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Controcopertina: Poche parole e poche idee. La Resistenza è la scuola

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 29 aprile 2009

Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale, in una lezione tenuta alla Biennale della Politica di Torino, ha affrontato tra gli altri un tema antico e attualissimo, che riguarda i linguaggi, e per conseguenza il linguaggio della politica. A partire dalle “parole”. “Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica. Quando il nostro linguaggio si fosse rattrappito al punto di poter pronunciare solo sì e no, saremmo pronti per i plebisciti; e quando conoscessimo solo più i sì, saremmo nella condizione del gregge che può solo obbedire al padrone. Il numero delle parole conosciute, inoltre, assegna i posti entro le procedure della democrazia. Ricordiamo ancora la scuola di Barbiana e la sua cura della parola, l’esigenza di impadronirsi della lingua? Comanda chi conosce più parole. «È solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa di meno». Ecco anche perché una scuola ugualitaria è condizione necessaria, necessarissima, della democrazia”. Le cose dette dall’illustre giurista reagiscono, nel mio ricordo, con le considerazioni e con le informazioni che Tullio de Mauro, ex ministro della Pubblica Istruzione, proponeva in un importante libro-intervista che dovrebbe essere a portata di mano, sul tavolo, di chiunque si occupi di politica: ‘La cultura degli italiani’ (Bari Laterza, 2005). De Mauro, partendo dalla necessità che la scuola pubblica si occupi parallelamente dell’educazione dei giovani e degli adulti, osserva: “Molti pedagogisti spiegano in modo analitico il meccanismo di condizionamento dell’ambiente familiare sull’andamento scolastico. <… La scuola può essere eccellente> ma se la famiglia è analfabeta, questa condizione prevale su tutto. Nel ’92 avevamo condotto una indagine comparativa internazionale <…>. E i dati parlavano chiaramente: bambine e bambini che vengono da ambienti familiari in cui non c’è un libro o ci sono meno di cinquanta libri, si trovano in difficoltà con la comprensione dei testi. E un indagine condotta nelle superiori dice che questa difficoltà non riguarda solo le belle lettere, ma anche e altrettanto la matematica e le scienze. <…> In Italia –sono misurazioni del 1999- ha il diploma appena il 42% della popolazione adulta compresa fra i 25 e i 64 anni. La media europea è del 59%. Francia e Gran Bretagna sono al 62. La Germania è all’81. La Grecia è intorno al 50, l’Irlanda supera il 50....Solo il 9% degli italiani adulti, fra i 25 e i 64 anni, possiede una laurea. La media europea è del 21%. ... Oggi il 5% della popolazione adulta non riesce nemmeno a leggere il primo e più semplice di cinque questionari, ed è quindi da considerarsi radicalmente analfabeta. Al primo dei cinque questionari si ferma il 33 % degli italiani adulti e non va oltre <…>. Un secondo 33% si ferma al questionario successivo. <…> Se in Italia abbiamo un 66% di persone con una insufficiente competenza alfabetica e aritmetica funzionale, in Europa la media supera di poco il 50. La Svezia e al di sotto del 30. <…>In cifre assolute: più di due milioni di italiani adulti sono analfabeti completi, quasi quindici milioni sono a rischio di ripiombare in tale condizione e comunque sono ai margini inferiori delle capacità di comprensione e di calcolo necessarie in una società complessa <…>, una società che voglia non solo dirsi ma essere democratica”. Già, la Democrazia. Come può esistere senza le parole? Le preziose sintesi che la Gialappa’s Band ci propone de “Il Grande Fratello” forniscono una testimonianza viva e significativa di quanto osservavo. Non per la desolazione della vita di quei poveri ragazzi esposti nell’acquario al voyerismo pubblico, bravi a inventarsi un qualche possibile spettacolo che rappresenti una ‘reality’ che non esiste da nessuna parte; ma per la miseria del linguaggio, per la conseguente ‘semplicità’ dei pensieri e delle conversazioni, per la elementarità delle rappresentazioni di sé. E per gli orrori di grammatica, sintassi, per la banalissima informazione attuale