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A Sciambere dei nomi e dei destini

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : domenica, 11 ottobre 2009

Nelle comunità costituite da un limitato numero di cittadini dove un po’ tutti si conoscono (e la ferajese “città dell’Elba” non sfugge alla regola) succede qualcosa di anomalo per quanto riguarda l’imposizione dei nomi ai nuovi nati. Accade che i preoccupati genitori evitino di chiamare i loro virgulti come dei concittadini un po’ troppo bizzarri, o toccati dalla cattiva sorte etc., poi la generazione scorre, la comunità perde memoria del picchiatello ed il nome torna in auge. Chi volesse perdere tempo in uno studio inutile constaterebbe ad esempio che un nome diffusissimo come “Marco” in un certo arco di tempo fu imposto a pochissimi ferajesi . Perché? Perché quel nome era stato affibbiato ad un povero macaco che era tenuto miseramente in gabbia ai giardini delle Ghiaie, dileggiato per le sue impudiche pratiche autoerotiche e fatto oggetto di scherzi crudeli quali il lanciarli un sasso incartato in una carta di caramella, finché la povera bestia non elaborò la contromossa di rispedire il sasso al mittente. Stessa sorte era toccata al nome “Enrico” che in precedenza era stato portato da un ometto un po’ troppo ridanciano che andava in giro (ci affiora una confusa immagine nella mente) con un carretto a mano compiendo minimi servizi. Lo chiamavo Enrico-Baiardo ed ipotizziamo che qualche crudele avesse aggiunto al suo nome quello dell’ariostesco destriero per sottolineare il suo permanere alle stanghe del carretto, una specie di “un uomo chiamato cavallo” insomma. E la cosa strana è che dimenticatisi di Enrico (e quindi sdoganato il nome), rimaneva però nel lessico ferajese il termine “baiardo” (pron. “bajardo”) con appunto il significato di “leggerone, persona incline a ridere per i più sciocchi motivi” E ci ricordiamo anche di un altro poveretto che determinò la quasi completa sparizione di un nome tra quelli dei nuovi nati, era in là con gli anni, quasi calvo, provvisto di una formidabile dentatura che di solito stazionava al cinema ed anche lui spesso colto da irrefrenabili e rumorosi attacchi di ilarità. Per niente si sganasciava dal ridere, e non in senso figurato ma reale poiché in diverse occasioni era rimasto con la mandibola bloccata a bocca aperta ed era toccato ricorrere ai medici per fargliela tornare a posto. Gli spietati ferajesi dell’epoca chiamarono il dentatissimo pelato scompisciato: SILVIO-TONTO, ovviamente per anni ed anni i “Silvio” furono rarissimi. Sarà mica: un nome, un destino?


orango scimmia risata

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