L’Iran è un paese molto strano, soprattutto per quanto riguarda la condizione delle donne, che non possono guidare una moto ma possono sedere in Parlamento, che devono indossare il velo ma non rinunciano al chirurgo estetico, (a Teheran c’è una altissima concentrazione di nasi ritoccati dal lifting), che sotto gli abiti tradizionali celano biancheria intima provocante e abiti scollati da esibire in serate clandestine (ma di cui tutti parlano) in cui si bevono alcolici e si ascolta musica occidentale di tendenza. Certo si corre il rischio di un processo e di essere frustati, ma è il prezzo da pagare per manifestare una propria femminilità, frutto di scelte consapevoli e autonome, non imposte in nome di nessuna legge. Anzi forse è proprio grazie all’obbligo del velo che poi si arriva alla minigonna, sia pure nascosta. Il velo infatti ha permesso a molte donne di frequentare università e mondo del lavoro, è diventato quindi uno strumento per raggiungere il Sapere e di conseguenza la consapevolezza dei propri diritti. Non è un caso che sia stata una donna il simbolo dell’ultima rivolta di piazza a Teheran. Si chiamava Neda e rivendicava i suoi diritti di donna mussulmana, forse aveva partecipato a qualcuna di quelle feste, e magari era anche una appassionata di poesia antica come molti suoi compatrioti. Era molto bella Neda, è morta indossando un paio di Jeans e il velo e forse manifestava perché quel velo potesse essere una sua scelta e non un’imposizione. Afsaneh torna a casa dopo ventisette anni. Una vita intera è passata da quando lasciò Teheran e buona parte della famiglia, per vivere a Parigi con la madre. Afsaneh era una bambina, ora si chiama Sara e vive in un altro mondo, ma il dubbio la accompagna da sempre, l’ambiguità della appartenenza e l’incapacità di capire chi è veramente continuano a insinuare incertezze che appaiono insormontabili. A meno di partire, tornare indietro non solo con la mente, cercare e riprovare il contatto con persone e luoghi ormai legati solo alle poche fotografie conservate, alle rare lettere arrivate. Il viaggio alla ricerca della memoria però si trasforma inevitabilmente nella scoperta di un mondo estremamente contraddittorio. L’Iran non è più il paese delle esagerazioni del tempo dello Scià, la rivoluzione islamica ormai ha consolidato un potere temporale strettamente collegato, se non addirittura subalterno, a quello religioso, non nelle mani del presidente Ahmadinejad ma in quelle di Seyed Khamenei, la guida spirituale della nazione. Troppe cose sono cambiate e ciò che racconta Sara è forse il frutto della mediazione fra la sua idea di Iran e quello che veramente è, soprattutto fra la voglia di ritrovare e quella di scoprire, di non farsi condurre solo sulle strade della memoria e del possibile rimpianto, ma mettendosi in gioco in un confronto inevitabile fra le sue origini e il suo oggi. Forse Sara ha voglia di riappropriarsi di qualcosa che è naturalmente suo ma sconosciuto, e si lascia trascinare dalla curiosità e dai sorrisi, conduce il lettore nei luoghi dell’infanzia, presenta fratelli e sorelle, si fa aiutare nella riconquista della fiducia nel padre che nasconde lo sguardo dietro un paio di occhiali neri e continua a tradurre i classici della letteratura francese. La rivoluzione gli ha tolto il lavoro e molti privilegi, ma non la dignità e l’orgoglio. Il viaggio autobiografico di Sara Yalda si snoda dalle strade caotiche di Teheran ai villaggi che sembrano lì da millenni, dallo smog della metropoli ai paesaggi magici dell’antica Persia, dalle feste di rossetti e champagne clandestini ai cortili delle scuole coraniche. L’ansia del primo impatto diventa una lenta ma inesorabile consapevolezza che non si può improvvisare una famiglia dopo ventisette anni, così come non si rimettono radici in una terra abbandonata dopo così tanto tempo, ma vale comunque la pena pagare questo prezzo per smettere finalmente di fuggire. Sara Yalda Il paese delle stelle nascoste Edizioni Piemme € 15,00