Più che una recensione è un breve saggio quello che Mauro Macario (poeta, regista ed autore teatrale e televisivo, nonché critico musicale) ha dedicato sull'ultimo numero della Rivista Anarchica "A" (consultabile on line sul sito www.anarca-bolo.ch/a-rivista/index.htm) a "Pietro Gori" il CD musicale "a gestazione elbana" presentato in prima nazionale a Portoferraio il 1° Maggio scorso dalla Band sostenuta in questo lavoro dalla Comunità Montana dell'Arcipelago Toscano. Un giudizio estremamente lusinghiero: nella sostanza, e perché a produrlo è uno scrittore di certo spessore culturale che è anche un raffinato conoscitore e frequentatore del meglio della musica popolare europea. Continua quindi a dare un ritorno d'immagine positivo, nel caso sul piano qualitativo, un'operazione che la C.M. con il concorso dei Comuni di Portoferraio, Capoliveri, Campo nell'Elba e Rio Elba e di altri soggetti aveva già verificato capace di spostare una grande quantità di persone. "E' tornato Pietro Gori (anarchico pericoloso e gentile)" è stata quindi una scommessa vinta, poche migliaia di euro usate virtuosamente non hanno solo prodotto degli eventi, delle occasioni per stare insieme per tante persone ed un doveroso omaggio ad uno dei più illustri degli elbani nella storia, ma hanno prodotto anche valide testimonianze che restano, come appunto il CD de "Les Anarchistes" (che, con il libro edito da Elbareport, ci risulta sia stato richiesto da decine e decine di archivi, bibblioteche e studiosi di tutta Italia) E poiché una squadra che vince é bene mutarla con moderazione, è opportuno che quel cantiere culturale sia riattivato e prenda a srotolare nuovo lavoro, coinvolga altri, si dedichi magari ad altre figure, ma continuando a pescare in un bacino capace di fornire occasioni e stimoli inaspettati, come la cultura antica e profonda di quest'isola. E.M. ed ecco l'articolo di Mauro Macario nella sua integrale versione Nelle democrazie apparenti, lo Stato di Cancellazione sta sostituendo il metodo brutale dell’eliminazione fisica di un soggetto politicamente molesto, con l’eliminazione della memoria culturale, andando alle radici della conoscenza e estirpandola. Questa operazione coordinata su scala mondiale ormai riguarda non più l’individuo isolato ma l’intera società preludendo così all’uomo “nuovo”, appunto “smemorizzato.” Per non creare il martire occorre dimenticare tutti quelli che lo hanno preceduto, non avere punti di riferimento né informazioni alternative se non la fonte istituzionale depurata e snaturata. Partendo da quella società ipotizzata da Francois Truffaut nel suo lontano – ma quanto vicino! – film “Farenheit 451” (il grado di calore a cui brucia la carta) dove, a causa di un regime che vieta la lettura e incenerisce i libri con i lanciafiamme, un gruppuscolo di “partigiani cartacei” impara a memoria un volume a testa per poterlo tramandare, fino alla città di “Alphaville”, lontano, ma quanto vicino! – film di Jean Luc Godard , sulla missione di un agente destabilizzatore che cerca di riportare a livello umano una civiltà interstellare dove addirittura i sentimenti, l’amore stesso, sono proibiti e perseguitati, il passo è breve. Anzi, il passo è stato fatto. Ci siamo dentro. Les Anarchistes La conoscenza provoca il sogno, e il potere sa che il sogno trasforma. Non più asserviti, ci si accinge alla disobbedienza. Il potere è transgenico, l’anarchia è un prodotto biologico. Accettando le ideologie storiche come decadute, le utopie generazionali come infrante, oggi le contrapposizioni si fanno più drammatiche e allarmanti ma diversificate, perché l’ordine planetario ha ormai raffinati strumenti per infiltrarsi negli interstizi antropologici del comportamento e manipolarlo attraverso una filosofia pedagogica mediatica che determina una crescita collettiva aculturalizzata, barbara, mirando e stimolando il suo metabolismo consumistico di cyber bulimico e onanistico. L’emergenza è nei rapporti interpersonali, nella disidratazione della solidarietà, nella voglia nascosta, e neanche troppo, di sangue fresco. La contrapposizione è tra il sentire e il non sentire più, tra l’uomo sensibile e il desertificato, tra l’intelligente e il cretino. I termini della rivolta si spostano, subiscono una scansione, superano i criteri manualistici, gli stilemi storici di base perché nella “dimenticanza” finalizzata a disinnescare l’ordigno pubblico della coscienza, si nasce e si muore nell’istante, senza più un passato umanistico, senza un decorso critico, senza un’implosione emotiva. Così la nostra deperibilità, senza radici, accellera il suo processo degeneratore appena dopo la nascita. Come cicale viviamo un giorno. In un giorno non si fanno progetti. Vogliono