Il reticolo di sentieri che attraversa in lungo e in largo l’isola d’Elba e le isole minori è il frutto di una storia millenaria di uso di questi suoli e quindi un’autentica espressione della cultura locale. Un tempo i viottoli erano le uniche vie di collegamento di un’economia rurale naturalmente custode dei propri poderi, dove fatica e sudore si mescolavano alla timidezza e alla frugalità: “all’onsù” –“all’ongiù” era lo scambio di saluti tra chi si incontrava nei tracciati fra i campi ancora 40 anni fa! Me lo ha ricordato Umberto Segnini, una guida storica che ha camminato con il cuore in mezzo a questo territorio. Questa economia rurale si è rapidamente dissolta all’Elba per la fugace avventura siderurgica e soprattutto per la trasformazione in economia turistica che ha dato una svolta totale all’uso locale del suolo e al comportamento della gente. La vita attiva si è spostata lungo la linea di costa e il popolamento stabile nell’entroterra si è progressivamente ridotto alla presenza estiva. Sono tornate le boscaglie al posto delle viti, il castagneto non è più stata una risorsa. Al posto della piccola selvaggina sono stati introdotti il cinghiale e il muflone, con il disagio di molti. Quasi tutti si sono messi nell’edilizia per produrre posti letto, molto più redditizi dei grappoli d’uva, del grano e dell’olivo. Chi ha saputo fare i metri cubi, in un modo o nell’altro, ne ha tratto maggior stima e forza d’azione. Ampi terrazzamenti sono stati abbandonati e i coltivi dimessi. Da qualche anno è riemerso il desiderio di riportare un po’ di vitalità a questi pendii, con l’intento di ricercare forme di economia complementari, in maggiore sintonia con una visione di accoglienza espressiva della cultura isolana. Le esperienze della produzione locale stanno oggi diventando ottimo slow food e le attività autentiche buone pratiche. In ampie superfici, la cura del territorio non è tuttavia da tempo riconosciuta come una priorità e, a tutt’oggi, l’ambiente non è ancora visto come parte essenziale dell’economia turistica locale, ma neppure interpretato come patrimonio comune e risorsa della collettività. La tradizionale custodia delle superfici agrosilvo-pastorali, dapprima delegata agli operai forestali, assunti per rinforzare l’occupazione, aveva lo scopo di coprire le nudità rocciose per preservare il suolo dal dilavamento e di attuare la ripulitura dei fossi per controllarne la sicurezza. Vi sono stati anni in cui sono stati effettuati estesi rimboschimenti con pinete a rapida copertura, poi vi è stata la stagione dei roghi per scomode decisioni e i processi impegnativi di composizione dei conflitti per far crescere autentiche prospettive. La prevenzione e la manutenzione ordinaria condotte dai singoli sono state sempre più sostituite da interventi pubblici con funzioni per lo più di rimedio laddove le avversità causavano danni ed emergenze. Le competenze della gestione e difesa del suolo sono state distribuite a più amministrazioni in virtù di normative sempre più settoriali. Tutti gli Enti dapprima hanno potuto contare sulla manualità dei rispettivi operai assunti come squadre di azione, ma in pochi anni le figure di ausiliari dedicati alla manutenzione ordinaria si sono ridotte per contenere gli oneri salariali. Così si appaltano i servizi a ditte esterne e l’attività che si può organizzare con incarichi affidati è soprattutto quella straordinaria, stante lo stanziamento di somme una tantum nei capitoli dei bilanci. La manutenzione ordinaria diventa inevitabilmente saltuaria, così come avviene nelle nostre case, quando lavorando tante ore fuori non c’è tempo per fare ogni giorno qualcosa. Quando vi sono fondi per ripristinare la senti eristica, come quelli recentemente assegnati al Parco Nazionale dalle risorse regionali, si tratta di somme attribuite in conto capitale, denaro cioè che si può usare solo tramite appalti e cioè per fare opere, come muretti progettati , lavori di ingegneria e arredi, ma non per tagliare rami o ripulire da rovi. Il rischio incuria si è innescato da tempo, un po’ ovunque, non solo nell’Arcipelago, spesso il