Gentile Redazione, essendo uno dei “due neo-consiglieri comunali distintisi per l’opposizione all’istituzione dell’AMP dell’Arcipelago Toscano in base alle leggi vigenti in Italia” (sottolineiamo: “in base alle leggi vigenti..”), ed essendo altrettanto vero che sia io che l’amico Carlo Gasparri abbiamo più volte “posto come esempio da seguire le Aree Marine Protette francesi” (e Còrse in particolare: assolutamente corretto), prendo con piacere atto della disponibilità degli amici di Legambiente AT a sottoscrivere un accordo sulla base di quanto attualmente previsto in Corsica. Anche se mi pare piuttosto curioso che la nota di Mazzantini giunga solo adesso, a distanza di oltre due mesi dalle ultime dichiarazioni in tal senso di Gasparri, e a quasi due anni dall’ultima volta in cui io sono entrato in argomento smentendo un articolo del quotidiano on-line Elbareport che sosteneva l’esistenza di fantomatici divieti “di qualunque attività antropica” in aree dove invece sono liberamente consentiti ingresso, navigazione, balneazione e snorkeling, colgo volentieri l’occasione per illustrare nuovamente i motivi per i quali, io e Gasparri, ma anche molti altri appassionati difensori di una tutela ambientale tanto rigorosa quanto aperta ad attività umane ecocompatibili, sosteniamo la necessità di prendere spunto ed esempio dai nostri cugini còrsi. Prima di concentrarci sulla tutela a mare, un breve inciso sulla gestione “terrestre”: i divieti elencati per Scandola (caccia, camping ecc.) sono sostanzialmente paragonabili, per non dire identici, a quelli in vigore dalle nostre parti. Andrebbe magari notata una maggiore capacità di adattamento dei vincoli alle effettive necessità ecologiche locali, ma evitiamo di entrare nei dettagli per non ampliare troppo la discussione. Parliamo solo dell’efficienza dimostrata finora dai gestori dei parchi francesi. Su Wikipedia, sito presumibilmente “neutrale”, possiamo leggere, a proposito del Parco Naturale della Corsica: “ Durante oltre trent'anni il Parco ha avuto un ruolo chiave nel recupero del territorio attraverso la ripresa della secolare cultura del castagno, la protezione antincendio, il recupero di dozzine di ovili e stazzi, il riavviamento di mulini ad acqua, il restauro di monumenti e lo sfruttamento di giacimenti archeologici, dando nuovo impulso all'insediamento nell'interno e favorendo lo sviluppo dell’artigianato locale.” I lettori che conoscono l’Elba e l’Arcipelago sanno perfettamente se e quanto una valutazione in tal senso possa essere in qualche modo estesa all’operato del Pnat. Per mero pudore campanilistico eviterò il consueto elenco di malefatte gestionali che non solo non hanno portato alcun vantaggio ecologico, ma che in molti casi hanno instaurato o sensibilmente aggravato situazioni di totale degrado ambientale. Se poi consideriamo che l’unico punto a favore, teoricamente assegnabile ad una sacrosanta difesa del territorio nei riguardi della cementificazione selvaggia, è stato ampiamente compensato dalle folli speculazioni edilizie operate nelle aree non soggette a vincoli, dovrebbe essere chiaro a tutti che la strategia di blindare una certa porzione di territorio, se non legata ad una più generale tutela dell’intero patrimonio ambientale, non porta assolutamente a nessun risultato. Considerare la 394 una legge intoccabile, e il “sistema Parchi” fin qui instaurato come il migliore possibile significa solo alimentare il malcontento e favorire le frange “antiparco” più radicali ed estremiste. Riformare non significa necessariamente stravolgere, e prendere esempio da realtà davvero funzionanti non può che giovare alla comune causa ambientale. Prendiamo la cronica scarsità di finanziamenti, argomento che mi vede concorde nel ritenere del tutto insufficiente l’impegno fin qui dimostrato dai nostri Governi nei confronti della tutela ambientale: un piccolo Parco come Port-Cros dispone di fondi pubblici quasi tripli rispetto al Pnat. Ma, senza vendere cinghiali o ticket d’ingresso, riesce anche ad autofinanziarsi tre volte meglio. Riesce a dare la sensazione di saper “spendere bene”, totalmente sconosciuta ad un Ente che è riuscito a dilapidare fortune per sterilizzare quattro gatti o avvelenare quattro topi, lasciar morire il Castello del Volterraio o l’Orto Botanico del Perone, abbandonare al loro destino, nell’area umida di Mola, strutture costate centinaia di migliaia di euro. Port-Cros riesce a mantenere un Consiglio d’Amministrazione che include 31 