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Controcopertina: Siamo tutti revisionisti? Io no

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 17 settembre 2008

Ci sono argomentazioni sulle quali si può passare sopra e argomentazioni sulle quali non si può passare sopra. Nella seconda categoria rientrano le dichiarazioni di Stefano Martinenghi. Quell’intestazione di ’Egregio Direttore’, rivolta da Martinenghi a Sergio Rossi, ancorché scherzosa, è nostalgica. Nostalgica di un’Italietta bella e gaia, che cantava sempre, che pipava per fare figlioli, che vinceva i Mondiali e …che nel giro di sei anni aggredì almeno dieci Stati sovrani: Etiopia, Spagna, Albania, Francia, Inghilterra, Grecia, URSS, Jugoslavia, Egitto, Stati Uniti. Sui nostri comportamenti in Libia, Eritrea, Etiopia, Jugoslavia stanno venendo fuori documenti agghiaccianti. Altro che Italiani brava gente… noi i conti con il nostro passato coloniale li dobbiamo ancora fare. Ma sospendiamo per il momento la questione relativa alla aggressività imperialista, che ci fu e fu pesante, e veniamo alle decantate conquiste del fascismo all’interno. Chi non è fazioso, dice Martinenghi, legga “i dati economici e sociali dell’epoca, che non sono di destra o sinistra ma solo numeri, per vedere come in due lustri l’ex socialista Mussolini dotò un paese agricolo arretrato delle infrastrutture per trasformarlo in paese industrializzato”. Nessuno mette in dubbio che il fascismo possa avere avuto bravi progettisti e qualche accettabile giurista ma, dovendo giudicare dai risultati, vada infine Martinenghi a vedere quanto miseri essi furono. E, se proprio vuole dei dati, vada a leggersi qualcuno dei bei volumi della Storia d’Italia pubblicata da Einaudi negli anni ’80, o anche altre storie, e vedrà che quadro viene fuori del ventennio! Vedrà che poche furono le strade realizzate effettivamente, pochi i chilometri di autostrada (a due corsie); le infrastrutture urbanistiche e di trasporto riguardarono prevalentemente il nord; assicurazioni e sistema pensionistico funzionavano talmente bene che quando un capofamiglia partiva per la guerra a casa la famiglia moriva di fame; la bonifica dell’agro pontino fu l’olocausto di molti poveri veneti che, potendo scegliere, sarebbero andati più volentieri in ‘Merica; i latifondi siciliani nel 1945 erano ancora tutti interi. Per gli italiani del sud, la situazione peggiorò in maniera spaventosa, fra gli anni Venti e gli anni Quaranta (legga Carlo Levi, quello del Cristo che si ferma a Eboli). Si potrebbe andare avanti all’infinito. Oggi si tenta di distinguere un proto-fascismo, che sarebbe stato buono e tollerante, da un fascismo maturo che sarebbe stato totalitario e aggressivo, e non per sue colpe, certo, ma perché condizionato da Hitler. E’ un modo, questo, per riabilitare il fascismo tout court, non ci sono “se” e non ci sono “ma”. E chi tenta di percorrere la strada di questo revisionismo si assume una responsabilità, Quando esco da una lezione, all’Università, cerco di capire se ho fatto una buona lezione, se sono stato chiaro e, soprattutto, se ho fatto tutti gli sforzi possibili per dire la verità. E’ importantissimo dire la verità, soprattutto quando si ha un ruolo pubblico, quando si insegna, si scrive su un giornale, si fa politica. Ma, poiché non è detto che si riesca sempre ad acciuffare la verità (chi dice che le fonti e i documenti che ho consultato sono proprio tutti?) e la verità può sfuggire, almeno una assicurazione dobbiamo darla a chi ci ascolta: quella che abbiamo fatto un lavoro serio e ci siamo impegnati a cercarla, la verità. Diversamente, avremo un’Italia bella, pulita e rassicurante, quella che si vede fino a Eboli. Dopo, un’Italia brutta, sporca e cattiva, quella che non esiste perché nessuno si è sforzato di raccontarla. Se mi chiamate antifascista non mi offendo, anzi. Sento di esserlo fino in fondo. E, comunque, un abbraccio a tutti.


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