Un tratto della costa nordorientale dell’Elba, nei pressi del Cavo, è chiamato ancora oggi con un bizzarro nome, «Il Fiammingo». La zona, interessata da escavazioni ferrose «ab immemore», è ammantata di una fitta macchia che si protende nel cobalto del mare. Ma quale origine per spiegare il particolare nome della località? Bisogna risalire al periodo in cui la città di Pisa stendeva il proprio dominio su quelle terre rosse di ferro. In atti notarili risalenti al 1364, il notaio Luca di Jacobo – che risiedeva nel paese di Rio ma era originario di Vico Pisano – registrava rendiconti e contratti stipulati sul suolo elbano, spesso firmati in riva al mare o tra i coltivi di quella ferrigna parte dell’isola. E il notaio descrive più volte la figura del «massarius» (ossia il custode) del «Magazenum vene ferri de Ilba» (vale a dire il deposito delle escavazioni ferrose elbane) che si trovava «apud plaggias Rii et Grassule»; il suo nome era Frammingo Molticci, cittadino pisano figlio di Baruccio Molticci. A quanto scrive Luca di Jacobo, nel 1364 il custode Frammingo insieme al «dohanerius» (doganiere) Piero Guglielmi – succeduto a Jacobo Nini Rosselmini – fece causa, per probabili questioni di competenze lavorative, al livornese Cionetto Coli Ghesi; questi era proprietario dell’imbarcazione chiamata «Sant’Antonio», che veniva usata per il trasporto del minerale verso la terraferma ed era ormeggiata davanti alla spiaggia su cui sorgeva il «Magazenum». In seguito, dopo aver promosso responsabile del «Magazenum» il pisano Marino Aldigeri, Frammingo lasciò il titolo di «massarius» a Bacciameo Bonanni, anch’esso cittadino pisano; e un giorno, racconta ancora il notaio Luca, il nuovo subentrato Bacciameo chiese a Frammingo un elenco del materiale contenuto all’interno del «Magazenum». Dall’elenco risultavano 2 bilance, 2 rastrelli, 3 zappe, 4 picconi, 4 mazzuoli, 3 catene, 2 «tabacchi», 8 perni per «tabacco», 4 «romani», 6 scandagli con anelli, 6 coffe e 5 chiavi. Frammingo Molticci era considerato un personaggio decisamente importante; e non a caso il suo nome compare, insieme a quello di sacerdoti e possidenti terrieri, in quasi tutti gli atti stipulati dal notaio Luca nell’Elba orientale, spesso redatti nella pubblica piazza di Rio («actum in Communi Rii insule Ilbe ante ecclesiam Sancti Iacobi, presentibus Frammingo Molticcii de Pisis») o nel villaggio di Grassera («actum in Communi Grassule in via publica ante domum habitationis dicte domine Cecche, presentibus Iacobo Nini Rosselmini de Pisis, Frammingho condam Ser Baruccii Molticcii de Pisis»). Il ricordo del custode Frammingo Molticci rimase a lungo in quei luoghi, tanto da trasformarsi nel nome «Fiammingo», oggi altrimenti incomprensibile; e spero davvero, con questa mia minuscola scoperta, di aver fatto rivivere, anche se solo per un attimo, il nostro «Frammingus condam Ser Baruccii Molticcii, massarius vene ferri de Ilba pro Communi Pisanarum». FONTI Luca di Jacobo, in «Fondo notarile antecosimiano L 319», Archivio Statale di Firenze, 1363-64. Fortunato Pintor, «Condizioni economiche dell’Elba sotto i pisani», 1892. Luciano Melani, «Andrea Pupi e Luca di Jacobo», tesi di laurea, 1977. Paolo Ferruzzi, «Testimonianze dell’edificazione religiosa dopo il Mille», 1985. Silvestre Ferruzzi, «Synoptika», 2008.
spiaggia fiammingo