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Controcopertina: Lettera aperta di Luigi Totaro a Rossano

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 23 settembre 2008

Caro Rossano, la chiacchierata di ierisera al bar, fra una briscola e un tressette, mi ha dato molto da riflettere. Ti ho sentito sperduto di fronte agli avvenimenti del presente, a dire quello che ormai si dice nei bar come nei talk show: che tutti rubano, che tutti sono uguali, che chi è vagabondo deve andare a casa, che chi si trova senza lavoro non deve vivere alle spalle di chi lavora, che i piloti guadagnano cifre irragionevoli, che i sindacati ormai sono servi dei partiti, che i magistrati sono un partito o comunque sono legati a interessi di partito, ecc. Come sempre usavi un linguaggio un po’ più colorito, ma mi pareva di rabbia più che di passione. E avevi poca voglia di ascoltare le mie osservazioni, le mie precisazioni, le mie distinzioni, che cercavano di complicarti i giudizi e le conclusioni. E dopo l’arrivo di una “napoletana” e “tre dui” hai detto “basta!”, e non siamo andati più avanti. Avrei potuto ribattere punto per punto, e dirti che non è vero che tutti rubano (tu e io, per esempio, lo sai bene, non rubiamo proprio nulla); che tutti sono uguali (non potremo mai essere uguali a chi ha un patrimonio di decine di miliardi di euro, o anche di milioni, o anche di centinaia di migliaia); che chi è vagabondo se lo può permettere perché la struttura nella quale opera non è organizzata in modo efficace, e dunque le responsabilità prime (‘ex causa’ dicevano i teologi) sono di chi organizza e dirige, mentre certamente anche il ‘vagabondo’ ha le sue, ma in seconda battuta (‘ex consequentia’), approfitta cioè di colpe altrui, e forse deve andare a casa, ma in compagnia di chi doveva dirigerlo. Certo la cassa integrazione è stata spesso usata nell’interesse dei datori di lavoro più che dei prestatori d’opera, ma per chi si ritrova senza lavoro è il benedetto frutto della solidarietà di tutti i lavoratori, allo stesso modo che quando stai bene e sei giovane ti sembra una rapina il prelievo per l’assistenza sanitaria ma, quando sei anziano e malato, se tu dovessi essere curato con quello che hai accantonato anche in una vita di lavoro andresti poco lontano: lo sai bene. Che perdere il senso della solidarietà è il primo segno della barbarie, e la solidarietà dei lavoratori è una immensa conquista di civiltà. Certo i sindacati paiono talvolta difensori di interessi corporativi piuttosto che promotori dei diritti e della solidarietà di tutti; ma, sempre più emarginati da un’organizzazione del lavoro che frammenta i lavoratori, la loro vera colpa è perdere di vista l’obiettivo generale –cioè il modello economico generale– e farsi chiudere nell’angolo di orizzonti settorialissimi, quando non si piegano a compromessi di potere. Eppure restano ancora il vero baluardo della vita e della sopravvivenza di milioni di lavoratori, la loro unica possibile forza, l’unica forma attuabile di solidarietà: per questo Gelli e la P2 li volevano sconfitti come in America; per questo nella storia del dopoguerra sono state (proprio dagli americani) di volta in volta favorite, promosse e finanziate le loro divisioni. Certo i piloti guadagnano cifre elevatissime: anche i cardiochirurghi e gli ortopedici, o i chirurghi estetici o gli odontoiatri: eppure questo non fa problema più che tanto, e chi ne ha bisogno (e possibilità) se li va cercare fra i più costosi; hanno retribuzioni che sono un insulto al tuo salario di operaio, dicevi; sono un insulto anche allo stipendio mio, che ho studiato come loro e forse anche di più, e che ho insegnato loro (non personalmente, s’intende) gli strumenti primi per fare quello che ora sanno fare. Ma è il “mercato” che stabilisce il valore del lavoro nella società in cui viviamo, e il denaro stabilisce il valore delle persone. Così un pilota vale tanto, un operaio un altro tanto, un insegnante un altro tanto. E le persone non ci sono più. Te la sei presa persino coi magistrati, che a te e a quelli come te e me non possono aver fatto nulla di ingiusto. Ma il tuo “basta” mi ha convinto: cosa ci combina che piombi uno come una meteora una sera dopo cena, nel mezzo