II sedici marzo, nel più assoluto silenzio mediatico, la voce a stomaco vuoto degli ergastolani italiani, all'incirca poco più di mille esseri umani, si è nuovamente levata e ancora una volta è rimasta inascoltata e ignorata dal potere. Il fine è quello di far mettere nel calendario politico del Parlamento l'agognata abrogazione della "pena perpetua" dall'ordinamento giuridico italiano. Quest' urlo che esce dal Ventre della Bestia, sempre più silenzioso, si rivolge a quella Carta Costituzionale che ultimamente è stata dileggiata, offesa e che si vuole stravolgere nei suoi elementi fondamentali, che caratterizzano lo stato democratico, da chi siede sugli scranni che sono, o almeno dovrebbero essere del POPOLO in quanto sovrano (art. 1 Cost.). La Costituzione indica che le pene (tutte le pene) devono tendere alla rieducazione del Condannato e quindi al suo reintegro nella società, tramite proprio la rieducazione con un processo di reinserimento, dando così la speranza a chiunque di divenire migliore, proprio nella comprensione che l'aver violato delle regole è stato un errore e quindi declama, con il ritorno nei giusti tempi, che la pena dell'ergastolo va contro ai suoi principi di libertà ed al suo spirito democratico voluto dai Padri Costituzionali. Da questo si evince chiaramente che la pena perpetua è anticostituzionale. Questo argomento, però è molto complicato da affrontare, infatti nelle campagne elettorali si "gioca" sulla pelle di coloro che scontano una pena e si auspica un inasprimento delle pene stesse in direzione di quella certezza della pena che è indicata nel nostro ordinamento giuridico, nel rispetto della Costituzione; inoltre si creano nuove tipologie di reato aumentando e non di poco l'intasamento dei tribunali che non possono applicare la Legge e quindi non rendere effettivo il concetto di certezza della pena. Laddove chi commette una violazione delle regole abbia il giusto castigo da espiare con una giusta pena e dare il via alla sua rieducazione. L'aporia dell'intasamento dei tribunali porta al caos attuale e non il continuo crescere della popolazione detenuta a livelli esponenziali. Il nostro muto urlo si rivolge a quel Paese che si è fatto portabandiera contro la pena di morte nel mondo, fattore molto positivo, ma allo stesso tempo è quel Paese ipocrita che mantiene nel suo ordinamento la "pena di morte bianca" a richiamare forse il concetto vendicativo auspicato da Cesare Beccaria. Uno strano Paese nel quale sembra auspicarsi una sempre più frequente comminazione della pena dell'ergastolo, appunto quella "morte bianca" che si presenta quasi come una sorta di vendetta piuttosto che una pena costituzionalmente ammissibile. Non ci rimane che continuare a urlare silenziosamente, nella più assoluta indifferenza e ottusità di chi non vuole prendere coscienza che la pena dell'ergastolo è contraria al concetto stesso di democrazia, assolutamente non conciliabile, quest'ultima, con la vendetta civile.
carcere grate