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A Sciambere dell'Elba Padana e delle rime petrose piaggesi

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 29 luglio 2009

Cretini a gogò...Gongolo al pensiero di quanto sono stato fortunato.. Quindi, seppure nell’altro secolo, sarei nato, senza rendermi conto della speciale sorte assegnatami dalla Provvidenza (o dallo spirito della Ampolla del Po?), nella più grande Isola della Padania ed avrei avuto la fortuna aggiuntiva di crescere in un luogo così carico di ispirazioni e suggestioni come Piazza Padella? Ora finalmente tutto ha una spiegazione logica. Non me ne ero reso conto finora. Che bello oggi realizzare che le scaramucce giovanili delle nostre bande altro non erano che l’incarnazione dello spirito di Alberto di Giussano, che le piccole ferite (di solito accompagnate da uno scapaccione di Don Giuseppe, tanto per gradire) potevano essere mostrate quali simboli del valore padano, che le nostre competizioni a chi facevo il “foco” più bello per l’Ascensione (di solito proprio il nostro di Piazza Padella) erano niente altro che un omaggio alle divinità dei celti, che i primi segnali della pubertà erano già il primo assaggio del celodurismo degli anni successivi. Io credo che dobbiamo uno speciale ringraziamento a questi concittadini che ci hanno svelato l’arcano e che, se pura in età avanzata, ci mostrano un percorso luminoso e sicuro. Pensa, mi sono detto, se ci inseriamo in questa dinamica, potremo frequentare Briguglio e financo quello sconosciuto Alessandri presso il quale i nostri eroi si sono recati per risollevare le sorti della nostra Isola rovinata da tanti anni di governo catto-comunista! Pensa, potremo essere finalmente liberi e gridare a squarcia voce nella Tonnara: Padania libera…tanto i manicomi sono chiusi, potremo secessionarci (si dice così?) dall’odiata Patria Italiana a dalla sottopatria Toscana, e financo dalla mussoliniana Provincia di Livorno e perfino dalla Unione dei Comuni, ed estraniarsi da noi stessi per salire in una dimensione intellettuale nuova, capire finalmente lo spirito della Valle Bergamasca con i suoi trecentomila frombolieri pronti a marciare agli ordini di Bossi sull’odiata Roma Ladrona, e magari programmare, come Virgilio nell’Eneide, almeno trecento elbani (ast Ilva trecentos, insula inexaustis Chalibum generosa metallis –vado bene Michelangelo?) per varcare il canale e distruggere in radice l’opera di Garibaldi e di Cavour! Lo confesso, era solo un bel sogno. Purtroppo ci tocca in sorte di sopportare questi cretini, ed anche far finta che, di tanto in tanto, dicano cose se non intelligenti, almeno comprensibili. Pino Lucchesi Caro Pino La tua lettera giunge proprio nel giorno il cui molte testate aprono con quella che viene definita proposta-shock dell'esame di dialetto a cui dovrebbero essere sottoposti gli insegnanti del resto immondo d'Italia per avere il privilegio di esercitare la loro professione in Padania. Strizza strizza questo è una proposta che a mio parere più che shockante dovremmo definire sciocchita (cfr sciòcco dell'òvo di riese uso) che personalmente mi ha fatto riflettere - semiseriamente - su un aspetto del nostro vivere su cui non ci soffermiamo abbastanza. Mi riferisco alla vera è propria speculazione culturale dei legaioli che questa proposta bischera evidenzia: la rapina della cultura popolare da loro perpetrata. Da dilettante (ma non completamente allo sbaraglio) mi sono occupato abbastanza a lungo di questo versante del nostro patrimonio culturale, avendo peraltro opportunità e occasione di incontrare (e spesso lavorare "sul campo") con una serie di autorevolissimi studiosi di linguistica, dialettologia, antropologia culturale, etnografia ed etnomusicologia. Non uno di quelli che ho avuto la fortuna di conoscere e non uno di quelli che ho avuto la ventura di leggere (a partire dalle "Note sul folklore" gramsciane, ma risalendo anche indietro fino al Nigra) mi pare considerasse la cultura popolare (ed i diversi saperi locali della gente) come qualcosa da isolare, da mettere sotto formalina, perché è la contaminazione con altre culture che crea una cultura in evoluzione (quindi viva) ed era proprio questo divenire, questo mutare con i suoi umani perché l'oggetto principale dello studio. Ma poiché all'epoca il Senatore, impegnato com'era a diventare famoso partecipando senza successo al Festival di Castrocaro, non aveva certo tempo di leggere "l'intellettuale rovesciato" e men che mai ne avevano i suoi locali futuri emuli, vediamo di sintetizzare il concetto in modo che risulti comprensibile perfino ad un legaiolo: il dialetto è una risorsa culturale ed è una delle componenti espressive da valorizzare ma nelle scuole della Repubblica Italiana la prima forma espressiva è la lingua italiana. Punto. Pretendere che chi va a insegnare in Val Camonica ragioneria o italiano sappia farlo pure in camune è ridicolo prima che discriminatorio e un po' fascista. Ma quello che mi preoccupa Caro Pino è quello che potrebbero per estensione chiedere i leghisti scoglio-nati: Rime Petrose con testo piaggese a fronte? Traduzioni in pomontinco del De Bello Gallico? Vale, come direbbe Pasquale


Nebbia Porto Azzurro 1

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