Il Pdl accelera per la leggina prima che la Consulta si pronunci su Elbopoli LIVORNO. Dopo il lodo salva-Berlusconi (firmato dal guardasigilli Angelino Alfano), ecco che nel menu dei lavori parlamentari salta fuori il lodo-bis, stavolta salva-Matteoli: promosso dal deputato-avvocato Giuseppe Consolo, che del ministro livornese delle infrastrutture non è solo collega di partito (An) ma anche il legale di strettissima fiducia. Se il "lodo Alfano" sospende i processi per le più alte cariche dello Stato (premier compreso), quello ideato da Consolo punta a estendere l'ombrello salvifico che tutela ministri e ex: non più solo per eventuali reati commessi nell'esercizio del proprio mestiere di ministro (come previsto dalla Costituzione) ma anche per quanto combinato da privato cittadino. Per i reati comuni, insomma. Ma il ministro Altero Matteoli, 68 candeline sulla torta proprio l'8 settembre, leader nero nato nella roccaforte più rossa d'Italia: cosa c'entra? C'entra eccome: è per adesso nel frigo l'iter del processo che lo riguarda personalmente. La Procura di Livorno lo accusa di favoreggiamento nell'inchiesta-polveriera del 2003 su "Elbopoli": ritiene che, mentre era ministro dell'ambiente, Matteoli abbia informato l'allora prefetto Vincenzo Gallitto che erano in corso indagini su di lui per via di presunti illeciti edilizi sull'isola. Applicabile al volo. Il processo è già in corso? Niente paura. La proposta di legge prevede al secondo e ultimo comma che la modifica si applica «anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge». E' stato il Tribunale dei ministri di Firenze a stabilire nell'aprile 2005 che non si tratta di un reato "ministeriale" (che richiede il via libera della Camera) bensì "comune": e dunque ha rimesso la palla nelle mani della magistratura livornese (anzi, per la precisione alla sezione staccata di Cecina). Quando sembrava che il processo aperto contro Matteoli proprio nella "sua" Cecina potesse decollare, invece un anno e mezzo fa è stato un pronunciamento della Camera a scovare una via d'uscita per il leader di An: sollevando un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, i deputati di Montecitorio immaginano che dev'essere il Parlamento, anziché il Tribunale dei ministri, a dire se un reato è "ministeriale" o "comune". Cioè, se è sotto l'ombrello costituzionale o no. Esattamente come vuol fare il "lodo Consolo". Lo sprint finale. La Consulta deciderà forse a novembre: per la difesa di Matteoli è già qualcosa esser riusciti a evitare che i giudici costituzionali respingessero al mittente la richiesta di Montecitorio. E' stata ritenuta ammissibile e ora si attende che la Corte dica l'ultima parola. Nel maggio dello scorso anno era stata un voto plebiscitario della Camera (presieduta dal leader neo-comunista Bertinotti) a gettare un salvagente a Matteoli: 394 sì, due no e 32 astenuti. Quasi una riedizione delle vecchie autorizzazioni a procedere che, fin quando sono stati spazzate via dal salutare ciclone di Tangentopoli, facevano quasi sempre muro contro qualsiasi pm volesse ficcare troppo il naso negli affari della nomenklatura di Palazzo. Non è dunque solo per via del ritorno allo scontro fra i poli se giovedì scorso, nell'ultima riunione della commissione giustizia a Montecitorio, l'opposizione di centrosinistra ha gridato con tutto il (poco) fiato che ha. Figurarsi che è stato l'ex uomo simbolo di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, a scendere personalmente in campo in commissione come un deputato-peone qualsiasi. Solo un break. Com'è finita? Break, ha detto l'arbitro sul ring. Costa (Fi), che nella seconda metà di settembre chiede due volte di accelerare l'approvazione, in commissione non fa mistero di voler tirare dritto anche a costo di qualche strappo. Samperi (Pd) contesta l'assenza del governo e ottiene la sospensione. Fino al prossimo round. In realtà, l'avvocato-deputato Consolo - che ha sempre accompagnato Matteoli nelle udienze davanti al giudice di Cecina - il suo "lodo" l'aveva