consumo di suolo, il superamento dei vincoli idrogeologici e il degrado mettono a dura prova territori straordinari del nostro bel Paese. In certi contesti il vandalismo trova alla fine un alveo ideale, soprattutto dove vi sono manufatti e insegne di significato educativo. Buttar giù i cartelli, prendersela con le panchine e le bacheche, spesso è solo il linguaggio della noia, ma in luoghi strategici diventa la voce della contrapposizione che ha bisogno di amplificarsi attraverso la cassa di risonanza che dilaga nella lamentela collettiva. Sentieri sporchi, tabelle mancanti, gente che si perde, il Parco non è all’altezza del compito che deve svolgere. Aizzare la protesta contro il disservizio pubblico favorisce il populismo senza coraggio. Nei blog spesso fanno bella mostra i cartelli del sentiero delle farfalle decapitati, le palizzate gambizzate, le segnaletiche divelte e le panche ridotte a legname da bruciare. Luoghi e coincidenze che molti sanno avere firme chiarissime. In tanti, anche in buona fede, si aspettano che scattino immediatamente i soccorsi. Non riflettono neanche un attimo che il denaro pubblico necessario per riparare i danni non sgorga come per incanto da un rubinetto, se dietro a questo non c’è un serbatoio capiente di risorse alimentate tramite le tasse dei contribuenti. L’inciviltà occulta e la perdita di denaro non vengono condannate ma invece si colpevolizza il Parco perché non mette mai a posto nulla! Nella giornata di domenica scorsa, sotto il sole, con un gruppo del Rotary abbiamo fatto una bella escursione dal Burraccio lungo il crinale che porta a Cima del Monte, per poi discendere verso la strada dove l’area di sosta Le Panche, recentemente sistemata per l’ennesima volta, con denaro della collettività, era stata ancora una volta devastata. Il nuovo cartello dell’indicazione della Casa del Parco giaceva spezzato, le panchine smontate, i plinti in calcestruzzo divelti necessariamente con l’uso di micidiali macchine d’urto. Amarezza e sconforto … per tanta barbarie ai danni di un punto panoramico frequentato da moltissimi turisti! Un biglietto inequivocabile per farsi apprezzare … soprattutto da chi non può conoscere le contrapposizioni locali perché viene da altri Paesi e frequenta l’Elba quando la stagione estiva sta tramontando. Ci sono molte brave persone che hanno preso le distanze da queste vicende e hanno capito che oggi si può costruire una comunità di consenso con il servizio pubblico. Il Parco non è un “altro mondo” da chi vive e lavora qui. Nei Comuni si fanno sempre più iniziative di pulizia con il coinvolgimento del volontariato; le associazioni ambientaliste sanno costruire una forte partecipazione; le persone che lavorano nel Parco stanno con quelli che si adoperano per vincere l’indifferenza. Oggi molti sono fiduciosi di poter costruire una comunità di intenti più esperta nell’affrontare le criticità che si palesano in continuo con gli effetti di uno sviluppo poco equilibrato. Il problema della risorsa idrica e del colabrodo della rete d’adduzione è una spada di Damocle per il turismo assai più pericolosa di qualche norma di controllo combattuta con i cartelli sfregiati. Un sistema più espressivo di nuovi legami tra lo sviluppo locale e la gestione del territorio potrà darci buoni risultati se si sapranno mettere insieme risorse e intelligenze per far vincere l’ingegnosità e l’orgoglio di farsi ancora custodi dei luoghi e non meri criticanti. Intanto una piccola pattuglia metterà in piedi la segnaletica abbattuta a Rio Elba… utilizzando quelle formule di collaborazione tra Enti già ampiamente sperimentate con l’Unione dei Comuni. Poi apriremo una pubblica verifica per dar vita ad un progetto di sistemazione della senti eristica a più vasta scala perché, come già ricordato, finalmente possiamo contare su un buon finanziamento triennale della Regione Toscana. Chi ha cuore questi viottoli potrà unirsi all’alleanza che si sta consolidando tra pubblico e privato per dare un apporto sincero anche solo di attenzione e di solidarietà, per trattar bene questo meraviglioso scoglio.
sentiero 18 forcioni