di un tressette, e faccia calar giù un monte di cose tutte diverse da quelle che tutti i giorni senti alla televisione e che ridici coi compagni di lavoro e gli amici al bar, tutte belle ordinate e che tornano tutte. Cosa c’entra che arrivi io che leggo cinque giornali il giorno e mi metta a discutere con te, che mentre io leggo –è il mio lavoro– stai sui ponti a fare il tuo, che non prevede la lettura. Se la meteora passa e dice che il Governo che aveva giurato di non mettere le mani nelle tasche degli italiani sta frugando nelle tasche di ognuno di noi anche in questo momento a pescare quei cinque miliardi di euro per saldare i debiti di Alitalia, quasi una manovra finanziaria tutta addebitata a noi (e c’è andata bene: gli americani, cui Bush aveva promesso di diminuire le tasse –e lo aveva anche fatto–, ora devono tirare fuori mille miliardi di dollari per saldare i debiti delle banche, senza contare i soldi persi dai risparmiatori); se dice che una economia in recessione mette in pericolo anche il tuo posto di lavoro, e allora speriamo che il sindacato ci sia ancora per vedere di farti recuperare un po’ della solidarietà che finora hai prestato agli altri lavoratori; se dice che le limitazioni alle indagini e alle intercettazioni non proteggono te e me dalle intrusioni dei magistrati, ma solo corrotti e corruttori, e che le limitazioni alla libertà di informazione sono un vero attentato alla tua e alla mia libertà, anche se non ci pensiamo mai (e infatti di limitare il potere dei magistrati e di limitare la libertà di stampa si occupava il programma di Gelli e della P2); se dice che tagliare i fondi a scuola e ricerca è un suicidio, come se un costruttore mandasse via tecnici e capimastri, e volesse fare tutto con i manovali; se dice che la sicurezza non può nascere dalla paura, che l’ordine non può nascere dall’odio per gli altri, e così via. Perché se uno arriva un sabato sera e si mette a predicare, e poi sparisce fino a quando non gli torna bene salire un’altra sera in colle a rubare al paese e a chi ci vive un po’ della loro pace, da spendere poi nella sua vita concitata e impegnata (come sto facendo proprio in questo momento), allora è meglio che se ne stia a casa sua, e lasci alla sua pace chi ha già i suoi problemi e non ne vuole di nuovi. Hai ragione, Rossano: ho mollato te e tanti con te alla vostra solitudine quasi perfetta, e ho lasciato che vi ci addormentaste, al canto delle sirene di un’informazione che vi vuole ignari e distratti. “Tu lo sai come la pensavo”, mi hai ricordato. Potrei portarti mille motivi del mio essere andato lontano. Ma resta una colpa grave, forse non mia personale o non solo, ma certo di chi s’era scelto come impegno di tenere sempre all’erta chi non può leggere cinque giornali, chi non può continuare a studiare e a informarsi, chi per sapere più cose deve trovare qualcuno che gliele dica, semplicemente perché fa un altro lavoro. I partiti hanno lasciato solo il popolo, e il popolo ha abbandonato i partiti. Proprio ieri ho incontrato una persona impegnata politicamente e con responsabilità amministrative, generosa, appassionata e competente, che mi confessava il suo smarrimento di fronte a quell’abbandono. Credo sia ogni giorno più necessario ritrovare il modo di parlarsi, di informarsi, di riflettere e di decidere insieme, per ciò che riguarda tutti e non per quanto attiene a interessi particolari: chi ha da fare i propri affari se li faccia per suo conto, e non li ammanti di qualifiche politiche che non hanno, e non invochi un bene comune che alla fine non ne risulta minimamente interessato. E’ tempo di comunicare di nuovo vicendevolmente sogni e progetti, bisogni e desideri; e di cominciare a lavorare di nuovo per il bene di tutti, a cominciare da chi è più svantaggiato. Mi piacerebbe poter parlare ancora con te e poterti ascoltare a lungo, te e tutti i Rossani che vivono nella giustizia e vorrebbero volentieri e potrebbero condividerla con tutti. Spero che non manchi tempo. E in ogni caso spero che qualcuno lo faccia meglio di me. Io, forse, è bene che ormai mi dedichi più professionalmente alla briscola e al tressette. Con grande amicizia.


Totaro media

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