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Controcopertina: Il re è nudo, vecchio, solo e malato

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 29 maggio 2009

Ogni giorno siamo costretti a confrontarci con la realtà obiettivamente spiacevole che stiamo vivendo, con la sensazione di scivolare lungo una china dalla quale sarà lungo e penosissimo risalire. Lo scempio diffuso di ogni intelligenza di giudizio sarebbe motivo sufficiente a mandare a casa tutta la Sinistra di governo, per non aver capito che il monopolio della televisione era la vera arma da guerra del progetto Piduista, l’arma che Gelli non aveva potuto indicare perché al tempo era troppo presto per capirne l’importanza. La Televisione, non l’informazione: a Berlusconi non interessa nulla dell’informazione. La ‘sua’ televisione –quella dei talk show, dei reality show, dei mille film e dei mille quiz, dei mille cabaret e di tanto tanto sport– ha neutralizzato l’informazione: nessuno ne sente più la necessità. L’informazione è tutt’al più Vespa e Costanzo. Gli altri, non pochi né privi di spazio (Floris, Gabanelli, Iacona, Santoro, Lerner, Mentana, Gruber, Bignardi, Telese, d’Amico, Piroso, ecc.), sono considerati ‘noiosi’, e ‘noioso’ il rituale che celebrano; in realtà realizzano programmi anche di un certo interesse, ma il loro pubblico è fatto solo di consenzienti ‘a piori’. Per gli altri semplicemente non esistono. La vita è divenuta rappresentazione (un altro talk show di successo si chiama appunto “La vita in diretta”), desiderio di rappresentazione (andare in televisione) e imitazione della rappresentazione (in tono minore, per il pubblico ristretto della scuola, del bar, della ‘curva’, del quartiere: dai “bulli” ai cacciatori dei “diversi”). E in questo Berlusconi è maestro, organizzatore perfetto, esempio assoluto. La sua vita intera è spettacolo, è rappresentazione; egli si muove sempre come un attore protagonista, truccandosi, recitando a soggetto, cercandosi di volta in volta la spalla capace di valorizzarlo, presentando capitoli sempre nuovi di un racconto unico, come “Beautifull”, e recitando la sua vita come paradigma semplice e magnifico per tutti, primo e principale ospite di una “casa” di vetro, sempre sotto le telecamere, dove però è lui a stabilire il copione. Paradigma semplice e magnifico; semplice, perché l’immagine di sé che propone è immediatamente comprensibile (e desiderabile): ricchissimo, può realizzare ogni desiderio, può avere belle donne, belle case, belle macchine, belle barche, vestiti costosi, una cura costante del corpo, una corte fatta di gente in qualche modo simile a lui (ma senza bisogno di avere il suo denaro, e quindi “raggiungibile”); magnifico, perché può fare regali superbi (i ‘regali’ sono i doni dei ‘re’), elevare gli umili, soccorrere il poveri e gli sventurati, stupire con tutti gli effetti speciali della ricchezza smisurata. Ma di lui nessuno sa nulla, o pochissimi. Nessuno lo conosce, e nessuno lo ama o lo odia in sé (all’infuori dei figli, che ‘naturalmente’, come è giusto, lo amano). Il consenso, la simpatia, la venerazione riguardano il suo denaro e ciò che si può fare (che lui può fare e fa) con esso. Lui lo ha capito, e ha capito di essere costretto, condannato, a fare sempre altre cose straordinarie, per nuove puntate del suo reality show: le corna nelle foto ufficiali, le galanterie alle donne primo ministro, le battute sulle consorti propria e altrui, le battute sulle donne; e poi la decantazione delle sue doti di maschio prorompente, di galante di successo, di incantatore. Una condanna alla nevrosi di Narciso. Ma consapevole che tutto gli deriva dal suo denaro, ecco l’altra condanna, è costretto a cercare di possederne sempre di più, a tutti i costi, con tutti i mezzi, senza scrupoli e senza remore di nessun genere: e chi si oppone deve essere travolto, perché è nemico della sua ricchezza, cioè della sua possibilità di rappresentarsi come Narciso. In questi casi il trascorrere del tempo è un nemico