Il problema non è di quello che ha detto, ma che l’abbia detto. Mi spiego. Dire che un nero è nero è come dire che un bianco è bianco, un giallo è giallo, o che un biondo è biondo, un bruno è bruno. Nessun nero si offende, oggi, se si dice che è nero; o un meridionale, che è meridionale. Il problema è la ‘battuta’, è che pensa di dover dire le ‘battute’. Molti commenti hanno scomodato il razzismo ‘de noantri’, –sicuramente sottinteso–. A me pare più grave che abbia detto di ‘voler dare dei buoni consigli, sulla base della sua esperienza’ al giovane presidente degli USA. Un’altra battuta: una vanità insulsa, soprattutto riguardando un uomo che nei due discorsi sinora pronunciati ha espresso più pensieri e più concetti di quanti non ne abbia prodotti in tutta la vita la “fronte inutilmente spaziosa” (Fortebraccio) del nostro. Il problema, dunque, è il Bagaglino come stile di vita e di relazione: che va benissimo per chi fa teatro, ma è drammatico in un uomo delle Istituzioni. Il problema è la totale assenza del “senso dello Stato”, è la mancanza di percezione della differenza fra una esibizione in palco e una conferenza stampa istituzionale. O meglio, è la volontà di eradicare quella differenza. Non è infatti una questione di buon gusto, o di esuberanza di carattere personale. Il modo di agire corrisponde al carattere voluto e studiato di un modo di governare, che ormai si rivela senza più reticenze: a esempio nella scelta di alcuni ministri fatta “ad arbitrio de su excellencia”, forzando su nomi improponibili non (o non solo) per biografie personali ma per manifesta inadeguatezza, come mera manifestazione di potenza (e di disprezzo per gli altri: Tremonti, Maroni, Bossi, Bondi, Frattini, Scajola, ma anche Matteoli, Calderoni, La Russa); più in generale, per ‘comunicare’ che chi decide davvero è uno solo (poi ogni tanto un ministro di quelli veri s’inquieta, e il premier smentisce quel che ha detto due minuti prima). Attraverso questo tramite si ‘comunica’ che il Parlamento è un’inutile perdita di tempo per la rapidità delle decisioni (“di quel securo il fulmine / tenea dietro al baleno”, come Napoleone), e che quando il Popolo, detentore del potere, l’ha consegnato al ‘dictator’ –come accadeva nella Roma repubblicana–, cade ogni altra mediazione. Non è ‘ancien régime’, perché non c’è ‘noblesse’; non è “caudillismo”, perché non ci sono galloni e decorazioni militari; è la mera forza del denaro esibita come valore ‘popolare’, cioè facilmente riconosciuto senza bisogno d’altro, un po’ come il Naomo di Panariello. Che però è appunto un personaggio di spettacolo, non un uomo di Stato. Una volta ridotto tutto a questioni di soldi, ecco le ‘riforme’ del governo: per la scuola, l’università, i contratti di lavoro, la sanità, le tasse. Non esiste mediazione, neppure quella delle scienze, neppure quella della storia. Bisogna far contento il popolo che ha consegnato il potere, e si taglia l’ICI; poi bisogna trovare dei soldi per compensare l’abolizione dell’ICI, e allora si tagliano le spese sulle quali il governo ha il controllo diretto: Lavori pubblici, scuola e ricerca, sanità (togliendo al popolo ben più di quello che gli si è dato). Si fa e basta: chi chiede ragioni e progetti è uno che vuol far perdere tempo. Bisogna far contento il mondo della Produzione, perché la Produzione è il Nord, e il consenso del Nord è vitale; la produzione è fatta di imprese e di lavoratori: basta mettere i lavoratori sotto continuo ricatto con la “flessibilità” e il precariato, e gli Imprenditori saranno grati per sempre; e i lavoratori saranno silenti, per evitare il peggio (che non evitano, ma questo si vede solo dopo). Bisogna evitare che si ragioni troppo, che si discuta troppo sul senso e sulle conseguenze delle decisioni del governo; allora si accompagna ogni decisione di tagli economici (scuola) con qualche fuoco d’artificio che piace tanto al popolo, come il grembiulino o il cinque in condotta o i voti (negando scienza e storia) –affidando a queste idiozie nientemeno che la risoluzione del problema del ‘bullismo’, e più in generale dei problemi di questa nostra “epoca delle passioni tristi”, sui quali si sta scervellando il fior fiore dell’intelletto mondiale–; o si inaspriscono le pene per i “writers”, i ‘decoratori’ di muri; o si scatena il Brunetta dei “ricchi e poveri”, che crede –purtroppo davvero– che i problemi della nazione siano i fannulloni (che sono forse un problemino della nazione), e non i poveri che aumentano e le prospettive che si abbuiano, e i giovani senza futuro. Buonsensimo e populismo, assenso senza bisogno di consenso (che è partecipazione a ragioni condivise), e tanto, tanto sport. “Circenses” anche con poco ‘panem’. Il Bagaglino come buffone di corte, perché nell’eterno carnevale televisivo ogni scherzo vale. Chi non è a corte, è “di sinistra”. Disfattista, pessimista, comunista. “E sempre allegri bisogna stare / ché il nostro piangere fa male al re / fa male al ricco e al cardinale / diventan tristi se noi piangiam”. Ma non perdiamo la speranza. Come la Silvia del Leopardi, “all’apparir del vero tu misera cadesti”...
luigi totaro