Pino Lucchesi si è chiesto cosa c’è che ancora non gira nel verso giusto se il parco dell’Arcipelago è ancora visto da molti come una intrusione, un corpo estraneo dalle comunità locali. L’anno che sta per iniziare vedrà alcuni parchi regionali –compreso quello di San Rossore- celebrare i 30 anni e altri lo hanno fatto nell’anno che sta per concludersi. Anche alcuni parchi nazionali -sia pure con meno anni alle spalle- hanno fatto altrettanto. Storie e realtà diverse, naturalmente, ma tutte accomunate dalla ricerca tenace e paziente –generalmente coronata da successo- di quel ‘consenso’ di cui parla anche Lucchesi a proposito di percorsi condivisi. E se altrove ha funzionato perché qui continua a lasciare morti e feriti sul campo? L’articolo pone l’accento sul fatto che qui –all’Arcipelago- anche il presidente è stato ‘imposto’ da Roma. Non dirò che l’argomento è irrilevante e tanto meno pretestuoso. Ma manca un passaggio importante –diciamo pure che c’è una omissione- che non aiuta a venire a capo degli innegabili problemi. E’ che si tratta di un parco nazionale. Che scoperta si dirà. Ma noi non ne stiamo discutendo come di un parco nazionale che qualche differenza la fa con quelli regionali. E la differenza più marcata ma anche molto importante -e all’Arcipelago la cosa dovrebbe risultare particolarmente palese- (ma vale anche per gli altri due parchi nazionali tosco-emiliani) è che l’intervento diretto dello stato mira a tutelare e immettere dimensioni locali di particolare pregio e potenzialità in un circuito nazionale ed anche internazionale dove da sole non potrebbero arrivare. Offre e chiede,insomma un di più alle comunità e istituzioni locali che da sole non ce la farebbero ad entrare in questa dimensione più ampia e complessa, rispetto anche a quella dei parchi regionali. Se non si parte da qui si rischia di prendere brutte cantonate per cui il presidente designato da Roma d’intesa con la regione appare un intruso anziché una garanzia, un pegno della volontà ‘nazionale’ di assumersi precise responsabilità e impegni. Il fatto è che tranne la designazione del presidente –il quale- sia detto per inciso- nemmeno lo volesse potrebbe costruirsi da solo quel percorso condiviso che nel caso di un parco è dato innanzitutto e soprattutto dal piano, Roma ‘non risponde’. E’ possibile che dopo tanti anni lo stesso Pino Lucchesi parli ancora di aree marine al plurale quando si tratta di aggiungere alla perimetrazione di terra quella marina; punto basta. Come avviene in tutti i parchi in Europa e nel mondo. Ma il ministero pretende –in una continuità politica sconcertante- di gestirsi le aree marine protette come altra cosa separata e da Roma (qui si c’è l’intrusione!) facendo i propri comodi come per la Meloria. Il parco si è dato un piano che è stato discusso in regione -e non al ministero- ecco perché ci sono tutte le condizioni per costruire un percorso condiviso. Il parco nazionale dell’Arcipelago al pari di tutti gli altri non va ‘riconquistato’ dai nativi, va solo gestito in ‘leale collaborazione istituzionale’ –come previsto dalla legge- che non è semplicemente un galateo politico o un codice di buone maniere ( che ovviamente non guastano) ma un impegnativo esercizio di governo del territorio. E il parco diversamente dalle invenzioni istituzionali dell’ultima ora ( vecchie come il cucco) è strumento validissimo se lo si sa gestire senza troppi piagnistei e polemiche d’altri tempi. E anche senza demagogia ‘localistica’ di cui sono piene le fosse di tanti fallimenti.
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