inesorabile. Ogni giorno che passa si sente mancare il terreno sotto i piedi. Cerca invano di fermare il tempo, e reagisce all’impossibilità di farlo moltiplicando nel tempo che scorre col proprio ritmo i gesti, la presenza, l’attività, le frequentazioni femminili, gli exploit spettacolari. Non ha perduto i freni inibitori, li ha scacciati da sé, perché sa che ormai non gli resta più molto tempo –statisticamente parlando, si intende; per quel che mi riguarda potrebbe campare altri cento anni (ma non so se glielo augurerei, per il suo bene)−, e quel che vuole deve averlo subito, e anche quello che non ha ancora voluto deve affrettarsi a desiderarlo. Non vuole limiti, e prova fastidio a chi vorrebbe indicargliene, perché nessuno può sapere cosa vuole, cosa desidera, cosa può avere un uomo come lui. “Quod regi placuit legis habet vigorem” recitava il diritto medievale: ciò che è stato approvato dal re ha vigore di legge. Nessuno può giudicarlo, come diceva una canzone di Caterina Caselli, perché –sempre parafrasando la canzone− “ognuno ha diritto di vivere come può”. Lo specchio di Narciso è ripieno solo del suo volto. La realtà è soltanto la scena della sua rappresentazione. Nella parte di scena dedicata alla politica, di nuovo quello che conta è la sua “parte”: essendo capo del Governo, tutti i provvedimenti sono ovviamente indirizzati a favorire la sua rappresentazione, e a favorire quelli che per collaborazione o emulazione, in qualche modo ne fanno parte. Lo Stato rappresenta un limite alla scena, e allora lo si cambia rendendolo una quinta che faccia risaltare il ruolo del protagonista. Lui ha costruito da sé la sua ricchezza (penso perfino che lo creda) senza badare troppo alla forma; e così tutti coloro che vogliono imitarlo devono essere liberi dal massimo possibile di ostacoli, e chi non ci riesce, o non è in grado, o non vuole, si arrangi. Si veda, a esempio, la questione del terremoto d’Abruzzo: le tasse non si aumentano, questa è la parola d’ordine; si finanzia allora la ricostruzione togliendo alle Regioni più svantaggiate (anche l’Elba, tra l’altro) i contributi europei per il rilancio della loro economia, e si destinano alla ricostruzione. Così, invece di far pagare un contributo per loro insignificante ai cittadini più agiati, si è caricato il peso della ricostruzione del terremoto sui cittadini più svantaggiati, togliendo loro gli aiuti europei. Ma la parola d’ordine vince anche in questo caso. Con l’ICI è stata la stessa cosa. La promessa di diminuire le tasse tout court (che vuol dire pensare a sé e basta) è il patto di solidarietà con quelli che lo vedono come modello. Le ultime vicende, mi pare, stanno entro questo quadro. Vuole una cosa, e la “compra”. Il desiderio diventa una sfida, come il giocatore che non può fermarsi. Chi dice che l’opinione pubblica nazionale e internazionale non dovrebbe occuparsi di cose che appartengono all’ordine privato, nega la natura stessa di Berlusconi, che in realtà esiste solo nella dimensione pubblica, e lo vuole, e ci tiene, e ne fa ragione di vita. Luigi XIV non aveva neppure un attimo di privacy, tutta la sua vita scorreva in pubblico; e nessuno lo criticava, o lo disapprovava, se voleva continuare a esistere, nemmeno le persone a lui più care; è morto vecchissimo ma, credo, senza mai essere stato amato: tutti hanno sempre guardato la sua corona, e della sua persona non si sono accorti. Di tutta la vicenda familiare di Silvio Berlusconi colgo solo due aspetti che mi paiono riguardevoli: l’affetto dei figli e il grido di dolore della moglie. Non credo che Veronica Lario sia una novella Penelope, ma ha detto la sola cosa affettuosa che ho udito nei confronti di Silvio: è un uomo solo, e forse è malato; aiutatelo. A vedere come lui continua ad agire, con le sue risate e le sue battute salaci mentre sta finendo il trentennale matrimonio con la donna che dice di amare, temo proprio che Veronica abbia ragione.


vecchio Van Gogh

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