Signor Ministro Ignazio La Russa, ho avuto modo di ascoltare in questi giorni il suo intervento dello scorso 4 novembre, su RAI UNO, in cui lei era ospite del programma condotto da Lamberto Sposini. Voglio subito precisare che non intendo entrare nel merito della discussione sollevata dalla sentenza europea sul crocifisso. Non è di questo che voglio parlare. Neanche del fatto che lei ha sottolineato che la sua opinione era incaz…. Certo non è proprio un bell’esempio che un Ministro, sulla più importante Rete della Rai, in diretta, dica le parolacce per rafforzare il proprio pensiero. Forse è un segno di mancanza di autorevolezza... Le parolacce, le lasci dire ai comici... Ma non è neanche di questo che voglio parlare. Vorrei invece esprimere la mia forte preoccupazione per quello che Lei ha detto. Ripeto, non tanto sull’opportunità o meno di esporre il crocefisso nei luoghi pubblici, ma il fatto che Lei, per ben tre volte, ha ripetuto: ‘Possono morire, possono morire, possono morire…’ riferendosi a quelli che vogliono togliere il crocifisso. Con tanto di applauso del pubblico presente. Mi creda, mi è venuto un brivido alla schiena. Forse (anzi, senza forse) crediamo in un Dio diverso. Io cerco, mi sforzo, di credere nel Figlio di Dio, morto inchiodato sulla croce come un pericoloso delinquente, che ha detto ‘Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno’. Che ha vissuto la croce, sconfitta umana in modo totale (certo poi è risorto!!), deriso dai soldati, abbandonato anche dagli amici, accusato dal potere politico e religioso di allora; con la folla che gridava ‘Via via, crocifiggilo !’. Un Gesù che prima di essere arrestato dice a chi lo vuole difendere ‘Rimetti la spada nel fodero’. Quel Gesù che ha invitato a perdonare fino a 70 volte 7, cioè sempre. Quel Gesù che ha proclamato e vissuto le Beatitudini della mitezza, della purezza, della misericordia. Beati i poveri. Beati quelli che piangono, beati gli operatori di pace. Quel Gesù che ha scandalizzato perché ha accolto lebbrosi, prostitute, pubblicani, stranieri, poveri e disprezzati di ogni genere e che, finendo sulla croce, è diventato motivo di scandalo per alcuni e stoltezza per altri. Quel Gesù che possiamo riconoscere nei tanti uomini e donne ancora oggi inchiodati sulle proprie croci, perché in ogni persona siamo chiamati a vedere il Suo volto. Quel Gesù in cui cerco di credere è un uomo debole, mite, che accoglie, che apre le sue braccia, e il suo cuore, sulla croce, per tutti. Un Gesù che, fin dall’inizio, rifiuta la tentazione del potere… ‘Via da me, satana’. È aberrante ascoltare frasi come le Sue, in cui, per difendere il crocifisso, si ripete con foga e veemenza ‘Possono morire, possono morire, possono morire...’ È l’espressione di una religione che non è la mia. O, forse, è proprio l’espressione di una religione che non c’entra con la fede in Gesù Cristo. Una religione civile. E la cosa mi sembra molto pericolosa. Le assicuro che io - prete da 30 anni - non voglio essere sacerdote di questa religione. Concludo con una citazione di un noto biblista, Alberto Maggi: "La differenza tra religione e spiritualità (o fede) è che mentre la prima nasce dagli uomini ed è diretta verso la divinità, la seconda nasce da Dio ed è rivolta agli uomini. Mentre nella religione conta ciò che l'uomo fa per Dio, la spiritualità nasce da ciò che Dio fa per gli uomini. Nella religione è sacro il Libro. Nella spiritualità è sacro l'uomo. Nella religione è importante il sacrificio, nella spiritualità l'amore. Le crociate e le guerre sante non nascono dalla spiritualità, ma dalla religione” (“E se Dio rifiuta la religione?”, Cittadella editrice). Distinti saluti d. Renato Sacco Mentre chiudo questa lettera, leggo che, oggi, il Senato ha votato il ddl che istituisce la Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace. Voto bipartisan, a 6 anni dalla strage in cui caddero 19 militari italiani. Mi creda, io ho partecipato a Baghdad, nel 2003, alla cerimonia funebre per i nostri soldati uccisi... purtroppo senza una parola per le vittime irachene. Il mio è un Dio della pace, non della guerra. È un Dio Padre di tutti. Per questo credo sia importante quanto scritto da Pax Christi internazionale e Pax Christi Italia, lo scorso 5 novembre: “Il ricordo e la preghiera siano per le vittime, per tutte le vittime. Conosciamo il numero e il nome dei soldati americani, inglesi o italiani uccisi in Iraq, ma non conosciamo neanche approssimativamente il numero, né il nome, delle migliaia e migliaia di persone irachene uccise dalla guerra e dal terrorismo. Bambini, donne, uomini, tutte vittime della follia della violenza. Ricordare solo i ‘nostri’, gli occidentali, e dimenticare le vittime irachene sarebbe un’ulteriore violenza, un crimine nei loro confronti, che non aiuta a costruire un futuro di pace”.
Gesù e l'adultera più grande