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La Carovana del porto. Breve storia di vita sul porto di Campo dal 1948 al 1970

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : domenica, 31 maggio 2009

Marina di Campo - Angiolo Galli detto Pestiferino, col cappello, controllail carico del vino Correva l’anno 1948. Campo stava rinascendo dopo il disastro della guerra. Il porto, ripulito, era animato da movimenti di barche da pesca e bastimenti. In paese mancava il lavoro. Qualcuno lavorava ancora nelle campagne e altri erano imbarcati sui pescherecci. C’èra molta disoccupazione con grande disagio sociale. Ogni giorno sul porto presso i bastimenti, si vedevano volenterose persone aiutare a caricare o scaricare la merce per poche lire. Si era ancora nel caos del dopoguerra e si cercava di sopravvivere. Si sentiva dire fra la gente campese: “Chi ‘un risica ‘un rosica” oppure “Senza lìlleri ‘un si làllera”. Il parroco del paese era Don Aldo Michelozzi, il sindaco Mibelli Fabio Angiolo e il medico condotto Danilo Colombi. In quell’anno degli uomini, provenienti da esperienze diverse, si raggrupparono cercando di organizzarsi per fornire un servizio rispondente alle esigenze del porto. Capirono che il trasporto delle merci, e soprattutto del granito, poteva essere la loro ricchezza del momento! Questo gruppo di portuali non aveva un nome ufficiale ma venne comunemente chiamato la “Carovana”. Dapprima fu formato da Fabietto Battaglini (Balonceri), Danilo Battaglini (Tombolino), Gino Spinetti, Garibaldi Mibelli, Antonio Ricci (Dottorino), Mario Bartolommei, Giuseppe Segnini (Soldatino). Poi si aggiunsero Giuseppe Dini (Chiurolotto), Dino Dini (Grinso), Alberto Palmieri , Ulisse Mibelli (Boccetta), Vittorino (lo Stroncatore), Leonardo, Romeo e Mario Spinetti. Il gruppo si allargò sempre più ma il nucleo che operava ogni giorno era formato da circa dieci lavoratori con la partecipazione di altri secondo necessità. Parteciparono anche Ezio Gimelli (Tunney), Amedeo Tacchella, Giovanni Bartolommei, Egisto Spinetti, Idilio Spinetti, Ilio Greco, Ivonetto Vanni (Piombinese), Giovanni Lucca, Dalisio Poli, Ovidio Spinetti. Collaborarono anche Terzo Gimelli, Luigi Nelli (Babbalù), Agostino Bontempelli (Pitaleno), Luigi Paolini (Gigino il Polpaio), Fulvio Bontempelli (Bambolobono), Ennio Colomo (Stoppetta), Franco Gemelli (Armadione), Pasquale Esercitato (Pasqualino), Stefano Dini, Nilo Pierulivo, Almiro Dini, Elbano Battaglini. Giuseppe Battaglini (Sorba), che abitava sul porto, era sempre presente. Ebbe dapprima compiti di coordinamento e successivamente si dedicò anche a raccogliere, a fine giornata, tutte le attrezzature di lavoro e metterle in custodia nel magazzino assieme alle manovelle del verricello della mancina sul porto. Trieste Mari, della Cooperativa Corridoni, e Italo Bontempelli, impresario, con il proprio collaboratore Virginietto Spinetti,erano spesso presenti sul porto per controllare le operazioni di pertinenza. Normalmente si lavorava a cottimo. Marina di Campo - Il porto con la piazza, le lastre di granito e i pescherecci. La Carovana era soprattutto impegnata nel carico di granito (cigli, cordoli, bozze, banchine), di barili e botti di vino come pure di caolino. Inoltre scaricava pomice, pozzolana, laterizi (embrici, mattoni, foratini, tabelloni, mattonelle), provenienti dalle Fornaci di Cecina e generi alimentari. Il trasporto via mare veniva effettuato dai bastimenti dei Mattera, dei Danesi, di Federici, di Ballini e di altri armatori. Molti ricordano ancora alcuni motovelieri e i loro comandanti: Giuseppina Madre (Gabriello Mattera), Maria Luisa P. (Gaetano Danesi), Andreola (Giuseppe Mattera), Alfiere (Italo Ditel), Progresso Nero (Agarini Antonio), Maria Grazia (Fausto Dini), Volontà di Dio (Piero Pennello), Tommasina Madre (Telemaco Mattera), Apuano (Vincenzo Mattera). La merce veniva normalmente e temporaneamente ammucchiata, prima del carico o dopo lo scarico, nella Piazza davanti a le Scalinate del Borgo Marinaro (oggi chiamata Piazza G. da Verrazzano) . Si era dotati di carretti a stanga per il movimento del granito sul porto. Per la misurazione delle quantità si contavano i pezzi, i colli, i cestoni. Per caricare o scaricare si utilizzava il bigo, a bordo, la mancina a manovella, a terra, delle tavole (passarelle) su cui su faceva scivolare il materiale, dei rulli di legno (tacchi), dei pali in legno, dei pali in ferro con “piedi di porco” e delle corde. Si usava anche uno strumento particolare in legno chiamato “plancia, fatto di due traversine con delle tavole sopra appoggiato sulla “paratia” del bastimento e sul bordo del molo. Il trasporto sull’Elba avveniva con i camion di Giuseppe Balestrini (Beppe), Silvestro Spinetti (Lillo), Riccardo Spinetti (Sottomarino), Galileo Pisani (Tiriballo), Angiolo Galli (Pestiferino) poi diventato commerciante in vino. Per il trasporto dei barili si usava il baroccio trainato da asini visto che spesso si doveva passare per strade di campagna. Il carico del granito avveniva anche a Cavoli, Seccheto e Fetovaia con continui interventi della Carovana. I velieri partivano per porti italiani e esteri. Molti arredamenti urbani furono fatti col granito di San Piero, Sant’Ilario, Seccheto, Cavoli e Fetovaia. Prima della spedizione la pietra veniva squadrata, lavorata, bocciardata e spesso rifinita e poi imbarcata. Al mattino, sovente, i lavoratori della Carovana facevano colazione con fette di pane e mortadella oppure con pane e fichi. La spesa mattutina si faceva normalmente alla Cooperativa Alimentare, gestita da Tommasina Dini prima e da Retali Gino poi, oppure nel negozio di alimentari di Iole, moglie di Gino Danesi. Ognuno portava con sé il pranzo con gavette e pentolini dentro i panieri: pane, patate e pomodori in estate, minestrone, pasta e fagioli, pastasciutta, molto raramente. In primavera estate c’erano anche “li baccelli”. A mezzogiorno, quando c’era la sosta, qualcuno andava a casa ma altri consumavano il pasto direttamente sul molo. Talvolta si arrostiva il pesce (sardine, acciughe, boghe, zeri) fornito generosamente dai pescherecci. Quando si mangiava era sempre presente il fiasco di vino “nostrano, cioè prodotto dalle uve dei vigneti del Comune di Campo. Il lavoro normalmente terminava al tramonto. Allorché si dovevano fare delle consegne urgenti ed occorreva accelerare i tempi si lavorava qualche ora in più, raramente di notte. Quando non c’era lavoro si andava nella barberia di Giulio Galli figlio di Ippolito (Giulio di Politino), a parlare di sport e politica, spesso litigando. Avvenivano spesso discussioni sul ciclismo fra “bartaliani” e “coppiani” e politiche fra comunisti e democristiani. La sera tutti i portuali si incontravano nella Cantina Montecatini, mescita di vino gestita da Bernardina Greco. Si giocava a scopa, briscola, tressette ma anche a padrone e sotto. La serata finiva con grandi bevute di vino elbano, fra ilarità e scherzi. Molti ancora ricordano le mangiate, in serata, di polpo lesso allo zenzero, cucinato da Gigino il polpaio, con commenti ironici e battute sarcastiche. La Cantina veniva anche utilizzata per riunirsi la sera della paga. Il rito avveniva normalmente a scadenze previste e talvolta c’erano gli “addietrati”. Qualcuno come Fabietto, uomo di temperamento, era più esperto e comandava il gruppo operativo mentre altri dovevano essere qualche volta stimolati. L’impegno con il senso di sacrificio dei portuali più anziani fu da buon esempio per i giovani. Col passare del tempo dei giovanotti, taluni addirittura studenti in continente, iniziarono a far parte della Carovana, come Antonio Battaglini, Natale Costa (Fascino), Luigi e Antonio Baldetti, Elbano Battaglini, Vasco Spinetti, Cesare Ditel, Emilio Dini, Marcello e Giovanni Colomo, Aldo Battaglini, Giorgio Spinetti (Gitre). Tutti lavoravano usualmente nel periodo estivo, taluni per non dipendere dai genitori altri per stretta necessità in aiuto della famiglia. In particolare Antonio e Aldo Battaglini affiancavano spesso i loro padri nelle giornate lavorative, anche in momenti di maltempo. Alcuni giovani furono impegnati nello scarico di tubi di ghisa coperti con fasce bitumate, pronti per l’utilizzo in condotte idriche. In estate il bitume provocava dei bruciori sulle mani nude e irritava gli occhi. Grandi erano le sofferenze ma raramente si lasciava il posto di lavoro. Da San Piero, in caso di bisogno e per breve durata, venivano spostati degli scalpellini per effettuare dei lavori specializzati prima dell’imbarco. Indubbiamente si lavorava con livelli di servizio accettabili, visto la carenza di mezzi a disposizione e la mancanza di preparazione professionale. Il lavoro era svolto senza regole scritte e secondo il buon senso di ognuno. Tutti vestivano normalmente senza abbigliamento particolare. La maggior parte, portava la canottiera o la camicia e pantaloni di fustagno. In inverno si indossavano maglie di lana o maglioni ed alcuni si mettevano i guanti di lana. Ai piedi avevano “scarponcelli con “acciaiole” o vecchi scarponi militari. Dagli uffici della Finanza, poco più in alto, si controllavano le operazioni sul porto. La paga era bassa, non c’èrano norme di