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Controcopertina: Dibattito sul berlusconismo e dintorni di Luigi Totaro

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : domenica, 05 luglio 2009

Michele Serra, nelle ultime settimane ha scritto tre memorabili “Amache” per “Repubblica”, in cui con invidiabilissima capacità di sintesi descrive, a mio avviso perfettamente, la situazione che stiamo vivendo, e a cui si riferisce anche l’“A sciambere” odierno. Dice Serra: “La parola chiave, per capire Berlusconi e il berlusconismo, è ‘invidia’. Rivela una concezione degli uomini, e della vita, totalmente autoriferita. Fissa nel piccolo ambito dell’ego (piccolo per qualunque essere umano, sia chiaro) i postulati del successo, del merito, dell’eccellenza. Il classico Modello Unico. L’alibi dell’invidia altrui gli serve soprattutto per declassare non solo ogni critica e ogni giudizio, ma ogni differenza, al rango dell’emulazione frustrata: non mi amate perché sapete che non riuscirete mai a essere come me. Nemmeno sospetta che altri aspirino ad altro, che le vie della felicità e del piacere siano infinite, e per la maggior parte sideralmente distanti dai suoi miliardi, dal suo potere, dai suoi modi e dai suoi scopi. Se lo sospettasse, crollerebbe come un castello di carte il suo narcisismo devastante. Capirebbe, per esempio, che al contrario di quanto pensa l’invidia alligna proprio in chi lo segue e lo blandisce (loro sì che vorrebbero essere ‘come lui’, e non possono). Negli altri, in quelli che non vorrebbero assomigliargli, in quelli che hanno altre ambizioni e ovviamente altri vizi, il sentimento prevalente, dal punto di vista umano, è solo il profondo fastidio di essere costretti a occuparsi di lui: con tutto quello che avremmo da fare, di bello e di appassionante, nella vita”. Non c’è molto da aggiungere: B. si identifica con il suo denaro, e pensa che chi desidera possedere quello desideri anche essere ‘lui’: ma chi lo circonda, lo blandisce, lo sfrutta anche, lo ricatta, lo esalta non considera la persona –francamente poco invidiabile anche solo a considerarne l’età−; vede solo il denaro di cui si ricopre e che lo ricopre mettendone in ombra l’umana debolezza. Questo ci conduce alla seconda “Amaca” di Serra: “«Gli italiani sono con me», dice lui. Nessuno dei grandi leader del passato lo ha mai detto, ad eccezione di Mussolini. Anche i capi di partito più popolari e ascoltati sapevano di parlare a nome di una parte, non di quel tutto retorico e totalitario che in democrazia non esiste. Nessuno, in democrazia, rappresenta tutti. In democrazia l’assoluto non è contemplato, se non quell’assoluto storicizzato, e regolato dalle leggi, che è lo Stato. Il resto è lotta di fazione, è differenza, è punto di vista. Nel suo sogno plebiscitario, Berlusconi si autopropone come paradigma di un popolo intero, delle sue aspirazioni, perfino dei suoi costumi, convinto di meritare l’ammirazione incondizionata di chiunque, tranne la piccola frangia meschina che ‘lo invidia’. Ma ogni volta che parla a nome ‘del popolo’, o ‘degli italiani’, pronuncia la madre di tutte le menzogne (nel suo caso, una madre fertilissima). Potrà vincere anche cento elezioni consecutive, ma mai a nome ‘degli italiani’. Lo faccia a nome dei suoi, che sono tanti, ma non si permetta di tirare in ballo gli altri milioni di cittadini che non lo sopportano. E se qualcuno (giornalista o politico) avrà modo di farlo, per cortesia lo corregga, quando parla nel nome del popolo. E gli dica: non ci crederà, cavaliere, ma sono italiano anche io. E piuttosto che votare per lei, ingoierei la scheda elettorale”. E’ questo un equivoco veramente pericoloso, e vi cadono molti leader politici del Centrodestra, oltre che B. I Leghisti non fanno che ripetere continuamente “è la gente che ce lo chiede”; gli altri sono sempre a ricordare che “la maggioranza del popolo” li ha votati; il Capo dice che ha il gradimento del 60% del ‘popolo’. Potremmo disquisire sul fatto che la Maggioranza Parlamentare è eletta dalla maggioranza relativa degli elettori, e che con ugualmente dubbio asserto si potrebbe dire che la ‘maggioranza del popolo’ invece non li ha votati, anche se si è dispersa in mille rivoli; si potrebbe dire che Napolitano ha il gradimento di oltre l’80% del ‘popolo’, e quindi –eletto o non eletto− rappresenta la volontà popolare; si potrebbe osservare che la gente chiede quello che gli sta a cuore, ma non esprime una ‘volontà generale’ quanto piuttosto una sommatoria di volontà individuali: per la volontà generale è stato necessario giungere a un ‘Patto sociale’ che si impone alle singole individualità, sottraendole al “Bellum omnium contra omnes” (la guerra di tutti contro tutti, come diceva Hobbes); e chi governa emana leggi e regolamenti in base al ‘Patto sociale’, non alle richieste della gente, sempre troppo varie e mutevoli. E non sempre consapevoli. Eccoci così alla terza “Amaca”. Dice Serra: “E’ molto probabile che Ahmadinejad abbia davvero vinto le elezioni: con qualche broglio tecnico e grazie a quel broglio gigantesco, e molto più complicato da smascherare, che è la manipolazione del popolo. La disperazione degli studenti e della borghesia urbana di Teheran, di fronte a un regime torvo e repressivo, è quella di chiunque creda nella libertà e nella democrazia. Ma, quanto a questo secondo aspetto (la democrazia), comincia a essere evidente che il suo esercizio formale è appena il primo gradino di una lunga scala che in Iran (e non solo) è ancora tutta da salire. Democrazia senza cultura, democrazia senza informazione, democrazia senza liberazione delle coscienze, democrazia senza libera circolazione delle idee, delle parole, delle immagini, è appena una cornice che oligarchie religiose oppure economiche possono riempire a loro piacimento, e magari a loro immagine. Le plebi immense, povere e ignoranti che circondano la moderna città di Teheran incarnano la potenza della tradizione. Gli studenti che ascoltano clandestinamente la musica rock, per aspirazioni, costumi e speranze, sono il loro quasi esatto contrario. C’è da chiedersi se lo scontro cruento tra queste due antropologie possa davvero risolversi dentro la democrazia”. Certo la storia iraniana è un caso del tutto particolare. E non può essere confusa con esperienze che hanno fatto altri Paesi dell’Occidente e dell’Oriente nel secolo scorso; ma qualche tratto comune lo ha: che Mussolini, o Hitler, o Franco, o Salazar, o Stalin, o Mao, o Castro, e via dicendo, avessero un larghissimo consenso popolare è dato di fatto, ancorché fossero persone assai diverse fra loro e operassero in contesti fra loro diversi. E la nostra odierna realtà quanto è ‘altra’ da quella “democrazia senza cultura, democrazia senza informazione, democrazia senza liberazione delle coscienze, democrazia senza libera circolazione delle idee, delle parole, delle immagini, appena una cornice che oligarchie religiose oppure economiche possono riempire a loro piacimento, e magari a loro immagine”?. E non è a qualcosa del genere che si riferisce l’interlocutore marinese dell’“A sciambere” di oggi, quando parla “di chi vive nella cecità completa e nello stordimento televisivo provocato da Maurizio Costanzo & C. La quale cecità impedisce di interessarsi minimamente a qualcosa che sia veramente importante, o ‘impegnato’”? Non è per caso questa “la gente” dei consensi oceanici?


luigi totaro

luigi totaro