antiparco si trasformò in minacce telefoniche di morte contro molti di noi, in auto danneggiate ed orti bruciati, quando l’ala dura degli antiparco fu lasciata sola a scolare la rabbia su ipotetiche barricate di parole, mentre i partiti della destra contavano i sacchi riempiti di nuovi voti, quando a benedire la stanca Vandea con uno sputazzante comizio arrivò il leghista Borghezio incitando ad un blocco portuale di Portoferraio che produsse solo una condanna per i più esagitati, dalla quale il furibondo padano si salvò con la comoda immunità parlamentare. L’Elba, l’Isola paziente, alla fine si stancò come ha sempre fatto del gioco e delle chiacchiere, delle paure e dei volantini, dei Masaniello col Suv e il fucile, dei bracconieri che chiedevano giustizia, dei cementificatori che dicevano che bisognava difendere l’isola dal colonialismo rosso-verde, dei fascisti col cerino in mano che accusavano Legambiente di essere talebana e integralista. Alla fine arrivò il primo ministro dell’ambiente del primo governo Prodi, Edo Ronchi, e disse agli imbelli compagni elbani: «Il giochino è finito, il parco si fa come vuole e dice la legge». Ad accoglierlo due imbarazzanti manifestazioni antiparco per pochi intimi che finirono per accusarsi l’un l’altra di non essere i veri anti-parco. Ad accoglierlo e ad applaudire anche i redivivi ambientalisti, i verdi doc che ci avevano lasciato soli sulle barricate a prendere sputi e legnate che abbiamo sempre schivato e a volte restituito. Quella battaglia ha fortificato Legambiente, l’ha irrobustita fino a farla diventare un elemento essenziale della vita culturale, politica e sociale elbana, un interlocutore stimato ed un avversario temuto. Quello scontro senza tregua e sconti, quel periodo in cui nessun colpo basso ci è stato risparmiato, ci ha fatto diventare più forti, ha rivelato agli isolani una forza ambientalista lontana dalla caricatura degli amanti dei fiorellini, dell’innocente beota o del bieco svenditore di isole che a giorni alterni gli antiparco volevano affibbiarci. Dal fuoco di quello scontro a volte umiliante e volgare con un’isola che non conoscevamo è emersa un’Associazione ambientalista con un nocciolo duro, incorruttibile ed allo stesso tempo duttile, pronta al dialogo anche con l’avversario più duro ma intransigente con i bugiardi ed i provocatori, senza paura di dire l’indicibile, che spesso è la verità. La lunga battaglia del parco ha svelato alle nostre “innocenti” e dimenticate isole della bonomia democristiana e delle integerrime e quasi mai governanti opposizioni di sinistra, il nuovo volto di una politica sfigurata dall’affascinante lifting del populismo bugiardo, della politica che non ha paura di contraddirsi e che non ha bisogno di istruirsi, sempre pronta ad aderire al peggio, vantandosi di parlare alla pancia della gente, che considera ormai cuore e cervello due organi pericolosi. Quello che prima era impossibile e vergognoso è diventato normale, si scende e sale dai partiti come da un autobus sempre accogliente, la mutazione genetica degli antiparco è avvenuta tutta all’interno di questo schizofrenico percorso: prima si era contro il parco perché si sarebbe occupato di tutto, perché sarebbe diventato il padrone dell’Elba, oggi si dice che è inutile perché non si occupa di tutto, perché non risolve tutti i problemi dell’Elba e dell’Arcipelago. Qualche capopopolo ha fatto una minima carriera politica, altri sono rimasti seppelliti sotto le loro stesse bugie e le loro ambizioni da poco. Una popolarità effimera, svanita con la rabbia delle urla. Legambiente non ha mai smesso di camminare, come un equilibrista ormai esperto, su questo stretto sentiero che ci hanno lasciato ripulire, ma che porta ancora al cuore intatto della nostra isola amata, al nostro arcipelago salvato, al futuro che ci hanno prestato gli invasori del passato e i loro figli futuri che vivranno ancora in questo piccolo continente gentile. L’AUTORE « E’ figlio di un pescatore analfabeta, ha lavorato per una decina di anni come sommozzatore e poi come boscaiolo. E’ tra i fondatori, nel 1986, di Legambiente Arcipelago Toscano. Attualmente è portavoce del Circolo locale e fa parte del Direttivo Nazionale dell’associazione ambientalista come responsabile per le Isole Minori. Rappresenta le associazioni ambientaliste nel Direttivo del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano fin dalla sua istituzione. E’ considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente e della vita politica e sociale delle isole toscane. Scrive per Greenreport, il quotidiano on-line per un’economia ecologica».
Legambiente in equilibrio disegno