e storica, per la rudimentale formulazione di progetti e desideri, per lo schiacciamento sul presente, che unisce gli ospiti della ‘Casa’ ai milioni di loro coetanei che li guardano, li invidiavano e li imitano. Va da sé che non sono soggettivamente colpevoli della loro ‘povertà’: semplicemente sono abbandonati a essa. “Ci si preoccupa della fuga dei cervelli –dice ancora De Mauro-. Giusto, ma dovremmo preoccuparci anche di quei due terzi di cervelli che non possono fuggire. Voglio dire, sarebbe tempo che tutti ci preoccupassimo anche di quei due terzi di connazionali che non possono sperare di esportare le loro incompetenze ed elaborare un progetto di fuga e consumano il meglio del loro potenziale nell’escogitare le astuzie utili a nascondere le loro o totali incapacità o drammatiche difficoltà di lettura, di comprensione, di calcolo: quei due terzi dei cervelli che pesano sulla nostra vita sociale e produttiva e incidono in modo pesantemente negativo sulla qualità della vita e della formazione dei loro figli”. Ed è vero “che ci sono molti imprenditori che vengono su dal nulla, senza grande istruzione e che mettono in piedi ottime aziende le quali accumulano straordinari profitti. Ma i figli di quegli imprenditori, se non hanno cultura elevata, se non sono all’altezza delle innovazioni tecnologiche, quelle aziende le fanno deperire”. La Democrazia. Forse non è in pericolo per la nostalgia di vecchi soldati felloni, come è avvenuto negli anni bui della nostra Repubblica. Ma è in pericolo perché si ritrova svuotata di contenuto, senza resistenza perché per resistere allo svuotamento, all’umiliazione della democrazia bisogna conoscere le parole, le molte parole di cui parlava Milani. E “con il numero, la qualità delle parole- dice ancora Zagrebelsky. Le parole non devono essere ingannatrici, affinché il confronto delle posizioni sia onesto. Parole precise, specifiche, dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole con e su altre parole. Uno dei pericoli maggiori delle parole per la democrazia è il linguaggio ipnotico che seduce le folle, ne scatena la violenza e le muove verso obbiettivi che apparirebbero facilmente irrazionali, se solo i demagoghi non li avvolgessero in parole grondanti di retorica. …Quanto alla parola democrazia, anch’essa è sottoposta a “rovesciamenti” di senso, quando se ne parla non come governo del popolo, ma per o attraverso il popolo: due significati dell’autocrazia”. Un’ultima osservazione. Gad Lerner ha affrontato nella sua ultima trasmissione televisiva, tra l’altro, un aspetto apparentemente di dettaglio: la presenza, fra i candidati alle elezioni europee, di un certo numero di belle signore provenienti dal mondo dello spettacolo. Mi è tornato alla mente la “perversione delle parole” che sopra ricordavo. In trasmissione il difensore del ‘diritto’ anche delle persone dello spettacolo a essere presenti nelle assemblee rappresentative si scandalizzava della presa di posizione di una professoressa di Scienze Politiche di Bologna, vicina al presidente della Camera Fini, che vi vedeva la perpetrazione dello sfruttamento dell’immagine femminile. Certamente questo sfruttamento non si può negare, ma mi pare che il ragionamento sia un altro. Le avvenenti signore vengono “elette” nelle assemblee rappresentative, ma in quanto designate non per sperimentata utilità degli elettori (si fanno addirittura corsi rapidi di formazione politica), ma per la loro capacità di “rappresentare” il leader (che peraltro è anche il selezionatore e il designatore). La democrazia cui fa riferimento la nostra Costituzione è una democrazia rappresentativa ‘dal basso’ –il popolo è sovrano-; la democrazia verso la quale stiamo velocemente andando è rappresentativa ‘dall’alto’ (il sovrano è il leader, e chiama a corte chi è utile a lui, a tutti i livelli –dal Parlamento Europeo, alla piccola Amministrazione Comunale-, perché il progetto è suo, e i ‘suoi’ sono chiamati a farne parte e a realizzarlo. Sta cambiando il significato di una parola importante. Chi vuole resistere deve riappropriarsi delle parole. La Resistenza è la scuola.


Totaro media

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