membri, ampiamente rappresentativo di tutte le realtà locali, compresi imprenditori e pescatori, supportato da un Comitato Scientifico composto da ben 22 personalità accademiche. Stipendia un centinaio di persone, fra dipendenti fissi e stagionali, ma gli impiegati amministrativi sono meno del 10%, e non praticamente il 100% come al Pnat. Guardiaparco, operai specializzati, guide e biologi che agiscono “sul campo”, non dietro ad una scrivania invasa da timbri e scartoffie. Se vogliamo quindi riformare le nostre Leggi in senso “francese”, prendiamole però in blocco, e facciamo nostra la splendida frase che possiamo trovare sul sito di Port-Cros: “un parc national est un territoire d'exception, ouvert à tous sous la responsabilité de chacun”. Quanto sopra serve a giustificare la prima delle nostre critiche verso l’attuale “sistema AMP”: prima di affidargli la gestione del nostro mare, vorremmo che l’Ente Parco cominciasse col dimostrare efficienza e capacità “a terra”. Se la pur in certi casi ottima professionalità dei singoli (personalmente, non avrei assolutamente obiezioni da sollevare se l’AMP fosse diretta da dirigenti eccellenti come un Martino o una Zanichelli) deve sottostare alle continue vessazioni della politica e della burocrazia, che almeno il mare e le coste ne restino al riparo. Iniziamo ora la nostra analisi comparativa con la Corsica rilevando che il territorio elbano compreso nel Pnat è percentualmente ben superiore al 40% sottoposto alla tutela del Parc Naturel Régional, e questo nonostante una presenza antropica più che quadrupla renda assai meno facile una serena convivenza fra uomini e vincoli. Accettando il principio della comparazione, l’eventuale revisione dei confini del Pnat, se contenuta ma soprattutto se giustificata, potrebbe quindi non essere più considerabile come un tabù intoccabile, ma come un normale argomento di serena discussione da valutare in base alle singole, effettive necessità di equilibrio fra conservazione e attività umane ecocompatibili. E scendiamo verso il mare. La Corsica ha una superficie terrestre di 8600 kmq, l’Elba si ferma a 225: 38 volte più piccola. Siccome però la nostra comparazione la vogliamo riferire al mare, diciamo correttamente che con i nostri 147 km di coste siamo solo otto volte più “piccoli” dei nostri cugini. Le Riserve Marine còrse sono sostanzialmente due: Scandola e Bonifacio. Se quindi la nostra ipotetica AMP si limitasse a proteggere due sole aree, saremmo numericamente in pari. Quanto grandi? Fare una comparazione in termini di ettari non è facile, perché è evidente che molto dipende da quanto si interessi la fascia costiera. Indicativamente, diciamo comunque che Scandola copre 650 ha. e Bonifacio 13.200 ha. per un totale di 13.850 ha. Fermiamo sul nascere l’eventuale contestazione su Bonifacio: certo, la Riserva comprende una zona teoricamente “protetta”, una sorta di “zona C”, di ben 80.000 ha., che ha però le seguenti regole: - La frequentazione del pubblico è libera, nel rispetto della tranquillità dei luoghi; - I lavori pubblici e privati, modificanti l’aspetto dei luoghi, necessitano di autorizzazione; - È vietato introdurre specie aliene; - La pesca sportiva e quella professionale sono regolate dalle leggi in vigore; eventuali modifiche possono essere apportate dal Prefetto, previa consultazione con le autorità locali; - La pesca subacquea è consentita secondo le leggi nazionali: le catture devono però essere limitate a otto prede/die per pescatore, e vanno rispettate delle misure minime per le tre principali specie di Tordi e per la Corvina. Per quanto mi riguarda, le stesse identiche regole potrebbero essere estese a tutta l’Elba: anzi, sarei assolutamente favorevole ad applicarle su tutto il territorio nazionale. Decidiamo quindi il dimensionamento della nostra ipotetica AMP Elbano-Còrsa basandoci sui 13.850 ha. sopra citati. Se Legambiente accettasse davvero di raffrontarsi rispettando parametri proporzionali, dovrebbe ritenersi soddisfatta dalla realizzazione di una AMP di circa 1730 ha. (1/8 di 13.850). Nella proposta di Arcipelago Libero, e quindi del tanto vituperato “sedicente ambientalista” Carlo Gasparri, sono previste nove aree protette, che coprirebbero più di 5.000 ha.: il triplo del necessario. Senza contare che nella stessa proposta di zonazione sono incluse, come richiesto a gran voce da Greenpeace ed ignorato dalle nostrane AMP, due grandi zone “no-take” pelagiche da sottoporre a rotazione ciclica. La mia “controproposta” (che ricordo sottoscritta in pochi giorni da 2.100 persone) prevedeva l’individuazione di un “congruo numero di aree, di piccole o medio-piccole dimensioni, caratterizzate da particolare valenza biologica”. E chiedeva non solo severe norme antinquinamento e l’esclusione dello strascico per una fascia costiera non inferiore alle due miglia, ma anche l’immediato “contingentamento della pesca professionale alle sole licenze in essere”, seguito da una “sensibile riduzione del numero delle imbarcazioni da pesca presenti sull’Isola” nonché, passo finale, “la concertazione con i pescatori rimasti al fine di eliminare o ridurre i sistemi di pesca meno selettivi, oltre a stabilire nuove norme atte a proteggere le specie più minacciate e a consentire agli stock ittici adeguata tutela nei periodi riproduttivi”. Questo per chiarire una volta per tutte quanto “sedicentemente ambientaliste” siano le nostre tesi. Un inciso: la vera differenza fra noi e la Corsica non sta tanto nella presenza di Riserve marine o meno: sta nel fatto che mentre loro agiscono con una flotta limitata su di una area vastissima, ed effettuano una severissima sorveglianza, noi agiamo con una flotta peschereccia locale equivalente nel numero, e quindi proporzionalmente otto volte superiore, ben supportata da decine di strascicanti “continentali” che, come confermato dalla trasmissione televisiva “Report” lo scorso autunno, spesso considerano le nostre isole come una vera e propria “oasi per bracconieri”. Bene: stabilite le dimensioni, e dimostratici aperti a soluzioni molto più estese di quanto proponibile tramite una semplice comparazione, vediamo le famose regole, e la loro “durezza”. Il gioco delle parti instaurato finora ha presentato visioni diverse sfruttando ad arte un equivoco banale: far finta che si debba discutere solo di Elba e Giglio, essendo le altre isole sottoposte a vincoli di natura, legislativa e formale, estranei alle vere e proprie AMP. A mio parere è pacifico che l’istituzione di una AMP “Arcipelago Toscano” dovrà necessariamente comprendere, seppur in vario modo, tutte le isole. Se l’Europa chiede “reti coerenti” per le AMP, sarebbe quantomeno auspicabile partire da una piccola “rete coerente” che includa tutte e sette le isole maggiori dell’Arcipelago. Contestualmente, dovranno perciò essere abrogati tutti quei Decreti (DM 1/9/88 e precedenti per Montecristo, DM 19/12/97 per Pianosa eccetera) che attualmente regolamentano le attività marittimo/antropiche nelle acque delle isole “minori”. Tanto che anche Legambiente le definisce come “zone di mare protetto affidate al parco in attesa che si istituisca l’Amp”. Tolto un Decreto, niente dovrebbe però poter impedire di farne un altro: “E’ istituita una zona di tutela biologica, con confini posti al limite di due (meglio se tre) miglia dalla costa, intorno a ciascuna delle isole facenti parte dell’Arcipelago Toscano al fine di favorire la riproduzione e l’accrescimento di specie marine di rilevanza economica e la salvaguardia della biodiversità. Tali zone vengono pertanto interdette a qualunque forma di pesca a strascico.” Approvata una norma similare, scomparirebbe tra l’altro la necessità di istituire le ancora molto confuse “zone D”, salvaguardando competenze demaniali ed evitando “questioni di principio” come quelle sorte fra pescatori in apnea e sostenitori dell’incompatibilità fra AMP e pesca sub. In Corsica, come detto, non ci sono zone in cui siano vietati ingresso, navigazione, balneazione e snorkeling. Siamo disposti ad accettare questo principio anche a Pianosa e Montecristo? Personalmente, sarei contrario. Troppo permissivi questi còrsi. Mi accontenterei di consentire le predette attività in modo contingentato e controllato, riducendo però in maniera drastica le formalità burocratiche: un certo numero di barche preventivamente autorizzate portano i turisti, ai quali non dev’essere richiesto niente altro che di pagare un biglietto omnicomprensivo, a fare un giro isola con soste per bagno e snorkeling, e lo stesso viene reso possibile da terra tramite un certo numero di guide. Per la subacquea, basta autorizzare i Diving del luogo, individuando alcuni spot da frequentare a rotazione, a portare ad immergersi un certo numero di sub sufficientemente esperti ed opportunamente istruiti, benissimo se secondo le modalità previste dal protocollo d’intesa siglato nel 2008. Tutto ciò, secondo le attuali consuetudini delle “vere” AMP, sarebbe però abbastanza