uomini senza storia, soprattutto non in grado di rifarla. Alle balie sociali si sono allungati i canini. Se tu berrai il loro latte, loro succhieranno il tuo sangue. Questa è la legge del paggio. All’ufficio di collocamento, per prenotarsi, c’è una fila di qualche milione di disoccupati bramosi di essere ricevuti a corte per pulire i cessi dei regnanti. Con la complicità delle multinazionali dell’editoria spariscono i grandi scrittori e nelle vetrine vengono esposti i nani della scrittura demenziale, spesso sostenuti da una critica compiacente e prezzolata che non ha più la capacità di indignarsi e di scuotere l’opinione pubblica per un arrembaggio etico a difesa della nostra dignità rinascimentale. I metodi scolastici si rivolgono al computer, i futuri “glacializzati” leggeranno online perdendo la gioia tattile-cartacea di quest’oggetto parlante e l’ormeggio con la cultura ombelicale. Veleggeranno come astronauti sganciati dal modulo materno verso il buio cosmico. È l’epoca della Sostituzione Protesica. L’umanesimo muore nella videotecnologia virtuale. L’uomo sintetico, duplicabile, è pronto alla consegna in pacchi di montaggio. Il libro finirà su E-Bay, o nelle librerie antiquarie per collezionisti passatisti. Ti ricordi di Pavese, Vittorini, Papini, Soffici? Ti ricordi di Pinelli, Valpreda, Serantini? Sai chi sono Sacco e Vanzetti? No, non sono I Sonora. In ambito musicale non abbiamo più i nostri Tenco, De André, Gaber, Bindi, Endrigo, poeti in musica inclonabili della cui perdita non sappiamo ancora calcolare la portata. Restano Paoli e Guccini a salvarci dal degrado attuale della musica italiana che ci viene somministrata come un menù per anoressici, un chef de rang che esalta il Mc Donald’s, i quattro salti in padella. Perché l’omologazione del conformismo e dell’anticonformismo riguarda sia i cantanti “popolari” che i gruppetti dilettantistici che pensano di fare “ricerca” o “avanguardia”. Invece si equivalgono nei loro loculi euclidei precostituiti, etichettati, e obsoleti. La televisione, poi, è peggio della spazzatura campana. È un’offesa razzista. Per fortuna, sono tornati gli anarchici, anzi “Les anarchistes”: con loro c’è Pietro Gori. La memoria ci viene restituita e trafugata. “…e poi questa malattia che lo teneva tanto male, poverino…lui è morto mi pare i primi giorni di gennaio dell’undici, l’otto gennaio dell’undici appunto, all’ultimo dell’anno aveva fatto un brindisi, aveva detto:” E se tu non mi dai la salute che aspetto, nuovo anno tu sia maledetto!”. E infatti morì pochi giorni dopo…e allora appunto una notte verso le quattro sentii bussare, perché abitavamo porta a porta qui nel palazzo che adesso è il Darsena, prima era un palazzo bellissimo, palazzo medievale magnifico…e si abitava porta a porta, neanche ci divideva no scalino, così…e venne:”More Pietro! More Pietro!” sicché ci alzammo, io avevo i bambini piccoli, sicché io andavo e venivo…e lui poverino…e lei diceva:” Ma no, Pietro, vedi, è una crisi, poi ti passa…” E dalle quattro arrivammo fino al mattino, tanto a un certo momento lui disse:” Bice, Bice, apri, apri la finestra! Fammi rivedere il sole! Fammi rivedere il sole!” E lei aprì tutta la finestra, infatti il sole…perché lì è magnifico…inondò il letto addirittura…E poi, io andavo e venivo, quando sono ritornata, mio marito era sempre lì e disse:” Guarda, Letizia, è spirato in questo momento, è spirato. Vieni a sentire, vieni a sentire!” e m’alzò la testa, poverino, di lui, misi la mano tra il guanciale e la testa sentii ch’era sempre caldo. D. Lei non vide i prete entrare in casa alla sua morte? R. No, no…ma era veramente bono, lui parlava sempre dei suoi viaggi, che aveva fatto in Ame…oltremare diceva, oltremare… ( testimonianza tratta dal libro “È tornato Pietro Gori” di Patrizia Piscitello e Sergio Rossi, edito da Elbareport nel 2008) Forse quello che Gori sperava di vedere dalla finestra, in quel sole invernale, a Portoferraio, era il Grande Sogno in piena luce, a occhi aperti, tra delirio ed evocazione, finalmente nelle strade, sui volti della gente, dentro le case: un nuovo assestamento armonioso di tutte le cose. Forse lo vide, perché l’aveva perseguito per tutta la vita quel sogno, forse lo vide solo lui, ma non importa. Andrà oltremare quel sogno, magari non troverà accoglienza in nessun luogo, magari resterà per sempre al largo, a galleggiare nell’immaginario di neri gabbiani in volo permanente, alla ricerca di una terra d’approdo,” fra diecimila anni o domani mattina!” come diceva Léo Ferré. Il sogno di Gori è ripercorso, nei suoi versi cantati, da “Le anarchistes”, la band d’origine carrarina che ha in Nick Toscano e Max Guerrero i suoi meritevoli ed eroici fondatori. È giusto e doveroso