Egregio direttore, se io sono la Sua croce, come Lei scrive con simpatico tono sofferto, è perché probabilmente “ci gode”, al punto da andare in astinenza se privato. E’ quanto m’è venuto in mente leggendo sul Suo giornale l’intervento del sig. Bramati, che si firma responsabile dei socialisti elbani. Il quale sfrutta la memoria di un Grandissimo della nostra repubblica come Sandro Pertini, per ammannire ai lettori una lezione sbagliata sul concetto giuridico di “apologia del fascismo”, perché privata dell’elemento essenziale della “finalità di ricostituzione del disciolto partito fascista”. Con questa omissione e con la citazione di principi estrapolati dal loro contesto, dunque non validi (vedasi la Sentenza della Corte Costituzionale n°74/1958 del dopoguerra, giustamente tesa a scoraggiare qualunque atto di rivalutazione di Mussolini perché finalizzato a sostenere l’affermazione di partiti neofascisti, in un clima elettorale da guerra civile) il nostro asserisce che per fare “apologia” basta dare del capace manager a Mussolini, e dunque occhio alla meritata galera, conclude. Al sig. Bramati consiglio di andare a leggere su Microsoft Encarta Enciclopedia Online la seguente definizione chiara e comprensibile anche ai non addetti ai lavori (le sottolineature in nero sono mie): “Apologia del fascismo: Reato consistente nella pubblica esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo ovvero di idee o metodi razzisti, fatta con l'intento di costituire un'organizzazione fascista. È previsto dal complesso di norme penali, emanate nel 1945, nell'immediato dopoguerra, e successivamente modificate nel 1952 e nel 1975, allo scopo di prevenire o reprimere la rinascita del fascismo e le attività neofasciste. Etc, etc.). Napoleone, dopo la Russia, disse: “Tra il sublime ed il ridicolo non v’è che un passo”. A questo punto mi vien da chiedere – per cautelarmi dalla galera - se per caso esista una qualche forma di apologia di reato ascrivibile a chi, come il sottoscritto, abbia contemporaneamente citato Mussolini e Lenin, ponendoli per un certo verso sul medesimo piano. E riguardo al “diritto di replica”, direttore, è chiaro che il sig. Bramati dalle Sue colonne, pur non citandomi per nome, si è riferito ai miei precedenti interventi. Cordiali saluti, Stefano Martinenghi Chiariamo una volta per tutte che del cosiddetto diritto di replica al quale continuamente s'appella ripetutamente (a cappella) lei non può pensare di fruire ogniqualvolta qualcuno si riferisce al suo pensare peraltro nel caso indirettamente. Il fatto che lei abbia provocato una discussione non le da diritto a rispondere individualmente a tutti quelli che ci partecipano. Vieppiù quando ciò consiste nel rivogarci per l'ennesima volta i medesimi concetti e la solita solfa. Lei appare su queste pagine elettroniche per concessione, cortesia e pazienza di chi le pubblica e per sopportazione cristiana o laica di chi lo legge (che però, le assicuriamo, incomincia a protestare per la nostra indulgenza verso il suo debordante desiderio d'apparire). Le suggerimmo già in privato di contenere il suo esondante genio, di evitare di esser colto da attacchi graforroici. Vediamo che è più forte di lei ma proviamo a reiterare il consiglio, aggiungendoci quello di evitare le citazioni napoleoniche, già la sua autostima è pericolosamente alta, guardi che se poi incomincia a napoleoneggiarci, appena si mette a camminare con la mano sul pancino, qualcuno chiama il 118 e si becca un T.S.O. Bramati se non ci sbagliamo è un ex-ciclista, Stefano Bramanti è uno stimato ex-insegnante e giornalista che per quanto modestamente si rappresenti è persona stimata e assai più nota all'Elba di quanto risulti lei stesso con il suo disperato agitarsi ("ronzio d'un ape dentro un bugno vuoto"?) La vignetta che correda il pezzo ci era stata inviata dal Cicino (al secolo Alex Beneforti) qualche giorno fa, gliela avevamo risparmiata, ma visto che se le va a cercare ...
Fotovignetta votami