complesso. Bisognerebbe realizzare una complicata alternanza di zone A e B, vietando però una valanga di cose che normalmente nelle zone B sono fattibili, oppure realizzare delle enormi zone A in cui si passino le voci necessarie da “vietato” ad “autorizzato”, specificando meglio il tutto tramite il Regolamento. In ogni caso, si resterebbe in un regime sottoposto a vincoli enormemente più severi che non a Port Cros, dove seppure in modo regolamentato o parziale sono comunque consentiti il libero accesso nautico e la pesca sportiva. Da notare che Port Cros, nonostante questa tutela ben aperta alle visite, detiene lo stesso Diploma Europeo assegnato, molto generosamente e a dispetto del reale stato di grave degrado in cui versa l’isola tanto a terra quanto a mare, all’intoccabile Riserva Integrale di Montecristo. E sarebbe forse il caso di porre fine alla vergognosa ipocrisia di quei personaggi che impedendo di fatto qualunque intervento concreto nel nome di teorie eco-talebane stanno lasciando in agonia un’intera isola, indifferenti al rischio di un possibile e forse imminente collasso biologico. Se invece prendiamo in esame l’ipotizzata AMP della sola Elba, non essendo previste zone A, nemmeno da Legambiente, le principali differenze con la Corsica stanno nella consueta necessità tutta italiana di costringere la gente a sottoporsi ad estenuanti formalità burocratiche o ad osservare un’infinita serie di regolette assolutamente inutili. E non bariamo: la dicitura francese “autorisé” non corrisponde assolutamente al nostro “autorizzato”, che nelle AMP implica, tanto per capirci, che un residente che voglia essere “autorizzato” a fare il bagno in zona A (ma pure in zona B!!) alle 5 Terre debba, tanto per cominciare, compilare un modulo di tre pagine: significa semplicemente “consentito”. Quando serve una qualche autorizzazione, troverete scritto “soumis à autorisation”. In particolare, è inaccettabile che in località che vivono di turismo si impongano assurde distinzioni fra “residenti” e non, magari complicate ulteriormente da ridicoli corollari tipo “proprietari di seconde case” o “parenti fino al terzo grado”. E’ evidente che attività economiche come la pesca professionale vadano riservate ai residenti, ma quando si tratta di attività ricreative che, come la pesca sportiva, sono parte integrante di un’attraente offerta turistica, diventa indispensabile che non si mettano paletti sgradevoli per i potenziali Ospiti. Senza contare la totale assurdità di permettere, come normalmente avviene in zona B, la pesca con reti e tramagli al professionista locale vietando un modesto bolentino a chi viene in vacanza, portando soldi e benessere ad un’intera comunità. In conclusione se, come in Corsica: - la gestione dell’AMP fosse affidata ad autorità locali di comprovata capacità; - in nessun punto fossero vietati ingresso, navigazione, balneazione e snorkeling, fatti salvi i principi di contingentamento e autorizzazione per Pianosa e Montecristo; - le zone dell’Elba incluse nell’AMP fossero scelte con criteri oggettivi di salvaguardia, limitate nel numero, e contemplassero il solo divieto di pesca (totale), nonché una semplice e giustificata regolamentazione degli ancoraggi e della subacquea; - per tutte le attività ricreative, non venissero in nessun caso fatte distinzioni fra residenti e ospiti, non venissero introdotti ticket o altri balzelli, non venisse comunque richiesta la compilazione di moduli o formulari (Pianosa e Montecristo escluse, purché si richiedano cifre popolari e formalità ridotte all’indispensabile per garantire un certo controllo); - la pesca subacquea e tutte le altre la attività umane correlate al mare restassero possibili in tutte le altre zone, secondo le leggi nazionali vigenti e le norme locali (ordinanza balneare) e se, in più, venissero approvate le altre nostre richieste quali la cintura di protezione anti-strascico, il contingentamento e la riduzione della flotta peschereccia locale e le norme antinquinamento, non vedrei più nessun particolare ostacolo alla realizzazione della “nostra” AMP. Dove avete detto che si firma? Ps - per un approfondimento, o per avere conferma delle mie affermazioni, trovate tutti i riferimenti al link: http://laltroparco.forumattivo.com/amp-aree-marine-protette-possono-funzionare-f9/il-modello-corsica-t196.htm#456 Il Consigliere comunale di Campo nell’Elba, Delegato alla tutela e fruibilità ambientale del mare e delle coste e ai rapporti col PNAT
Blu mare molto bello