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Candido Cannavò - Pretacci

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 05 settembre 2008

Candido Cannavò ha diretto per due decenni la Gazzetta dello Sport, il più importante quotidiano del settore. E’ stato uomo di potere nel mondo pallonaro e ciclistico dai tempi di Moser e Paolo Rossi fino a quelli di Vieri e Pantani. Eppure quando Cannavò si mette scrivere di preti lo fa contrapponendo alla Curia ingioiellata e ai fasti Ratzingeriani, l’immediatezza, la determinazione, a volte la sfacciataggine di certi sacerdoti controcorrente, di grande fascino fra quanti sono delegati dalla Chiesa a diffondere il Vangelo. L’uomo di potere giornalistico che addita il potere di una parte della Chiesa contro i religiosi da marciapiede, padri di ultimi e disperati. È indiscutibilmente curioso, quasi presuntuoso, ma alla fine funziona. Funziona perché, senza troppo approfondimento teologico, quasi raccontando la cronaca di una partita di calcio o di una tappa del giro d’Italia, il direttore ventennale propone al lettore una serie di personaggi di rottura, nostalgicamente eredi di tutta una letteratura di genere di fine ottocento, da Cronin in poi. Verrebbe quasi da dire: dal Siam a via del Campo, da Timbuctù alla Locride. Manca però tutta una parte di mezzo, anche nella pur ottima prefazione di Gian Antonio Stella. Manca quella schiera di sacerdoti “normali”, spesso appena ordinati, che catapultati nelle perverse dinamiche di provincia, magari su un’isola, si accollano “l’educazione spirituale” di una banda di adolescenti stupidotti, ma non al punto di non lasciarsi segnare profondamente, oltre che dalle preghiere, anche dalla condivisione quotidiana di tavoli da apparecchiare e gabinetti da pulire, dalla responsabilità verso i più piccoli, dal peso del sacco del pane da portare dal paese fino al Santuario. Riposo già ai primi castagni, sassaiola a metà salita. Tanto il prete non ci vede. I preti di Cannavò sono ormai, per fortuna, nomi noti nelle cronache italiane, Benzi, Gallo, Ciotti, Albino Bizzotto, Alex Zanotelli, preti barboni e preti di puttane e tossici, preti nei campi nomadi e nelle periferie più sudice e dimenticate, che non perdono il sorriso e la speranza nel Vangelo e negli uomini. Preti che non si piegano a certe dinamiche sociali e culturali per le quali gli ultimi debbano per forza restare ultimi, per cui se perdi la tua identità in un viaggio di terrore attraverso il deserto e poi su una barca che cola a picco, o rovistando fra le pieghe della tua pelle alla ricerca di una fessura per l’ago che ti devasta, non per questo devi rinunciare alla tua storia di individuo. Giovani e vecchi, alcuni troppo in borghese, qualcuno solo con un crocifisso appuntato sulla maglia, da Scampia a Brancaccio, dalle Piagge a Quarto Oggiaro, loro sono lì, non cercano notorietà o carriera. Si accontentano della moneta più preziosa: un sorriso in cambio di una minestra calda, di un letto pulito, o di una doccia che lavi l’umiliazione del rifiuto, non chiedono documenti, paese di provenienza, ma nemmeno fede professata. Uomini per gli uomini, in nome di Cristo. Cannavò racconta tutta una parte di chiesa controcorrente, sicuramente affascinante nella contrapposizione fra strada, emarginazione e ritualità liturgica forse ormai datata per le prospettive del mondo all’inizio del terzo millennio. Certo però che resta un po’ l’amaro in bocca se devono emergere queste figure forti per affermare comunque il radicamento, la presenza del Vangelo fra la gente, una estremizzazione che alla fine lascia da parte chi fa, con altrettanta modestia, difficoltà e vocazione, il proprio lavoro di missione e di preghiera. Ed ecco che la memoria non può che non riappropriarsi di presunti anonimati, come quell’Alberto Sordi di nero svolazzante vestito, lanciato con la motoretta sulla discesa di Civita di Bagnoregio, per difendere, dalla viltà di anonimi accusatori, più il ruolo e la tonaca che la propria persona. Preti abbottonati fino ai piedi non per nascondersi ma per essere riconoscibili, individuabili dal bimbetto che ha saputo del nuovo tavolo da ping pong e dal genitore che sa di potersi fidare. Preti che celebrano messa anche nei loro gesti quotidiani, uomini di fede di cui Candido Cannavò non si è occupato, ma che al pari dei suoi Pretacci vivono nel Vangelo aprendo la chiesa a quattro vecchiette e la propria casa a masnade di cresimandi dispettosi. E magari di qualcuno celebreranno pure il matrimonio. Michele Castelvecchi Candido Cannavò Pretacci Rizzoli € 18,00


pretacci  copertina

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