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Controcopertina: Per una conservazione di Pianosa economicamente compatibile

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 12 agosto 2008

Parafrasando l’ultimo Sciambere dedicatomi da Sergio Rossi, potrei dire che non riesco ad essere d’accordo con Tozzi nemmeno quando sono d’accordo. Nessun punto del discorso presidenziale è infatti contestabile, nella forma. Che il controllo sulla compatibilità ambientale debba spettare anche alle associazioni ambientaliste, e io aggiungerei anche ai singoli cittadini, non c’è dubbio. Che le necessità di protezione dell’ambiente debbano essere svincolate dal mero profitto, è indiscutibile. Ma è anche vero che per proteggere e controllare servono risorse economiche, ed essendo improbabile che cadano dal cielo, non sarebbe male cercare di procurarsele. Prendiamo ad esempio Pianosa. La presenza del carcere prima, e il successivo mantenimento della “restricted area” nella fascia costiera hanno garantito, in una zona particolarmente indicata, il mantenimento di una importantissima oasi biologica marina, ricca di vita e fonte primaria per il ripopolamento ittico di tutta la zona. Ora, individuare una cinquantina di punti di immersione, dotati di ormeggio fisso, e altrettanti punti di sosta per lo snorkeling costiero, sarebbe facilissimo. Autorizzare, ovviamente con un serio piano pluriennale e con bandi magari privi dei soliti vizi di forma, un numero sostenibile di immersioni guidate e regolamentate, con la rotazione degli spot, e consentire ad una mezza dozzina di imbarcazioni, dotate dei più moderni sistemi antinquinamento, di effettuare un giro-isola costiero con soste per il bagno, non solo non turberebbe minimamente gli equilibri biologici, ma anzi garantirebbe un costante ed efficace controllo contro abusi e bracconaggio nonché un’interessante fonte di reddito per il Parco. Naturalmente, con l’approccio scientifico tanto caro al Presidente, sarebbe opportuno individuare i periodi e le zone particolarmente sensibili, e penso per esempio ai siti di nidificazione degli uccelli marini, mantenendo tali aree off-limits da contaminazioni antropiche. Se desiderate un esempio pratico per capire meglio di cosa parlo, andate a leggervi la regolamentazione delle Isole Finocchiarola in Corsica. Bene, ad oggi né questo, né niente di simile è stato fatto. E non entriamo nella gestione dell’area terrestre per non scivolare nel teatro dell’assurdo: non essere stati capaci di trasformare in museo il più famoso ex-carcere italiano, e pensare al milione e mezzo di visitatori di Alcatraz fa venire le zecche alle ginocchia…. Ma a cosa si deve questo sciagurato immobilismo? A tutti quei motivi che Tozzi sostiene non esserci. Poltronifici e clientelismo politico. Un Presidente guadagna poco ma conta abbastanza. Cummannàri è mègghiu cà futtìri. E quindi, ad ogni cambio di governo, via col piazzamento di amici e col riciclaggio dei compari di partito trombati. Leggetevi l’articolo di G.A.Stella sul Corriere dell’11.05.2005… www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/05_Maggio/11/parchi_an.shtml E poi, burocrazia ed elefantiasi. Burocrazia: un amico bene informato mi ha detto che per poter utilizzare un insetticida per le zecche il Parco deve sottoporsi ad una trafila di mesi, fra carte bollate e autorizzazione incrociate. Per visitare Giannutri bisogna compilare moduli con largo anticipo, effettuare ogni volta un versamento bancario, documentarlo e se poi c’è mare grosso e non si va, niente rimborsi. Elefantiasi: 600.000 euro che languono in bilancio da anni per la realizzazione di campi boe che non vengono fatti: perché? Ma quante costa una boa? Che non ci sia accordo su quale fornitore privilegiare, o sono solo maldicenze da bar? Un milione e mezzo vincolato alla partenza di un’AMP che nascerebbe già morta, poi dopo basta ché sono finiti i fondi. Come nelle AMP esistenti, come con le Case del Parco: centinaia di milioni (di lire) per realizzarle, poi sempre chiuse o quasi. Non si deve