Il maltempo di questi giorni dimostra quanto sia ancora fragile l'Isola d'Elba e quanto ci sia ancora da fare anche dopo i parziali lavori emergenziali del post-alluvione del 2002. Occorre ringraziare gli uomini e le donne della Protezione civile e delle amministrazioni interessate che stanno svolgendo un ottimo lavoro nel tamponare le situazioni più a rischio, ma è fin troppo evidente che il cambiamento climatico sta moltiplicando i fenomeni estremi e le emergenze in un'Isola le cui piane e diversi versanti sono stati cementificati ed asfaltati e i corsi d'acqua ristretti in maniera troppo spesso scriteriata. L'Elba deve iniziare finalmente a considerare davvero il governo del territorio, che è anche prevenzione, recupero e restauro, la più urgente opera pubblica da fare con interventi strutturali e investimenti all'altezza della situazione in cui versa un'isola resa ancora più fragile dall'abbandono delle campagne e delle vecchie opere di regimazione idraulica. L'alluvione del 2002 e gli episodi di queste ultime settimane di un autunno solo un po' più piovoso di quanto ci eravamo abituati, dimostrano che tutti i comuni italiani sono a rischio di allagamenti e frane, una cosa che l'Elba condivide con un quadro nazionale disastroso: secondo i dati ufficiali "il 77% dei comuni dichiara di avere abitazioni in zone a rischio, il 30% ha addirittura in queste aree interi quartieri e oltre la metà fabbricati industriali. Ma più preoccupante è che questi comuni non investono abbastanza sulla manutenzione e solo il 37% realizza opere di prevenzione e messa in sicurezza". Se è vero che il post-alluvione del 2002 ha messo in sicurezza alcune porzioni di territorio e che si iniziata una manutenzione di alcune sponde dei corsi d'acqua, è anche vero che esiste un forte ritardo nella prevenzione e che occorrerebbe avere il coraggio di delocalizzazione alcune costruzioni nelle aree più a rischio per ricostruirle in zone sicure, ad iniziare dall'ecomostro di Procchio. Invece si continua a costruire in aree a rischio esondazione, anche la dove il territorio non è stato completamente messo in sicurezza. . Il Presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza ha detto parole di buon senso in un Paese che non riesce a difendere il suo territorio dalle scelte sbagliate: «l'Italia deve decidersi a puntare sulla prevenzione. Da troppo tempo gli amministratori sottovalutano il rischio idrogeologico e investono pochissimo sulla manutenzione dei corsi d'acqua e la situazione è aggravata dall'abusivismo, dall'urbanizzazione irrazionale, dal disboscamento dei versanti oltre che dall'ormai evidente mutamento climatico. Mitigare il dissesto idrogeologico significa innescare un percorso virtuoso anche per l'economia perché considerando i danni, costa meno prevenire che curare. I comuni inizino quindi a delocalizzare le abitazioni, gli insediamenti industriali, le attività agricole e zootecniche nelle aree a rischio realizzando un piano straordinario di manutenzione di fossi e fiumi e adeguando le reti fognarie».
alluvione novembre 2008 campo 4