Il richiamo alla decenza dell’informazione che Cesare Sangalli fa nel suo lucido intervento è sacrosanto, anche se rimarrà inascoltato: per malafede dei più, per disinformazione di altri, ripetitori di false informazioni ampliamente diffuse: caso tipico è l’affermazione di questi giorni proveniente da fonti cetrtamente non ingenue né insignificanti, secondo la quale la norma contenuta nel cosiddetto “Lodo Alfano” ripeterebbe analoghe leggi europee: il che è palesemente falso, perché in altri Stati dell’Unione l’immunità riguarda solo il Capo dello Stato, e mai il Capo dell’Esecutivo; e negli USA, a torto o a ragione ritenuti fulgido esempio della moderna democrazia, il Capo dello Stato non è immune per niente, e deve giustificarsi ufficialmente anche per innocenti giochi di carattere privatissimo (privatissimi anche della decenza), che se –a quel che si racconta– dovesse succedere da noi, guai! E i nostri partner non si stupirebbero tanto per l’indifferenza italiana alla sentenza del processo Mills, recentemente conclusosi con la condanna del coimputato del nostro premier, non processato proprio grazie al sullodato Lodo. Condivido le osservazioni di Sangalli sulle tragiche vicende del PD. Ma temo che il problema sia anche più grave. Perché le colpe, accertate o accertabili, di Berlusconi sarebbero obiettivamente poca cosa –se tutto fosse vero si tratterebbe comunque di “mariolerie”, come diceva Craxi, anche macroscopiche, ma non capaci di incidere nella storia di un grande Paese–, di fronte al vero disastro etico al quale assistiamo, e che possiamo riconoscere nei tratti esasperati dell’individualismo e dell’indifferenza. Ciò che è mancato al PD, ciò che manca alla nostra comunità dalla dimensione nazionale a quella locale, è la cultura della con-partecipazione, della sin-patia (sun-pathos = “sentire” insieme) dell’ “I care”, della con-responsabilità, dell’appartenenza: la cultura che dal richiamo all’“unirsi” del Manifesto di Marx-Engels, attraverso Leone XIII e Turati, Gobetti e Gramsci, Gandhi, Giovanni XXIII, don Milani, Gaber, e tanti tanti altri ha costituito il fondamento, la spinta, la “base” della coscienza civile e politica che ha avuto come ultimo respiro la “resistenza” allo stravolgimento della Costituzione nel 2006. Dei personaggi, dei grandi “respiri” ora ricordati, almeno nei ritratti e nei libri conservati nelle sezioni dei partiti della Sinistra ora chiuse o deserte, era traccia e testimonianza; oggi nessun cittadino che abbia meno di trent’anni ne ha il minimo ricordo. Abbiamo pensato –nei casi migliori– che “partecipazione” fosse ributtare ogni responsabilità sulle spalle di chi ci aveva affidato il compito di studiare, elaborare, progettare, rendere esecutive ed effettive le decisioni per la nostra quotidianità e per il nostro futuro, tornando ogni volta a chiedere di esprimersi a coloro che avevano consegnato alla nostra competenza la propria speranza; e abbiamo chiamato questo “democrazia” quando forse era solo il tentativo di non assumersi in proprio la responsabilità di sbagliare con il conseguente rischio di essere esonerati alla prossima tornata elettorale. Berlusconi –e questa è secondo me la sua obiettiva “colpa morale”– ha cancellato il ricordo della faticosa strada alla democrazia della partecipazione con un richiamo semplice e di immediata comprensione: “Fatevi furbi!” –come recitava il manifesto elettorale in Sardegna–. Che vuol dire: “Pensate per voi”, anzi “Pensa per te”. E di questa visione del mondo si è costituito modello ed esempio, senza vergognarsi della intrinseca sua meschinità, e invece esibendola come unico valore possibile, capace di superare antichi pilastri come la coerenza, la “parola” data, la pratica della verità, la sacralità del giuramento, il rispetto per le ragioni e la dignità altrui. Ha richiamato a norma il “bellum omnium contra omnes” (la guerra di tutti contro tutti) di Hobbesiana memoria, senza la tragica dignità di Leviatan (lo Stato mostro): ha fatto della competizione per il progresso della società un gioco finto come i reality show, del successo la vittoria al Grande fratello, dell’amore lo stanco “gioco delle coppie” dei suoi rotocalchi, della dignità i finti Vip del Billionaire. Su questo si è stabilito lo scellerato compromesso della Sinistra, per timore di “restare indietro” rispetto alle mode di ogni genere divenute ormai l’unico Valore sul mercato. “Hanno cominciato a punirvi e continueranno a farlo finché non cambierete. Perché negli ultimi disgraziati 15 anni non ha governato solo Berlusconi, ma avete governato anche voi, e neanche poco (fra Prodi, D'Alema, Amato e ancora Prodi fanno sei anni). Perché avete avuto o avete ancora le mani in pasta, avete ormai il compromesso morale nel DNA”, dice Sangalli. Le “nobili dichiarazioni di intenti o, per dirla in gergo, "brevi cenni dall'universo"” sono diventate come le prediche dei buoni parroci, consapevoli che uscito di chiesa ogni fedele tornerà a fare quel che gli pare. Forse ha ragione Veltroni a dire di non aver fretta. Bisogna rifondare la nostra società, per fortuna (!!!) con il potente aiuto di una crisi economica che farà in breve giustizia di ogni inganno e di ogni illusione. Anche per quanto riguarda la Sardegna sono d’accordo con Sangalli: Soru ci ha provato, chiedendo ai suoi concittadini di investire sul futuro; ma il suo avversario ha detto loro “Fatevi furbi!”, e il richiamo della foresta è stato più forte. Questo ci insegna a essere realisti, a non cadere nell’illusione che ci ha ammaliato nei trascorsi anni, cioè che la trasformazione della società potesse farsi nelle realtà piccole, a partire dalla periferia. Certo bisogna essere attenti, vigili e responsabili nelle realtà che ci vedono presenti; e anche disponibili a impegnarsi nella gestione dell’immediato. Ma l’obiettivo deve essere ormai una grande “rivoluzione culturale” che si proponga di ristabilire il primato della verità delle cose e dei loro nomi; di restituirci la nostra umanità insegnandoci a farla crescere senza alienarla, senza venderla all’illusione di successi senza contenuti; che ci rimetta in condizione di pensare, desiderare, amare. Fo un po’ fatica a qualificarla secondo ragioni e nomi di schieramenti noti e tradizionali. Chi ha voglia si faccia avanti, quale che sia la sua storia. L’avversario non sarà riconoscibile per il “colore”, rosso, nero o verde o azzurro. Sarà riconoscibile se cercherà di ingannarci, di addormentarci, di stordirci, di illuderci. Se ci inviterà a “farci furbi” senza dirci che chi ha cominciato prima, e ora ha millemila milioni, ci ha già tolto gran parte delle chances; e che anche noi, se riusciremo a farci furbi, lo faremo solo a spese dei più deboli. Noi, invece, ci riconosceremo perché “non ci piace vincere facile”.
luigi totaro