già messo sulla rampa di lancio nella legislatura precedente: il 5 ottobre 2006. Dopo che il Tribunale dei ministri aveva impallinato il tentativo della difesa dell'esponente politico di far rientrare nella categoria dei "reati ministeriali" le accuse. E prima che fosse la Camera ad aprire la porta del conflitto di attribuzioni. Impantanato. Ma era rimasto al palo: era finito nella palude delle mille cose di cui si deve occupare la commissione giustizia, non era finito neanche nell'agenda lavori. Unico risultato: una meticolosa scheda di 54 pagine di approfondimenti tecnico-giuridici del servizio studi di Montecitorio, stop. Consolo è tornato alla carica agli inizi di maggio, appena tre sedute dopo il debutto della nuova legislatura (che ora offre numeri e equilibri ben più favorevoli alla destra). Pd accusa. Il centrosinistra ora denuncia che il Pdl ha messo il turbo all'iter parlamentare di questo ulteriore provvedimento "ad personam" inventando una sorta di corsia preferenziale che lo fa diventare la "priorità delle priorità". Dice papale papale: questa corsa contro il tempo è per farcela a varare il "lodo Consolo" prima che la Consulta si esprima. Metterla, insomma, davanti al fatto compiuto: costringendola a prendersi la responsabilità di uno sconquasso istituzionale se dovesse decidere in senso contrario a quanto vorrebbe il fronte filo-Matteoli. Questa leggina è «oggettivamente incostituzionale e anche provocatoria», sbotta Pierluigi Mantini, deputato Pd in prima linea in questa trincea: «Ho stima del ministro Matteoli e mi meraviglia che in suo nome vengano avanzate nuove immunità "ad personam". Non abbiamo proprio bisogno di nuovi "scudi per la casta" né di conflitti e veleni». Il deputato-avvocato Consolo: i reati comuni non c'entrano LIVORNO. Fosse stato dall'altra parte della barricata, avrebbe chiesto polemicamente: ma che ci azzecca? Nulla di nulla. Il deputato-avvocato Giuseppe Consolo va alla controffensiva sulla grande stampa: non ci sta a farsi etichettare come un azzeccagarbugli che prova a inventarsi il trucchetto per far sgaiattolare il proprio assistito fra le maglie delle leggine. «Il mio progetto di legge fa solo chiarezza su chi debba deliberare sulla "ministerialità" del reato», dice al quotidiano confindustriale "Sole 24 Ore", fra i più ostinati a puntare i riflettori su questa vicenda. Insomma, non si incide «sull'applicabilità della norma ai reati comuni, che era, è e rimarrà esclusa». In una lettera a "Repubblica", il giornale che ha alzato il velo sulla questione, contesta che si tratti di un blitz: il progetto di legge «era stato da me già presentato nella precedente legislatura, con l'allora maggioranza di centrosinistra». E' un tasto sul quale fin dall'inizio ha insistito anche il ministro: la proposta era stata presentata due anni fa, «mai discussa e dunque ripresentata adesso: altro che cucita addosso a me...», dichiara Altero Matteoli. E, in una intervista, il leader di An rivendica: «Sono stato presente a tutte le udienze del processo: mai una richiesta di sospensione, mai avanzato l'impegno parlamentare». Un solo firmatario, un solo articolo La "leggina" ha un titolo in perfetto buro-politichese: "Modifica all'articolo 2 della legge 2 giugno 1989 n. 219 in materia di reati ministeriali". Un solo articolo, un pugno di righe, a firma del solo Consolo. Dice una cosa semplice semplice: non spetta a organi dell'autorità giudiziaria bensì al Parlamento decidere se la competenza deve andare al magistrato che giudica tutti noi cittadini comuni oppure no. L'articolo 96 della Costituzione tutela i ministri dicendo che sono sottoposti alla magistratura ordinaria ma solo dopo autorizzazione di Camera o Senato: solo però per reati «connessi all'esercizio delle loro funzioni». Chi decide se il reato è "ministeriale" o no? Adesso il Tribunale dei ministri, per Consolo (e il Pdl) invece dev'essere il Parlamento. Il Pd teme però che si torni alla prassi delle autorizzazioni a procedere sempre bloccate.
Gallitto Matteoli