Da una lontana terra di oriente abbiamo appreso pressoché in uno spietato tempo reale consentito dai moderni mezzi di comunicazione una pessima notizia quella della morte di un sei nostri giovani connazionali, soldati di professione, impegnati in una missione dichiarata di pace ma esercitata in un paese dilaniato da una spietata infinita guerra a quel punto ricordata da tutti i mezzi di informazione, grandi e piccoli che da ore ininterrottamente cavalcano e alimentano l’onda emozionale. Ci dispiace di quanto accaduto proviamo pena e compassione per le giovani vite stroncate, per le famiglie colpite dal lutto Però Però non possiamo scordare, con grandissimo rispetto per chi la fa, che la scelta professionale compiuta da chi porta le armi comporta accettare il rischio di perdere perfino la vita, così altri professionisti per la nostra sicurezza rischiano la loro incolumità ed anche la loro esistenza lavorando in mare, in cielo ed in terra. Però Fabrizio De Andrè ci dice in una sua canzone che il ladrone non muore di meno del Nazzareno, ed è vero nessuno muore di meno di altri. E allora la stessa compassione pubblica vorremmo sentirla per i più di mille morti sul lavoro ogni anno, la stessa indignazione di Stato per chi li provoca. Lo stesso pathos nella voce degli annunciatori televisivi. Però vorremmo che le parole avessero una proporzione e allora se quella di Kabul è stata una strage, quella complessiva dei morti sul lavoro dovrebbe definirsi ecatombe, quella delle migliaia dei nostri fratelli e sorelle (in umanità per chi non crede in Cristo) neri, lasciati morire annegati o di fame e di sete sui barconi della nostra vergogna nel canale di Sicilia, lasciati crepare in mano ad aguzzini libici nei loro campi di concentramento, quella è una mattanza. Però ci viene da domandarci dove sia finito il pacifismo italiano e dove siano finiti i pacifisti; una domanda a cui Pietro Ingrao ha risposto: «S’è quasi spento. Lo so che sono parole amare, ma bisogna guardare in faccia le cose. Dobbiamo rassegnarci a questa conclusione? Eppure in Italia e altrove non s’è ancora spenta la sete di un mondo diverso. Bisogna ricominciare a tessere una tela ». E se da una parte è pure commovente che un signore che compirà 95 anni il prossimo marzo vuole “ricominciare a tessere” dall’altra è preoccupante constatare quanto siano pochi i tessitori. Però preferiremmo che a rappresentare l’Italia che “ripudia la guerra” per dettato costituzionale, nei teatri bellici internazionali fossero dei “guerrieri senza lancia e senza spada” come Gino Strada come quelli di Emergency, perché nella guerra non c’è nulla di bello o di glorioso, la guerra è merda e sangue che qualcuno deve pure pulire, asciugare.
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