L’entrata in vigore del nuovo Codice sui beni culturali sia pure in ritardo nulla aggiunge ai problemi e agli interrogativi suscitati al momento della sua approvazione. Semmai le coincidenze in gran parte del tutto casuali con eventi talvolta drammatici e altre scadenze legislative e normative ne ripropongono limiti e rischi. Anche gli annunci televisivi di questi giorni hanno ripetuto sbrigativamente che con questo provvedimento ‘lo stato si riappropria dei controlli’ che le regioni avevano delegato ai comuni con effetti perversi sul paesaggio. Ora saranno le Sopraintendeze a riprendere in mano la situazione per conto dello stato e mettere fine a tanto scempio. Riappropriazione insomma significa che chi aveva già esercitato questo ruolo di controllo in passato e ne era stato poi espropriato torna in campo per evitare altri danni. Ma già qui c’è qualcosa che non convince. I guasti ambientali e paesaggistici non sono certo iniziati da poco. Lo stato si rivelò già in un passato niente affatto recente clamorosamente inadempiente su questo fronte nonostante la competenza esclusiva che gli assegna la Costituzione all’art 9. A quegli anni risalgono anche i limiti, i ritardi e le inadempienze delle stesse Sopraintendenze pure meno malmesse di ora. Il quadro comincia a cambiare quando il paesaggio -che resta competenza esclusiva dello stato- cambia come ‘materia’ non più separata e separabile dall’ambiente che viene ad assumere sempre più rilevanza nella gestione complessiva del territorio e non soltanto in Italia. In qualche misura con la legge 183 entrano in partita –ecco una coincidenza casuale con gli eventi alluvionali recenti- anche i fiumi con sorpresa se non scandalo di molti. Ma è soprattutto nel 91 che con la legge quadro sui parchi i piani previsti riguardano unitariamente ambiente e paesaggio, boschi e fiumi, costa e agricoltura. E per la prima volta si avvia quella ‘integrazione’ che sarà solennemente sanzionata dalla Convenzione europea del paesaggio. Dove non si era arrivati con i piani paesistici regionali e con le sopraintendenze i parchi e in qualche misura le stesse autorità di bacino con i loro siti e zone umide fanno fare un salto di qualità alla gestione di una ‘materia’ concepita secondo tradizione come separata e distinta dalle nuove tematiche ambientali ( pressoché ignorate dal ministero dei beni culturali come confermano ben due conferenze nazionali). L’avere sottratto ai piani dei parchi anche fluviali come in Piemonte già prima del nuovo codice il paesaggio per ricondurlo alla ‘copianificazione’ delle sopraintendenze è un errore madornale che complicherà ulteriormente le cose in barba alla chiacchere sulla semplificazione. Specie chi ha qualche dimestichezza con la pianificazione -caduta ormai largamente in disuso e non solo per i fiumi- sa bene quanto sarà arduo –diciamo pure impossibile- individuare quella linea di confine tra ambiente e paesaggio da copianificare in più sedi. Qualche effetto negativo di questo codice lo si è potuto vedere prima ancora che esso entrasse a tutti gli effetti in vigore; vedi l’inopinata decisione della regione Toscana di togliere ai parchi regionali il Nulla osta ambientale gestito da decenni. E -sempre a proposito di coincidenze casuali ma significative- come giudicare questa rivendicazione di ‘riappropriazione’ dello stato nel momento in cui dovrebbe decollare addirittura il federalismo. Se il buon giorno si vede dal mattino…
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