ricordare l’itinerario artistico del gruppo che con umiltà pragmatica e fedeltà utopica ha dato prova, nel corso del tempo, di un rigore e di una coerenza davvero encomiabili senza mai cedere a nessun compromesso, e noi sappiamo quanto sia dura la vita oggi per i “cani sciolti” ma “i cani quando fiutano la compagnia/ Si agitano/si sbarazzano del collare/ E posano l’osso come si posa la sigaretta quando si deve fare qualcosa d’urgente/ Tanto più se l’urgenza consiste in un’idea da sbattervi sulla faccia” (L. Ferré trad. E. Medail). E questa “urgenza” Les Anarchistes l’hanno sempre sentita, questa “tensione verso” li ha sospinti lontano dai territori beceri del rumore musicale a fini commerciali, conducendoli in una zona geo-onirica di incomparabile bellezza e dalla quale non si torna: l’anarchia, la sua storia, i suoi protagonisti, la nostra attesa. I primi due album “Figli di origine oscura” (Premio Ciampi 2002) e “La musica nelle strade!” (2005) che usufruivano ancora della collaborazione interpretativa di Marco Rovelli, ora staccatosi dal gruppo, non sono stati solo una premessa, come spesso capita, ma già ci avevano coinvolto trascinandoci nel cuore di questa avventura musicale transtemporale che si sposta dal passato al presente con una volontà situazionista difficile da riscontrare in altre formazioni. Però l’ultimo album appena uscito e intitolato semplicemente “Pietro Gori” è un ulteriore “stacco in alto” di grande raffinatezza musicale, di sonorità ricercate, di un incedere ritmico-insurrezionale che da sempre agita l’animo degli arrangiatori regalandoci un impatto emotivo di rara potenza tra anatemi, evocazioni, requisitorie e pietà. La rivisitazione musicale è di una tale moderna pienezza che rivela uno stile inconfondibile e compiuto, il clima prodotto dall’ensemble dispiega un linguaggio profondamente suggestivo, e ogni musicista, pur nel rispetto della concertazione collettiva, ha modo di essere presente con la propria seducente individualità. Cosi è per i suoni modulati, aspri o languidi, ma sapientemente dominati da Lauro Rossi al trombone, così è per il sax magico e solitario di Mauro Avanzini che sa trasformarlo in un’entità a lui siamese ma con identica voce interiore, cosi è per la discreta e vigile incandescenza del basso di Pietro Bertilorenzo, cosi è per l’ubiquità intellettuale e tentacolare di Max Guerrero che si duplica all’infinito tra key, prog, groove, e percussions, cosi è per l’ospite Zita Barbara, vera virtuosista misterica del violino dal quale estrae e reinventa “sussurri e grida” lirici e laceranti che toccano e fibrillano nei processi segreti dei nostri discioglimenti, cosi è per Mirko Sabatini alla batteria, no, oltre la batteria, direi a uno dispiegamento di forza ordinata, suddivisa, mantenuta, a un crivellamento impetuoso ed elegante, a uno stile teso e lapidario, a una furia trattenuta, sminuzzata, pirotecnica, così è infine per Nick Toscano, chitarrista di respiro europeo, maestro della tastiera ardente: tra le sue dita c’è il sangue della Spagna risorta. Gli arrangiamenti portano la sua firma e quella di Max Guerrero. Quali elogi meritano le voci trascendentali di Cristina Alioto e Alessandro Danelli? Avviluppati in intrecci canori danzano figurazioni melodiche struggenti, si scambiano al trapezio dei versi dolenti, rientrano dirompenti tra assoli e sovrapposizioni, perseguendo la massima potenzialità espressiva delle proprie qualità interpretative, permeando di tutti i sentimenti umani i brani di Gori, riesumando antichi echi spenti di voci rivendicate a distanza, al di là del tempo, con rabbia e compassione. Sono loro le voci della memoria, le corde vocali ricucite ai silenziati, la coscienza del passato tra luce e miseria. I suoni della Storia sepolta. Da sottolineare l’intervento recitativo, denso e livoroso, di Lucariello degli Almamegretta in “Inno del Primo Maggio”, e quello più selvatico e “nature” di Sergio Rossi alla fine del percorso. I brani sono: Inno del Primo Maggio – Stornelli d’esilio – L’estaca – Addio a Lugano – Già allo sguardo – Solo un bandido (di Toscano –Guerrero) – Sante Caserio – Amore Ribelle – Inno dei lavoratori del mare – Stornelli elbani. Il CD è stato prodotto per l’evento “È tornato Pietro Gori, anarchico pericoloso e gentile” che si è tenuto all’isola d’Elba dal 29 aprile al 4 maggio del 2008. L’album ha una dedica: in ricordo di Pippo Bacca, spirito libertario. Mauro Macario Tratto dalla Rivista Anarchica "A" consultabile on line sul sito www.anarca-bolo.ch/a-rivista/index.htm
Pietro Gori restaurata ridotta 200
gori les anarchistes
primo maggio 2008 fortezze anarchistes
Copertina E TORNATO PIETRO GORI
Les Anarchistes bianco e nero
Les Anarchistes Gori CD