privatizzare. Si deve trasformare il “pubblico” in un “privato di tutti”, in cui una trasparente gestione economica miri ad un sostanziale pareggio e per la quale l’utile non sia costituito da soldi o potere ma dal mantenimento o dal risanamento di quegli equilibri naturali che l’Uomo ha ormai alterato, e che solo l’Uomo può stabilire in che misura debbano essere ripristinati e gestiti. Serve però una conoscenza specifica e una presenza costante che un Presidente magari competente, ma estraneo al particolare contesto in cui dovrebbe operare, difficilmente potrà mai avere, specialmente se sottopagato e comprensibilmente distratto da altre attività ben più remunerative, quali ad esempio quelle televisive. Serve un adattamento di leggi e regolamenti generici alle specifiche necessità del territorio, anche permettendo deroghe sostanziali. La visione Tozziana dell’integralismo conservativo e del non intervento è utopistica e poco razionale. La tanto decantata difesa della biodiversità non può prescindere dall’intervento umano. La drammatica riduzione della diversità di ambienti (gamma diversità), dovuta all'estensione dei boschi sui coltivi e sui pascoli abbandonati e all'evoluzione dell'agricoltura, si traduce ad esempio in una forte semplificazione del mosaico paesaggistico. Il fenomeno è tipico di gran parte delle zone montane e collinari, dove il bosco è in continua crescita (ma la gente lo sa che da oltre 40 anni, in Italia e in Europa, l'estensione di boschi e foreste è in costante aumento? Desertificazione e deforestazione sono problemi gravissimi, ma ci riguardano solo in senso generale, non locale). L'abbandono di pratiche di lavoro tradizionali, legate alla cultura locale, hanno dato luogo a processi che alterano in modo sostanziale la struttura del territorio, semplificando la complessità del paesaggio forestale. Alcuni degli effetti più importanti riguardano la modificazione di sistemi forestali che necessitavano del continuo intervento dell'uomo per il loro mantenimento (es. i castagneti da frutto, di cui l’Elba non manca), compromettendo anche la funzione di protezione idrogeologica che la loro gestione assicurava. Purtroppo, le modalità di applicazione delle normative comunitarie tanto care al mio amico Mazzantini (vedi il network NATURA 2000), puntando sulla diversità specifica, sulla rinaturalizzazione e sulla conservazione di habitat naturali non legati alla identità culturale del territorio, influenzano negativamente la conservazione della diversità del paesaggio e delle relative forme di vita che lo abitano. Un terrazzamento con muretti a secco è habitat ideale per molti rettili, ma se si lascia che rovi e cespugli lo ricoprano serpenti e lucertole scompariranno per sempre. Come si intuisce, non si tratta solo di problemi legati a politiche comunitarie nate in contesti culturali diversi da quello mediterraneo, ma anche di interpretazioni a livello nazionale che sembrano non cogliere le specificità e i punti di forza del sistema italiano. Il problema si osserva non solo a livello di gestione forestale, ma anche nel sistema delle aree protette. Esso potrà essere risolto da un lato adattando alla scala locale politiche nate su visioni "globali", dall'altro portando all'attenzione della Commissione Europea un concetto di ambiente e di sostenibilità scevro da concezioni paradigmatiche, spesso mutuate da contesti culturali molto lontani dal mediterraneo, e più coerente con la realtà di un territorio in cui l'interazione uomo ambiente, nel bene e nel male, è il motore principale delle trasformazioni e della attribuzione di valori e significati alla sostenibilità. E’ il momento di passare dalle belle teorie ai fatti concreti, e di pensare all’Arcipelago più che a Bibione, che poco c’entra coi rottami di Palmaiola o con l’eternit abbandonato di Pianosa. Nota: un ringraziamento particolare a Legambiente, dal cui rapporto “Ambiente Italia 2004” ho tratto quasi integralmente l’ultima parte del mio discorso.


pianosa 5

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