“La cosa enormemente tragica che emerge in questi giorni - scrive Luigi Totaro riportando un articolo di Roberto Saviano - è che nessuno dei coinvolti delle inchieste napoletane aveva la percezione dell’errore, tantomeno del crimine. Come dire, ognuno degli imputati andava a dormire sereno. Perché, come si vede dalle carte processuali, gli accordi non si reggevano su mazzette, ma sul semplice scambio di favori: far assumere cognati, dare una mano con la carriera, trovare una casa più bella a un costo ragionevole. Gli imprenditori e i politici sanno benissimo che nulla si ottiene in cambio di nulla, che per creare consenso bisogna concedere favori, e questo lo sanno anche gli elettori che votano spesso per averli, quei favori. Il problema è che purtroppo non è più solo la responsabilità del singolo imprenditore o politico quando è un intero sistema a funzionare in questo modo”. Traggo queste righe da un lungo e denso articolo di Roberto Saviano su “Repubblica” del 20 dicembre scorso. Come è evidente, il problema aperto da Saviano è assai complesso: investe il ruolo della politica nella nostra società, e soprattutto quello possibile in una società futura, nata dalla gravissima crisi odierna. Il punto dolente individuato dallo scrittore è il ruolo di mediazione del ceto politico, divenuto ormai esclusivo nella prassi di governo dei diversi aspetti della realtà, che viene in tal modo ridotta alla mera gestione dell’esistente, fuori di ogni proiezione verso il domani, il tra dieci anni, il tra trenta. Il corteo dei cittadini pescaresi che chiedevano calorosamente che fosse loro restituito il sindaco arrestato conferma in tutto e per tutto queste considerazioni. Ma, come avverte Saviano, non è tempo di ritirarsi in nessuna torre d’avorio: “Il tepore del "tutto è perduto" lentamente dovrebbe trasformarsi nella rovente forza reattiva che domanda, esige, cambia le cose. Oggi, fra queste, la questione della legalità viene prima di ogni altra. L’imprenditoria criminale in questi anni si è alleata con il centrosinistra e con il centrodestra. Le mafie si sono unite nel nome degli affari, mentre tutto il resto è risultato sempre più spaccato. Loro hanno rinnovato i loro vertici, mentre ogni altra sfera di potere è rimasta in mano ai vecchi. Loro sono l’immagine vigorosa, espansiva, dinamica dell’Italia e per non soccombere alla loro proliferazione bisogna essere capaci di mobilitare altrettante energie, ma sane, forti, mirate al bene comune. Idee che uniscano la morale al business, le idee nuove ai talenti”. Nello stesso numero di “Repubblica” l’“Amaca” di Michele Serra completava il ragionamento di Saviano: “I soldi, le feste, la conquista di un proprio posticino nei piani alti della società. La benevolenza e i regali degli amici potenti. E la sensazione di non dover più bussare a quelle porte che, quando si era giovani, erano sempre chiuse. E l’orgoglio di "avercela fatta", un sentimento sempre in bilico tra legittime ambizioni e stupide vanità. E’ questo il clima che racchiude e racconta i nuovi scandali politico-affaristici di Napoli e altrove. Identico il meccanismo di seduzione che il potere e i soldi esercitano su chi se li vede passare accanto. In più, magari, la sorpresa di scoprire così vulnerabili, così indifese, le nuove leve di una sinistra un tempo moralista (anche se non fu affatto indenne da Tangentopoli) e oggi soprattutto a-moralista, e cioè, perduti i vecchi criteri di giudizio, incapace di produrre un proprio autonomo stile, o almeno varianti credibili alle pulsioni gaudenti e monocordi dei nuovi ceti di successo. E’ come se la scelta fosse tra essere smorti ed esclusi, oppure vivi e conformisti, per poi ritrovarsi collusi senza nemmeno essersene resi conto, perché la vita, le risate, le persone simpatiche, le luci accese erano proprio là, dove non ci si fanno troppi scrupoli, e ogni minimo rovello morale puzza subito di moralismo guastafeste. Ma ci sarà un modo di essere vivi, e contenti di sé, anche con altre maniere, altri metodi e altre compagnie?”. Il nodo problematico è proprio questo. La Sinistra si è appiattita nella vergogna per ogni appartenenza di classe, per ogni distinzione –e anche “diversità−; ha paura di essere esclusa da una pretesa modernità, di apparire preda delle gabbie ideologiche, dei richiami alla storia, di star fuori dalla contemporaneità, dal “fare” qui e ora e “domani è un altro giorno e si vedrà”. Si è così mimetizzata in una società di “uguali”, nella quale non si distingue più la “res publica” dalla “res privata”, il bene di tutti da quello individuale, il giusto dall’ingiusto; da qui la rincorsa a tutte le fughe in avanti individuali e individualiste (radicali, socialiste e ora berlusconiane) con l’idea che stare al passo coi tempi significhi stare al passo “con la gente” –come si sente dire sempre più spesso−, e quindi coi suoi modelli –i “ricchi” anche se talvolta piangono; i “famosi” in gare stupide ma pur sempre “spettacolari”; gli “amici” che si scannano della signora Costanzo; i “Beautiful” e via andare−; da qui ancora l’abbandono di ogni ruolo informativo e formativo dei partiti, e l’acquiescenza all’informazione “un tanto a chilo” di Giacobbo, Manfredi, perfino Sciarelli; o al bilancino dei Floris e dei Mentana, al narcisismo dei Santoro e dei Lerner, alle raffinatezze solo notturne di RAI 3 –per fortuna che si salva la radio−. E invece, ora, ci si accorge che non era la modernità quella che si rincorreva, ma il medioevo feudale e burocratico dei rapporti e delle relazioni interpersonali, dei favori e delle grazie, dell’equilibrio dei poteri informali: proprio tutto quello che la concezione “moderna” della politica dal ‘700 in poi aveva voluto spazzare via, e che di fatto ha spazzato via in larga parte del ‘nostro’ mondo occidentale, ove gli esempi residui sono eccezioni, comunque respinte dalla coscienza civile. Si va verso una campagna elettorale “di crisi”: tutto si gioca fra la tentazione di spingere verso un consenso ricercato ancora attraverso le promesse inchiodate al breve e brevissimo periodo, o invece fondato su orizzonti, prospettive, progetti da costruire per il lungo periodo –giorno per giorno, da oggi; ma non solo per oggi−. Lasciamo alla Destra che ne è regina il dominio di una società nostalgica e proiettata nel passato, contenta del suo, pronta a rincorrere quell’agiatezza che –fondata sulle bolle di sapone di un ottimismo cieco, sordo e muto− sta rischiando di travolgerci tutti. Per quel che mi riguarda, tra le ideologie e le idee pubblicitarie continuo a preferire le prime.
luigi totaro