Leggo con condivisa preoccupazione l’evento odierno della perquisizione della redazione de “l’Espresso” e delle abitazioni dei giornalisti, come riferito da “Repubblica”. Condivido le considerazioni svolte, di un improprio controllo della vita pubblica nelle sue espressioni istituzionali e civili quando risulti coinvolto qualcuno che appartiene agli assetti di potere. Che la magistratura debba poter svolgere il suo lavoro con opportuna riservatezza è cosa ovvia, ma che la corretta informazione sia in contrasto con l’azione giudiziaria non può essere assunto come dato di fatto; e quando si suppone che l’azione informativa abbia configurato un reato, questo deve essere oggetto di indagine puntuale, evitando interventi generici che hanno solo l’esito di criminalizzare un’attività invece rappresentativa in massimo grado delle libertà democratiche. Che poi la Guardia di Finanza sia utilizzata come strumento dimostrativo della forza repressiva dello Stato fa torto alla tradizione di quel Corpo, altrimenti prezioso in momenti come questo per la ricerca delle risorse proditoriamente e delittuosamente sottratte alla Comunità da evasori ed elusori fiscali. “Ben diciotto agenti impegnati”, fa presente la Redazione sottolineando appunto l’aspetto ‘spettacolare’ dell’intervento. Capisco bene stupore e sdegno. Nel febbraio del 2002, nel piccolo Comune del quale ero vicesindaco, a compiere accertamenti a scopo di sequestro su di un piccolo “Ecocentro” comunale (mille tonnellate annue di rifiuti), intervennero ben due elicotteri e quaranta fra sottufficiali e militi delle Fiamme Gialle. Poi tutto risultò regolare, il sequestro non venne eseguito, e il processo intentato agli amministratori e ai tecnici si concluse con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Un evento piccolissimo, rispetto a quello odierno. Ma, come è stato detto, "chi è infedele nel poco, è infedele anche nel molto".
Ecocentro Vallone 3