Nello scorso dicembre al congresso di Federparchi anche il ministero dell’ambiente -sia pure senza particolare entusiasmo- convenne sulla opportunità di preparare la terza conferenza nazionale dei parchi. Le ragioni che già allora consigliavano e rendevano per molti aspetti urgente questo appuntamento erano molte e evidenti. I parchi da tempo erano entrati in una zona d’ombra illuminata soltanto da commissariamenti, drastici tagli finanziari e una plateale assenza ministeriale- e in larga misura anche parlamentare- per tutto ciò che atteneva alla costruzione di un sistema, di una rete effettiva dei parchi e delle altre aree protette a partire da quelle marine le più malmesse. Il tutto aggravato dalla penalizzazione dei piani dei parchi a cui il nuovo codice dei beni culturale -è bene ricordarlo visto che tanti fanno gli gnorri- ha sottratto la parte paesaggistica. Non solo. Da allora abbiamo avuto -lo ricordava Niccoletti qualche giorno fa- la decisione tremontiana di sciogliere gli enti parco nazionali e successivamente la proposta Calderoli (poi ritirata) di abrogare i parchi regionali a cui sono seguite sortite -specie dopo le ultime elezioni amministrative- in varie parti del paese volte a riportare indietro e di molto l’orologio. Si sono distinti i leghisti e non solo all’Arcipelago toscano con vere e proprie bischerate ma anche altri non hanno disdegnato di tornare a parlare di referendum abrogativi, di riproposizione di appelli del tipo ‘qui comandiamo noi’. Intanto il ministro Prestigiacomo era ed è un giorno scippata nelle sue competenze e funzioni dalla Brambilla, l’altro da Tremonti, Calderoli senza che nessuno si prenda neppure la briga di comunicarglielo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti; i parchi stanno andando alla deriva soggetti -specie quelli nazionali e marini- a tutti gli spifferi anche i più malsani che purtroppo non riguardano solo i parchi ma anche i bacini idrografici e molto altro ancora. Non c’è perciò da stupirsi che della terza conferenza nazionale a Roma non parli più nessuno né al ministero né in parlamento. Evidentemente non gliene frega niente, anzi una occasione in meno in cui si sarebbe costretti a spiegare, a rendere conto di quello che si sta facendo e soprattutto non facendo. Non c’è perciò da stupirsi che complice il silenzio e la calma piatta qualcuno stia pensando, ad esempio, di tagliare fuori del tutto i parchi regionali da qualsiasi ruolo nella gestione delle aree protette marine. Riguardo alle quali -veri parchi di carta- come si dice ormai in europa, va ricordato che nel mediterraneo solo il 4% risulta protetto, percentuale che scende allo 0,4% se si toglie il santuario dei cetacei ( che dorme alla grossa) che si riduce ulteriormente allo 0,01 per le altre aree marine protette. Per fortuna a questo sconfortante quadro nazionale in alcune regioni in particolare si è risposto e si sta cercando di rispondere con un serio impegno per rilanciare il ruolo dei parchi e delle aree protette che mai come in questo momento possono contribuire ad uscire dalla crisi che attraversa non solo il nostro paese. Impegno tanto più importante perché incrocia il difficile dibattito in corso sul federalismo, il codice delle autonomie e in definitiva il famoso titolo V della Costituzione da tempo a bagno maria. E lo incrocia in un punto fondamentale ossia il governo del territorio la cui legge dorme da tempo, così gira e rigira tutto ruota intorno a norme urbanistiche da rivedere con tanti saluti ad una politica di pianificazione e programmazione che proprio nei parchi e nei bacini idrografici dovrebbe trovare i suoi sostegni più qualificati e attrezzati. Di questo discuteremo a Pisa l’11 novembre per iniziativa nazionale di Legautonomie, ma anche il 5 novembre alla Conferenza dei parchi liguri con Claudio Burlando e ancora il 13 a Sarzana su parchi e bacini per iniziativa del centro studi di Montemarcello-Magra, a dicembre in Emilia per iniziativa di quella regione che ha recentemente ha approvato un importante documento di pianificazione regionale all’interno del quale i parchi e le aree protette hanno un posto di tutto riguardo. Intanto Toscana, Liguria e Emilia stanno cercando di definire un protocollo di collaborazione appenninica tra i parchi interessati. Intendiamoci, anche qui non mancano i problemi e non solo quelli derivanti ovviamente da una situazione nazionale dai cui effetti negativi e impossibile sottrarsi del tutto. In Toscana, ad esempio, la nuova legge sui parchi è incomprensibilmente ferma nonostante che nella regione stiano nascendo nuove e importanti aree protette come il parco dei Montioni. Se vogliamo contribuire anche a smuovere una situazione nazionale davvero scandalosa bisogna riuscire a fare di meglio anche nelle regioni.
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