Piove sul Ferragosto elbano, dopo una sessantina di giorni di secco la mattinata portoferraiese si è aperta con una breve pioggia venuta giù da un cielo che comunque non prometteva niente di buono, tanto per fare da giusta cornice ad una stagione turistica (e quindi economica) che definire plumbea è poco. Anche chi puntava sul “last-minute” per fare l’extra-pieno ferragostano ha visto deluse le sue aspettative i traghetti sabato hanno portato un numero di persone neanche paragonabile (per rarefazione) a quello degli anni passati, e non è ancora nulla perché “se piove di quel che tona” con disponibilità (leggi camere vuote) in pratica ovunque, per la terza decade di un mese in cui si faceva comunque il pieno, abbiamo idea che si stia profilando un “saldo stagionale” agghiacciante o giù di lì. E in attesa dei numeri (ma con l’orecchio teso alle lamentele) appare evidente che la crisi coinvolge quel comparto quasi border-line dell’accoglienza costituito dagli appartamenti dati in affitto regolarmente o “alla bona” (leggi in regime di evasione fiscale), come dire la fine dell’illusione “sviluppista” di un’economia tirata dalla “seconda casa”, con molti che andranno a sbattere violentemente il muso con l’incontestabile realtà, le 23.000 seconde case (ufficiali) all’Elba sono già troppe. Ma “non ci sono restaurazioni da fare la struttura è marcia” come recitava un noto slogan degli anni ’60 la crisi è strutturale, la crisi è quella di un modello complessivo di offerta superato che viene progressivamente spinto fuori mercato, e pensare come cantava Shell Shapiro “ .. è la pioggia che va e ritorna il sereno ..” , che le cose si sistemeranno da sole, è illusorio e perfino incosciente. C’è bisogno in quest’isola di una rivoluzione culturale, di una cura da cavallo, perché questa è una broncopolmonite economica, non un raffreddore. E visto che non siamo stati capaci noi elbani di produrre una classe dirigente politica, amministrativa, imprenditoriale, categoriale e sindacale, all’altezza dei compiti, visto che il nostro “modello di sviluppo” (il morto è nella bara) ha fallito, dovremo con umiltà giapponese, imparare a studiare, copiare ed adattare, i modelli degli altri che funzionano, ed importare, senza scandalizzarsi pure le “teste” che non siamo riusciti a produrre in loco, le professionalità, le managerialità di cui non disponiamo. Intanto piove.
nubi su marciana cielo nero