Da qualche giorno un nuovo ritornello ci risuona nelle orecchie, destinato ahimè a insistere per un bel po’; canta del “partito dell’Amore” -ovviamente il Partito delle libertà- riesumato dal Cavaliere dopo il pericolo miracolosamente scampato a Milano. Naturalmente contrapposto al partito dell’Odio, nel quale -oltre all’infelice Tartaglia e alla giovane “svizzera” del Papa che vi appartengono di diritto- vengono iscritti d’ufficio tutti coloro che si intestardiscono a rifiutare la zuccherosa melodia per tornare rapidamente ai temi seri della politica. Non interessa qui soffermarsi a esaminare i modi più o meno gradevoli, più o meno opportuni, con cui i temi “seri” della politica vengono affrontati da alcuni eroi senza macchia e senza paura, vedi Di Pietro e i suoi, poco attenti -mi pare- a cogliere le controindicazioni del loro linguaggio nell’impatto con un’informazione di massa posseduta dall’avversario e quindi assai facilitata a strumentalizzare i toni urlati e a nascondere i contenuti; per non parlare dei bloggisti, che usano la raffinata arma dell’ironia in un mondo di Gasparri (fortuna che rappresentano un’élite, per quanto ampia, che comunica solo ‘ad intra’). E’ più interessante, invece, considerare questa incursione della politica -per così dire- nell’ambito dei sentimenti, incursione tanto impropria quanto pericolosa, e perfettamente coerente con l’operazione di ‘marketing’ in atto per recuperare, com’è puntualmente avvenuto, il gradimento perduto con gli scandali femminieri: da utilizzare per forzare la mano nel progetto fondamentale in questo momento, di sottrarre il Capo ai tribunali (per definizione luoghi dove si consuma l’odio) in nome dell’amore. E’ stato autorevolmente notato come l’introduzione della categoria dell’amore nel dibattito politico -ovvero di un elemento che appartiene al ‘sentimento’ in un ambito che deve essere dominio del ‘ragionamento’- inclina, o scivola, verso un rapporto fra popolo e governanti (Governante) non più qualificabile come ‘democrazia’, in quanto il ‘demos’ (popolo) non esercita più il potere (crazia) attraverso lo strumento della delega, ma lo dona al Capo come pegno d’amore; ed egli ricambia con uguale amore: il che si chiama populismo. Il rapporto diviene personale, e le istituzioni vanno a farsi benedire (meglio il re, allora: la sua funzione è quella di portare la corona, che è il simbolo della Nazione e del patto sociale che la governa; può essere anche una persona insignificante o stupida, addirittura folle -com’è talvolta accaduto-, perché ciò che importa è la ‘corona’, e ciò che essa rappresenta). Ma un aspetto suona particolarmente stridente. La parola ‘amore’ usata da persone che non sembrano in grado di capirne nemmeno il significato. Laddove, infatti, il senso profondo dell’esistenza è dato dal comprare e dal vendere; laddove persino l’ammirazione è desiderio di possesso e azione rivolta al possesso, ‘a tutti i costi’; laddove mediatore unico di ogni gesto e di ogni rapporto sembra essere il denaro piuttosto che un pur impercettibile moto del cuore (come dicono i poeti); allora, davvero, come ha detto Bersani, la parola amore appare come ‘una parola grossa’, troppo grossa, assolutamente fuori luogo. Vengono in mente le parole del Filosofo: “Il denaro, in quanto indicatore del valore, può confondere e invertire ogni cosa (…) Chi può comprare il coraggio, è coraggioso anche se è vile. Siccome il denaro si scambia non con una determinata qualità, né con una cosa determinata, né con alcuna delle forze essenziali dell’uomo, ma con l’intero mondo degli oggetti, umano e naturale, esso per il suo possessore può scambiare le caratteristiche e gli oggetti gli uni con gli altri, anche se si contraddicono a vicenda. È la fusione delle cose impossibili; esso costringe gli oggetti contraddittori a baciarsi. Ma se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, tu puoi scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia, ecc. Se vuoi godere dell’arte, devi essere un uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli nella loro profonda realtà. (…). Quando tu ami senza provocare amore, cioè quando il tuo amore come amore non produce amore reciproco, e attraverso la tua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura”. Buon anno.
luigi totaro