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Controcopertina: Luigi Totaro - Ricominciamo un po' a parlare di classi sociali

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 16 dicembre 2008

“La storia di ogni società finora esistita è sempre stata storia della lotta di classe”: questa è l’asserzione iniziale del “Manifesto del Partito comunista” di Marx-Engels (1848). Il taglio della lettura storica è molto netto ma assai plausibile. Mi è venuto in mente osservando le vicende del nostro presente, quando il semplice ricordo del pensiero di Marx sembra un peccato di cui doversi vergognare, dopo che la narcosi delle ideologie ci ha inchiodato alla egemonia del “gesto” e all’eclissi del pensiero. Il riferimento alla “lotta di classe” –interpretata seccamente come lotta del ‘proletariato’ contro l’esecrata ‘borghesia’– evoca scenari da revanscismo giustizialista e populista, ed è subito tacciato di pericolosa nostalgia per il comunismo sovietico; e così ogni discorso si chiude. Eppure è chiarissimo il carattere ‘di classe’ del governo attuale, la scelta ‘di classe’ del Presidente e dei suoi ministri ‘veri’, l’indirizzo ‘di classe’ della sua politica. Quasi sempre il Premier parla presenziando a convegni di imprenditori e commercianti, alcuni (?) dei quali sottraggono risorse a tutti gli altri evadendo o eludendo il pagamento delle tasse, o attentano alla vita dei propri dipendenti sottraendo loro la sicurezza sul lavoro, o lucrano sulla disperazione dei più miseri sottraendo loro i diritti all’assistenza e alla pensione tramite il ‘lavoro nero’, ecc.; e agli imprenditori garantisce la propria solidarietà per quelle nobili azioni, garantisce il proprio interessamento, l’assistenza nelle difficoltà, e mantiene la parola. Oltre i colleghi imprenditori egli vede solo ‘il popolo’, al quale si rivolge esclusivamente per ottenerne il consenso con una comunicazione mirata, attenta –mediante il ricorso sistematico ai sondaggi– a valutarne gli umori per indirizzarli al proprio favore, ma sostanzialmente indifferente ai problemi, ai bisogni, alla disperazione della condizione di chi vive nel mondo ‘altro’ rispetto al suo, cioè nel mondo del lavoro dipendente, del lavoro precario, del non lavoro, del non più lavoro. Di quel mondo cerca di neutralizzare la capacità contrattuale attraverso la divisione del movimento sindacale, per esempio; attraverso la frammentazione delle tipologie contrattuali; attraverso l’esasperato riferimento alla ‘mobilità’ dei lavoratori, che li sradica dai contesti esistenziali, dalla propria professionalità e quindi dalla dignità, dalla solidarietà. Insomma, della ‘lotta di classe’ in corso è chiara anche la strategia: della disintegrazione della classe avversa, riducendone i componenti a sperduti individui senza protezione, cui non resta altra salvezza che quella di affidarsi alla clemenza del vincitore. La situazione economica si presenta con i caratteri classici e storici della deflazione: il Governo si orienta verso la tutela del risparmio, della sicurezza delle banche e delle grandi imprese (cioè della classe che rappresenta). Occorrono fondi, e questi vengono trovati nel risparmio sulle spese “non necessarie”: la scuola, la salute, la sicurezza, principali strumenti di tutela dell’altra classe. L’invito al ‘popolo’ a essere ottimista, a ‘consumare’, a risparmiare, opera ancora una volta una divisione, poiché è del tutto evidente che non può rivolgersi ai disoccupati, ai precari, a quel numero importante di cittadini che gli istituti demografici collocano ormai nella fascia di povertà; anzi, a costoro (ma non a tutti) il governo destina la ‘social card’ di quaranta euro mensili, che corrispondono a quanto il Premier integra nel suo reddito annuale ogni due minuti (dati desunti dal suo reddito IRPEF 2002). Ma l’aspetto nuovo, anche se non inedito, nella storia politica italiana è l’apparente incontenibilità del procedere dell’attuale leadership. Non sembra esistere alcuna opposizione capace di rappresentare una prospettiva differente, nuova. Di Pietro e la sua Italia dei Valori si presentano con caratteri di maggiore incisività, perché utilizzano una comunicazione sostanzialmente omogenea a quella del Premier, e come lui sono ‘ascoltati’. Le altre opposizioni parlamentari sono prigioniere di un ruolo che non capiscono, perché il nuovo contesto nel quale operano di fatto ne rende vano ogni intervento e velleitario ogni contrasto di fronte a una maggioranza parlamentare dilagante e bene o male unanime: tanto che l’unica vera ‘opposizione’ appare quella della Lega Nord, che porta avanti una sua politica, e che del resto come Di Pietro usa la stessa comunicazione del Premier. Fuori del Parlamento la Sinistra del dissenso è ancora in coma farmacologico, e chi sa cosa succederà al risveglio. Malgrado questa analisi, non credo che la situazione sia destinata a resistere in questa triste stabilità. In primo luogo la situazione economica la rende, nel bene e nel male, necessariamente fluida. Se nel brevissimo tempo le contraddizioni restano sopite, nel breve e medio rischiano di esplodere, e allora gli inviti all’ottimismo diverranno insopportabili. Il che non vuol dire “tanto peggio, tanto meglio”: quel che può succedere, e che personalmente mi auguro succeda, è che tutta la realtà si metta in movimento, in un movimento sempre più accentuato e capace di produrre importanti cambiamenti. Ce ne è già qualche avvisaglia, che induce a un cauto ottimismo. A livello mondiale la vittoria di Obama costituisce un cambiamento rilevantissimo. Da noi, non si può non considerare importante e vitale il nuovo movimento intrapreso dagli studenti, l’“Onda”: per ora quello che se ne vede è la volontà di non cercare riferimenti nella vecchia politica, con la quale non si perde neppure tempo a polemizzare; è la disposizione a elaborare autonomamente nuovi modelli di formazione della volontà, di prefigurare una nuova strategia democratica. Non è forse ancora una realtà, ma almeno sembra l’inizio di un metodo nuovo. E’ presto per dire se questo metodo sarà già ‘a punto’ per le prossime, incombenti scadenze politico-amministrative. Anzi, a essere realista, mi sembra che dovremo aspettare ancora un poco. Per stare sul nostro territorio, tutto quello che si sente nei primi interventi programmatici non porta il profumo del nuovo e dell’inedito. Anche dando per scontata ogni buona volontà, si rimane avvitati in una prospettiva che al massimo promette una migliore ordinaria amministrazione. Le persone che vediamo esser proposte o proporsi paiono di più forze della riserva che nuovi combattenti. E i nuovi che pure si affacciano alla scena politica parlano il linguaggio dei loro maggiori, con correttivi forse buoni ma non suscettibili di far intravedere grandi cambiamenti. Insomma, la possibilità imposta più che offerta dalla rivoluzione in atto nell’economia mondiale –di modificare, di sconvolgere, di innovare totalmente anche le linee di sviluppo dell’azione amministrativa del territorio– non è ancora arrivata alla consapevolezza della politica isolana. Bisognerà tornarci sopra.


Karl Marx

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