sicurezza e non si aveva né assicurazione privata né sociale. Fortunatamente non si ebbero gravi incidenti. Si ricordano gli scherzi, le gelosie professionali e le grandi ubriacature come pure la gran voglia di fare. Proverbiali erano i battibecchi campanilistici fra il piombinese Ivonetto e i lavoratori campesi. Talvolta la “gaglia” di qualcuno provocava attriti. Le liti finivano con brutte parole come “Sei infingardo”, “Sei toccato di cervello”, “Sei un cazzabbùbbolo”. Quando arrivava qualche amico con la bicicletta dicevano “Mì, chi si vede!” e poi “Chi t’ha dato codesto catorcio”. I giovani, quando lavoravano con la “cagna”, stanchi senza voglia di far niente, prendevano qualche “arronzata” dai più anziani oppure, altre volte, venivano “canzonati” allorché, bevendo di troppo, diventavano “ciucchi”. Poi c’era la mascotte Antonio Baldetti, il più giovane, benvoluto da tutti. I campesi rammentano i “riti” del vino su porto. Da botti situate in alcuni locali di Zecchini vicino al porto, usando una “manichetta”, il vino veniva versato in una “baietta”. Altre volte si svuotavano anche i barili nella baietta, da cui, utilizzando una pompa amano, si portava il vino nelle botti “caratelli” situate a bordo del bastimento. Il profumo del vino attirava spesso i portuali che, usando dei bicchieri disponibili, coglievano l’occasione per la degustazione. Antonio, il dottorino, era continuamente presente. Con un fare da intenditore prendeva il vino, guardava il bicchiere controluce, ammirava il colore, sentiva il profumo e poi faceva l’assaggio. “E’ vino di Gambautte”, diceva, oppure “E’ vino di Seccheto”. Quando qualcuno si innervosiva, per calmarlo, si diceva “Chétati!”. Alla fine, dopotutto, ci si aiutava e si pensava alle famiglie per un domani migliore. Tutti normalmente lavoravano con senso di responsabilità e con la dovuta attenzione. Gli incidenti più leggeri venivano curati, come primo intervento, da Dora (Montauti Clelia), infermiera volontaria, che in caso di emergenza chiamava subito il Dottore per eventuale ricovero in Ospedale. Interventi limitati venivano effettuati anche da Giovanna Buggiani (Giovannaccia), che abitava alle Scalinate, sempre gioviale e con grandi esplosioni di risate roboanti che davano il buon umore. Molti ricordano Dora, proprietaria del negozio di tabacchi davanti alla chiesetta di San Gaetano, fare leggere medicazioni con bende e alcool. Nella chiesetta, spesso, andavano a pregare i comandanti dei velieri mentre la tempesta infuriava con grandi pericoli per i bastimenti nel porto. Marina di Campo Da sinistra - Piombinese, Sconosciuto, Emilio, Vasco, Fabietto trasportano il granito. I servizi forniti dalla Carovana furono molto importanti nello sviluppo di Campo. Con l’avvento del turismo e del trasporto delle merci sulle navi della Navigazione Toscana, nel porto di Campo i bastimenti rimanevano spesso fermi e inutilizzati. Cominciò a mancare il lavoro alla Carovana. Inoltre, dato che nel frattempo la Ditta Lorenzi aveva aperto il Kon Tiki, ristorante e pista da ballo notturna, la piazza davanti alle Scalinate serviva per i pullman di turisti e non più come deposito temporaneo del granito. Alcuni lavoratori portuali trovarono lavoro imbarcandosi sulle navi della Navigazione Toscana, altri su Navi Mercantili e Petroliere in Italia e all’Estero, altri ancora iniziarono attività connesse con il turismo. Inoltre la crisi delle cave di granito provocò l’emigrazione di molti scalpellini e la mancanza di materiale da trasportare. In poco tempo il gruppo si dissolse. Terminato un periodo ne stava nascendo un altro diverso e più aperto alla vita. La crisi dei trasporti nel porto di Campo si inseriva in un contesto generale di sviluppo turistico del paese con miglioramenti di economia familiare diffusi in tutta la popolazione. Il “miracolo economico” si stava manifestando e il paese era più sereno. Alla fine anni sessanta i campesi si sentivano più fiduciosi e gli orizzonti erano più aperti. E passato oltre mezzo secolo dagli inizi di allora! Campo visse un’esperienza positiva, addirittura creativa, in un periodo in cui c’erano molte difficoltà per realizzare nuove proposte. Pochi avevano il coraggio di affrontare la realtà con spirito di gruppo e forte volontà collettiva fuori da ogni egoismo personale. Molti campesi di oggi avanti negli anni, pensando al passato, si sentono orgogliosi di aver partecipato attivamente a quel processo di sviluppo economico e sociale, testimoniando un periodo storico molto importante per il paese.


campo foto epoca

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