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Sequestrati dai Finanzieri del ROAN due yacht a Porto Santo Stefano

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 22 maggio 2009

Nei giorni 19 e 20 maggio, i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Bergamo hanno eseguito, in varie Regioni del territorio nazionale, il sequestro preventivo di società, conti correnti, immobili, automobili e altri beni (tra i quali due yacht), riconducibili ad un sodalizio criminale molto esteso e capeggiato da tre imprenditori napoletani, residenti nel capoluogo orobico, a Montecatini (PT) e nel Principato di Monaco. Il sequestro è stato disposto, per un valore complessivo di circa 238 milioni di euro, con due distinti provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria bergamasca. L’operazione ha richiesto l’impiego di circa 300 Fiamme Gialle in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo e Campania. Sono stati sottratti alla disponibilità degli indagati 242 unità immobiliari, tra le quali 22 ville situate in un complesso residenziale a Campoformido (UD), un resort con piscina e discoteca in ristrutturazione a Montecatini (PT), casali ed appartamenti di elevato pregio a Bergamo, Napoli, Roma, Milano, Como, in Toscana e Friuli nonchè vari appezzamenti di terreno edificabili e coltivati in diverse regioni. Tra i beni cautelati anche i pacchetti azionari di 42 imprese, tra le quali le società per azioni italiane coinvolte nel meccanismo di frode nonché le immobiliari attraverso le quali gli indagati avevano reinvestito in Italia parte dei proventi conseguiti, 22 tra autovetture e moto di lusso e disponibilità finanziarie e titoli depositati in rapporti bancari e fiduciari accesi in tutta Italia. Grazie infine al prezioso ausilio fornito dalle unità navali del Corpo di stanza in Toscana, sono stati sequestrati a Porto Santo Stefano (GR) due yacht battenti bandiera inglese di proprietà di una società britannica amministrata da uno dei capi del sodalizio. Si tratta del panfilo “Calypso of London”, di 34 metri, ex dragamine della marina britannica riattato ad imbarcazione da diporto negli anni ’70 e completamente rimodernato nel 2007, del valore stimato di oltre 5 milioni di Euro, ormeggiato nel porto turistico ed il motoryacht “Sonia Maria” di 17 metri, individuato in un cantiere della medesima località balneare. Le attività eseguite rappresentano l’atto conclusivo di una vasta indagine sviluppata dal Nucleo di Polizia Tributaria di Bergamo per quasi due anni, con l’indispensabile ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali e che ha visto la preziosa collaborazione dei colleghi di Trieste e di Milano. E’ stata così portata alla luce una colossale frode fiscale realizzata da un gruppo di 7 società per azioni, operanti nel settore del commercio di plastica, metalli, cellulosa e prodotti petroliferi, con sede in Bergamo e Milano ed un fatturato annuo arrivato, nel complesso, a 500 milioni di euro. Le partite di merci, effettivamente acquistate sui mercati internazionali, venivano spedite direttamente in depositi situati in territorio nazionale e cedute alle società italiane del gruppo, le quali provvedevano quindi ad immetterle definitivamente sul mercato. Cartolarmente, questo passaggio avveniva attraverso società di trading formalmente costituite nel Regno Unito e negli U.S.A. con branch in Svizzera ma gestite effettivamente dall’Italia e titolari di partita IVA nel nostro Paese attraverso l’istituto della “identificazione diretta” . In questo modo, grazie ad un meccanismo che permette la detrazione dell’IVA in acquisto, le società italiane hanno conseguito un enorme vantaggio fiscale e alterato la libera concorrenza, perché si sono poste nelle condizioni di poter vendere i prodotti a prezzi inferiori rispetto ai loro concorrenti. Lo schema fraudolento era completato facendo apparire che le società inglesi e statunitensi avevano acquistato la merce da imprese residenti nelle Isole Vergini Britanniche, le partite IVA delle quali sono risultate effettivamente intestate a società italiane quasi tutte inattive e in un caso addirittura ad una persona defunta. Pertanto, le fatture ricevute ed emesse dalle società con sede nel Regno Unito e negli U.S.A. si sono rivelate relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, per un ammontare complessivo superiore ai 2 miliardi di euro. L’imposta sul valore aggiunto non incassata dallo Stato è risultata quindi pari a 238 milioni di euro, valore a cui si riferisce l’importo del sequestro disposto dall’Autorità Giudiziaria. Le società estere utilizzate per realizzare la frode sono in tutto 28. Le persone denunciate sono 71, alle quali sono stati complessivamente ascritti 170 capi d’imputazione. I reati contestati spaziano dall’associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale a carattere transnazionale alla truffa ai danni dello Stato, dal reimpiego di capitali provenienti da illeciti al contrabbando ed al favoreggiamento. Coinvolti anche sei professionisti, tra i quali un commercialista con studio a Como che ha concretamente contribuito con gli ideatori del complesso meccanismo nella messa a punto della frode miliardaria. E’ altresì emerso il coinvolgimento di imprenditori e faccendieri compiacenti nonché di numerose “teste di legno” che, in cambio di lauti stipendi, hanno prestato il loro nome per non far apparire il ruolo dei reali amministratori nella gestione fraudolenta delle imprese coinvolte. Due di queste, in particolare, erano state appena trasferite da Milano a Lucca per ostacolare le indagini in corso. Inoltre, nello scorso aprile il controllo societario di un’altra impresa milanese era stato trasferito ad una holding del Delaware (USA), amministrata da un cittadino panamense. I proventi delle attività delittuose, trasferiti su conti correnti in Inghilterra, Svizzera e nel Principato di Monaco, sono stati quindi in parte reinvestiti in Italia, anche attraverso società immobiliari controllate in modo occulto, dietro lo schermo di note società fiduciarie italiane e società residenti nel Regno Unito ed in Liechtenstein. I rapporti con il piccolo Stato mitteleuropeo hanno peraltro trovato ulteriore conferma in seguito alla pubblicazione nell’estate del 2008 dei clienti dell’Istituto bancario LGT Bank tra i quali risultavano anche due capi dell’organizzazione criminale. Le indagini sono state svolte in stretta sinergia con i Nuclei di Polizia Tributaria di Milano e Trieste. Il reparto del capoluogo lombardo aveva infatti già iniziato una verifica fiscale nei confronti di una delle società coinvolte nella frode “carosello”. Il secondo, invece, nel corso di un’attività investigativa per reati di contrabbando, ha individuato la commissione da parte di alcune delle persone indagate di una “innovativa variante” del meccanismo fraudolento, fondata sulla ripetuta circolazione di carichi attraverso le frontiere slovene, croate, austriache ed italiane: si trattava di operazioni simulate nelle quali era la stessa merce ad essere importata, esportata e reimportata, secondo un meccanismo articolato che, sempre attraverso l’utilizzo di false fatture, ha avuto il fine di accumulare un ingente credito IVA in capo alle medesime società italiane destinatarie finali nel sistema fraudolento individuato. L’attività operativa è stata eseguita in ossequio alla normativa che, a partire dal 2008, ha ricompreso i reati tributari tra quelli che legittimano il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, cioè rivolto non solo ai beni che costituiscono il profitto del reato ma anche a quelli che hanno un valore analogo a quest’ultimo che risultino nella disponibilità degli indagati.


calypso sequestro finanza

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