La nuova inondazione che ha colpito, a soli 6 anni di distanza dall'alluvione del settembre 2002, la piana di Marina di Campo, dimostra che ormai non ci troviamo più di fronte ad eventi "storici" che si misurano a distanze di secoli o lustri, ma ad episodi "estremi" sempre più ravvicinati dovuti ad un aumento dei periodi di siccità prolungata, e interrotti da violenti e concentrati acquazzoni che colpiscono piane che continuano impunemente ad essere cementificate. Se è vero che dove sono state eseguite le opere di "difesa" e regimazione successive al nubifragio del 2002 l'acqua è stata contenuta, è anche vero che il nubifragio del 24 ottobre dimostra che il territorio elbano non è ancora in sicurezza e che se fosse continuato a piovere solo per qualche ora si sarebbe prodotta in molte delle piane dell'Elba una situazione simile a quella del 2002. Eppure si è continuato a costruire, anche in Comuni non messi "a norma" dal punto di vista idrogeologico o addirittura con strumenti urbanistici "in norme di salvaguardia" o che, come a Campo nell'Elba, per poter continuare a costruire nelle piane che si allagano e nelle ZPS propongono una "Variante Gestionale al Piano di Fabbricazione" di più di 30 anni fa. C'è qualcosa, anzi molto, che non va. Ci sembra evidente che manca un'opera di controllo della spensierata edificazione elbana e che nell'Isola si è molto bravi a trovare "trucchi" e cavilli per aggirare norme che dovevano essere inaggirabili. Dopo l'alluvione del settembre 2002 la Giunta Regionale Toscana emanò la DGRT 1054/2002 che all'art. 1 stabiliva che "nelle aree di cui alla cartografia allegata, anche qualora le stesse ricadano all'interno di aree vincolate ai sensi della L. 677/96 o vincolate ai sensi del D.L. 180/98 convertito con L. 267/98, sono consentiti esclusivamente gli interventi relativi alla mitigazione del rischio idraulico-idrogeologico. Sono altresì consentiti gli interventi di manutenzione su edifici nonché di restauro senza aumenti del carico urbanistico così come definito dalla L.R. 52/99 e, limitatamente alle sistemazioni del terreno quali piazzali ecc., previo parere favorevole dell'Autorità idraulica ai sensi dell'art. 89 comma 1 punto c) ultimo periodo D.L. 112/98;". La cartografia allegata includeva tutti i centri urbani costruiti nelle valli elbane e lungo le aste fluviali, compresa ovviamente la piana di Campo. Sulla base di questa cartografia, per effetto dell'art. 2 della citata DGRT i Comuni avrebbero dovuto provvedere alla "verifica delle classi di pericolosità contenute negli strumenti urbanistici vigenti ed al conseguente adeguamento delle classificazioni ivi contenute". Non ci risulta che questi adeguamenti siano stati fatti in diversi comuni. Per effetto di questi due articoli della DGRT i Comuni avrebbero dovuto inibire qualsiasi attività edificatoria, inserire le norme di salvaguardia nei piani regolatori e cominciare a mettersi in regola. Le tappe da seguire erano obbligate: 1) affidare incarichi a tecnici progettisti per la redazione dei progetti di messa in sicurezza dei fossi; 2) approvare formalmente tali progetti con un atto deliberativo dopo aver acquisito i pareri obbligatori per legge; a questo scopo lo strumento della Conferenza dei Servizi costituiva sicuramente lo strumento più rapido per ottenere le prescrizioni e i nulla osta necessari; 3) realizzare le opere idrauliche approvate e prendere atto della avvenuta messa in sicurezza con un nuovo atto deliberativo. Con l'approvazione di questo ultimo atto deliberativo i Comuni avrebbero potuto inviare alla Regione la richiesta di deperimetrazione delle aree rischio con conseguente modifica delle cartografie allegate alla DGRT 1054/2002 e contemporaneamente rilasciare nuovamente permessi di costruzioni. Infatti l'art. 3 della DGRT stabiliva che "nelle more dell'adeguamento delle classificazioni di pericolosità di cui all'art. 1 ed a seguito dell'avvenuta realizzazione di interventi di messa in sicurezza, siano state recuperate,secondo quanto indicato nella deliberazione della Giunta Regionale n. 1212 del 2/11/1999,condizioni di pericolosità riconducibili ad una classe di pericolosità bassa, potrà essere consentito ilrilascio di concessioni e autorizzazioni edilizie nonché la realizzazione degli interventi a seguito di denuncia inizio attività" . A quanto ci risulta qualche comune elbano non ha provveduto ad avviare le procedure per la deperimetrazione delle aree di rischio, quindi le aree di rischio idraulico indicate nella cartografia allegata alla DGRT non si troverebbero nelle "more dell'adeguamento" e quindi nelle condizioni di deroga ai vincoli dell'art. 1 in base all'art. 3. Sicuramente non è stata deliberata dalla Giunta regionale alcuna modifica della cartografia del rischio idraulico all'isola d'Elba. Allora ci chiediamo: come hanno fatto questi comuni elbani ad approvare strumenti urbanistici che non tenevano conto dei vincoli stabiliti dall'art. 2 della DGRT 1054/2002? E ancora: perché Regione e Provincia non hanno avanzato alcuna osservazione una volta che i piani erano stato adottati? Alla luce di quanto è successo di nuovo a Campo nell'Elba chiediamo ai sindaci elbani e soprattutto alla Regione Toscana: quello che è stato fatto (e costruito) all'Elba nelle aree a rischio è conforme a quanto previsto dalla delibera di giunta regionale 1054/2002? Quali e dove sono le deperimetrazioni davvero approvate definitivamente e secondo l'iter previsto? Le procedure adottate sono conformi? Quali sono le aree che la Regione considera ancora a rischio? Come intende agire la Regione sul merito della sua delibera, che permette ai Comuni elbani di costruire anche se l'intero territorio non è evidentemente in sicurezza? Cosa intende fare la Regione Toscana per far rispettare integralmente l'ottimo strumento che emise dopo l'alluvione del 2002? Il nostro dubbio è che i Comuni abbiano fatto scattare le norme dell'art.3 dalle deliberazioni che approvavano i progetti di messa a norma anziché dalle deliberazione di verifica dell'effettivo abbattimento del rischio idraulico dopo la realizzazione delle opere. Una "furbizia" che avrebbe consentito di aggirare la Legge Regionale e continuare a costruire nonostante il rischio alluvioni non sia stato ancora affatto scongiurato.
fosso della madonnina portoferraio alluvione