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Controcopertina: Un caso di riservatezza privata inutilmente violata

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : domenica, 10 gennaio 2010

Caro Sergio, tu che un po’ mi conosci, sai che non sono mai stata una ragazza particolarmente riservata; come molte femmine, posseggo la mia buona dose di vanità, ed essendo mediamente egocentrica, mi piace partecipare alla vita sociale-comunitaria per mezzo di blog, giornali, o quanto altro mi capita a tiro, comprese le immancabili spettegolate all’Angolo Bar con le mie degne compagne di gossip. Ciò ha comportato che in passato alcuni episodi legati alla mia vita privata venissero resi pubblici attraverso i giornali, come il mio matrimonio, o da catene di mail, come avvenne per la nascita di mio figlio Leonardo, e di questo non posso che esserne felice. Accade adesso alla tenera età di 28 anni, dieci anni precisi dal mio “debutto in società”, che un piccolo, insignificante, minuscolo, evento sia riuscito a destabilizzare quella che è sempre stata una delle mie poche certezze, che recita più o meno così: bene o male l’importante è che se ne parli, e ovviamente non è riferito alla mia persona, ma va inteso come un concetto più ampio, relativo all’importanza di parlare delle cose, degli eventi, di sviscerarli, avendo cura di sentire sempre entrambe le campane. Ritengo che questo sia l’unico modo per costruire le nostre opinioni in modo esaustivo, e soprattutto prive dei vizi causati dal pregiudizio o dell’ignoranza. L’episodio che ho pocanzi definito banale, è andato ad intaccare proprio le mie convinzioni relative il concetto di “privacy”. Personalmente non sono mai stata una sostenitrice della “privacy sempre e comunque”, anzi, ho sempre ritenuto che la trasparenza sia elemento fondamentale per la vita comunitaria, sia in termini di sicurezza che di condivisione. Proprio lo scorso anno ho dibattuto all’università una relazione nella quale sostenevo, nell’ambito del rapporto scuola-famiglia-alunno, l’importanza della condivisione con gli insegnanti di quei dati ritenuti “sensibili” quali la composizione del nucleo familiare, eventuali disagi economici, sanitari e sociali, ecc, proprio perché credo che condividerli sia il primo passo per tenere lontana la terribile bestia dell’isolamento. Il fatto, o meglio, il “fattaccio”, artefice di tanto sgomento, ed in seguito sdegno, è stata la pubblicazione della graduatoria delle borse di studio sul sito ufficiale del comune di Portoferraio. Nell’elenco, visibile da chiunque acceda al suddetto sito, sono presenti dati che a mio avviso vanno ben oltre le finalità comunicative. Oltre nome, cognome e codice fiscale del richiedente il sussidio , solo quest’ultimo più che sufficiente ad identificare “uno e uno solo” cittadino italiano, sono presenti indirizzo completo di residenza, ISEE dichiarato, contributo erogato, indirizzo mail e, ciliegina sulla torta, nome e cognome del bambino e classe frequentata. La domanda che ora mi pongo, e che pongo a te e ai lettori è la seguente: è eticamente corretto che in nome della semplificazione amministrativa, quindi del risparmio cartaceo, postale e delle (peraltro ben pagate) risorse umane, venga meno il rispetto della privacy personale? E’ giuridicamente plausibile che da oggi chiunque sappia dove abitiamo io e mio figlio, quanti anni ho, e a quanto ammonta il mio reddito annuo? Linda Del Bono Secco e duro un bel NO, non è giusto.


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