La democrazia, come è noto, si fonda sulla possibilità che le persone modifichino le proprie idee. Così, non deve destare stupore il fatto che il presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini abbia nei giorni scorsi corretto una sua valutazione sulla figura di statista di Mussolini, a suo tempo definito il più grande del XX secolo, e ora decisamente ridimensionato. Si farebbe certamente torto al Presidente della Camera se si attribuisse il mutamento d’opinione a opportunismo politico; anche perché la revisione dei giudizi storici e politici da parte dell’onorevole Fini è iniziata già da tempo, e ha riguardato aspetti diversi della tradizione ideologica della destra radicale, orientandosi verso posizioni riconducibili a una moderna destra democratica. Le stesse “precisazioni” puntuali sulle esternazioni del Presidente del Consiglio Berlusconi, e l’attenzione alle forme istituzionali della democrazia parlamentare cui dedica il suo alto ruolo in modo sostanzialmente ineccepibile, manifestano un’evoluzione che, al di là di ogni giudizio ideologico, testimonia la vitalità della democrazia. E’ questa, in fondo, la conseguenza più apprezzabile della crisi delle ideologie. Qualche tempo fa un collega campese osservava: “L’interpretazione della modernità e dell’innovazione del fascismo è argomento di discussione decennale complesso tra storici, storiografi e sociologi e dovrebbe esulare dalla propria ideologia. Chiuderlo in uno sterile dibattito tra quello che è bene e male è fortemente limitativo. … E’ indubbio che il periodo di innovazione del fascismo abbia dato un enorme impulso alla modernità del paese …. Ma è altrettanto vero che tali opere sono state molto spesso (anzi sempre) strumento di propaganda di un regime liberticida e totalitario, e per questi motivi, odioso”. Non so se l’impulso alla modernità impresso dal fascismo sia davvero enorme, ma sono d’accordo sul fatto che di queste cose si dovrebbe parlare per competenza, e non per “appartenenza”. Perché spesso il ruolo svolto dall’ideologia è stato proprio quello di costituire solo un’“appartenenza”, una forma di riconoscibilità e di distinzione che ha distratto dai problemi immediati, che si è sostituita alla “competenza”, e ha prodotto schiere di “aderenti” che hanno sostituito la funzione fondamentale dei partiti, riconosciuta dalla Costituzione, creando in loro vece consorterie in cui la distribuzione di posti e incarichi rappresenta più un compenso di fedeltà che strategia di realizzazione di programmi. Al livello locale questo fenomeno assume rilevanza drammatica, e lo si può ben vedere nelle occasioni elettorali amministrative. Sembra non contare niente avere elaborato programmi, avere in mente un progetto di sviluppo, una strategia di azione amministrativa. Il richiamo è all’appartenenza e alla contrapposizione con “quegli altri”; il confronto è tra “gruppi”, tra “squadre”, come si dice ora, prendendo a prestito dalla terminologia sportiva non solo quel nome ma anche i modi di composizione, con campagne acquisti ed esoneri. Niente di illegale, niente di male. Se solo a guidare le collocazioni e i riposizionamenti, in un ambito delicato come la vita pubblica, ci fosse qualcosa in più del “tifo” (che va benissimo per lo sport): ci fosse la condivisione di volontà positive, capaci di superare le appartenenze e le ideologie in nome di “cose da fare” e di “modi” per realizzarle. Se solo le elezioni amministrative cessassero di essere un “derby”, per essere, sì, gara appassionata, ma a chi propone la migliore prospettiva politica, a chi offre migliori garanzie di realizzarla.
graziani sindaco campo nell'elba